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PSICOANALISI E GUERRA

4 Dic 22

Di admin
In questo anno di guerra 2022, anno in cui la Russia di Vladimir Putin ha attaccato e invaso militarmente l’Ucraina scatenando un’offensiva che ha coinvolto e coinvolge in grandissima parte le popolazioni civili, causando morte e sofferenza in entrambi gli eserciti combattenti, la riproposizione di un famoso volumetto uscito per la prima volta poco più di un secolo fa, nel 1919, per i tipi dell’allora nascente Internationaler Psychoanalytischer Verlag appare quanto mai opportuna e di interesse.

L’oggetto di questo libro – che, uscito in tedesco, fu ben presto tradotto in inglese con il titolo di Psychoanalysis and the War Neuroses (secondo volume della collana The International Psycho-Analytical Library diretta da Ernest Jones) – è l’esperienza che alcuni tra i maggiori medici psicoanalisti dell’epoca avevano realizzato scontrandosi con il grande problema dei traumi bellici negli appartenenti alle forze armate, specialmente la fanteria. Si tratta di quelle forme di nevrosi traumatica denominate inizialmente choc da granata, shell shock, war shock, su cui Ernest Jones dichiara “io preferisco servirmi di una denominazione etiologica meno equivoca e più chiara, choc di guerra, che, mi pare, è stata coniata da Eder” (p. 101).

 



 

 

Nelle loro relazioni tenute nel corso del V Congresso Internazionale di psicoanalisi a Budapest nel 2018, tutti gli autori tengono a enfatizzare l’errore dei neurologi del tempo nel vedere nelle varie forme di nevrosi di guerra una modificazione dei centri nervosi oppure, in tutt’altra direzione, una vera e propria simulazione messa in atto per evitare il combattimento e/o per conseguire vantaggi assicurativi (coniando addirittura il termine di isteria da rivendicazione di indennizzo). È soprattutto nel primo saggio, quello di Sándor Ferenczi, che viene portata avanti una serrata critica a tali impostazioni richiamando la letteratura dell’epoca e la presa di posizione di importanti esponenti della neurologia accademica. Il punto di vista organico-meccanicistico è così demolito sulla base delle esperienze cliniche realizzate in guerra, ed emerge con sempre maggiore forza l’elemento della psicogenesi di queste nevrosi che, in modo molto acuto, Simmel vede come una difesa dallo scivolamento progressivo verso le più pericolose psicosi di guerra – e, in effetti, a fronte di numerose nevrosi belliche, rare sono state a quel tempo le osservazioni specifiche in merito a situazioni psicotiche.

Lo studio di queste nevrosi da trauma bellico si rifà all’idea della serie complementare freudiana, ai concetti di predisposizione – con le parole di Abraham: “i nevrotici di guerra erano dei labili, in particolare per quanto concerne la loro sessualità… incapaci di assolvere i loro compiti” (p. 67) – e di regressione, e anticipa l’odierno concetto di resilienza, mettendo in discussione i lineari collegamenti causa-effetto e le cronologie che legano lo stimolo (l’evento violento) alla reazione soggettiva. Ma per curare queste forme di nevrosi attuali alla psicoanalisi è sempre (variamente) unita la suggestione, l’ipnosi, la catarsi e l’abreazione, nel quadro di un trattamento che definire breve è eufemistico: sono così riportate diverse esperienze di cura nel volgere di due o tre sedute – “una sorta di psicoanalisi semplificata” (Abraham, p. 75) – una cura che rende il soggetto sufficientemente abile per rientrare nei ranghi militari.

Scorrendo queste pagine si può apprezzare il diverso stile degli autori. Abraham come sempre sintetico e propenso ad illustrare i concetti che espone con numerosi flash clinici; Jones teorizzante e ampio nelle argomentazioni, con grande enfasi sulla difesa della psicoanalisi; Simmel concreto e lineare nelle considerazioni, legato alla propria esperienza ma capace di acuti approfondimenti; Ferenczi affascinante e brillante nella discussione sulla regressione, sugli scoppi di affettività incontrollati e sui tentativi inconsapevoli di auto-guarigione – e di Ferenczi è necessario ricordare un suo lavoro precedente, pubblicato nel 1916: Due tipi d’isteria di guerra.

Nei contenuti, con Abraham si scende nel profondo delle dinamiche della psicosessualità e del narcisismo, mentre Simmel riferisce la sua peculiare esperienza maturata sul campo, introdotta con le seguenti parole: “da un anno e mezzo dirigo un ospedale militare specialistico per nevrotici di guerra” (p. 77). E riferendosi in modo più netto a emozioni come spavento, paura, angoscia e furore – quindi introducendo il tema dell’aggressività – Simmel approfondisce il tema della scissione della personalità, notando pure che i traumi patiti dagli ufficiali non appaiono poi avere conseguenze così gravi come quelli subiti dalle truppe.

Degli autori, escluso Freud, proprio Ernst Simmel (1882-1947) è regolarmente ricordato nei testi di storia della psicoanalisi e nelle enciclopedie di psicoanalisi come una importante fonte relativamente allo studio delle nevrosi belliche (vedi il suo libro del 1918 Kriegsneurosen und Psychisches Trauma); un argomento che egli stesso riprenderà decenni dopo in un articolo pubblicato su The Psychoanalytic Quarterly (13, pp. 160-185) dal titolo Self-Preservation and the Death Instinct (ripubblicato in The Yearbook of Psychoanalysis, 1, 1945).

L’unico appunto che si può fare a questa seconda edizione italiana del libro sulle nevrosi di guerra è relativo alle traduzioni, tenendo conto che la prima edizione è del 1976, per i tipi della casa editrice Newton Compton. Dato che i contributi che sono qui proposti, a iniziare dalla introduzione di Freud in poi, con la sola esclusione del saggio di Ernst Simmel, hanno già avuto delle accurate traduzioni “ufficiali” in italiano – basti pensare alle opere di Karl Abraham edite da Boringhieri a metà degli anni settanta, e all’opera di Sándor Ferenczi pubblicata dapprima da Guaraldi di Bologna e poi da Raffaello Cortina), sarebbe stato preferibile riportare quelle traduzioni piuttosto che riproporre la traduzione di Luciano Tosti del 1976. Per fare un solo esempio, nella relazione di Ferenczi si legge che le nevrosi da choc sono dovute “a ragioni puramente psicogene, cioè alle fantasie di avidità…” (p. 45), mentre nel volume III delle opere di Sándor Ferenczi Fondamenti di psicoanalisi, la traduzione suona “sono sempre di natura puramente psicogena, e si sviluppano sulla base di rappresentazioni di desiderio” (p. 77 dell’edizione Guaraldi, Rimini, 1974. Entrambi i corsivi sono nei rispettivi testi). Tra il concetto di fantasie di avidità e quello di rappresentazioni di desiderio c’è una certa differenza!

In ultimo, è da notare che il libro è introdotto dalla Prefazione di Silvia Vegetti Finzi e da una Nota Bibliografica relativa agli autori.

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