Massenpsychologie und Ich-analyse
Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. XIII, p. 71.
Traduzione e prefazione di Antonello Sciacchitano
Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. XIII, p. 71.
Traduzione e prefazione di Antonello Sciacchitano
Un’equazione sbagliata
L’errore concettuale di Freud si trova nelle prime righe di questo saggio, riassunto nella prima dozzina. Sta nell’identificare due psicologie: quella sociale e quella delle masse: una con interazioni tra individui, positive o negative, l’altra priva, cioè con interazioni nulle. Poco dopo, sempre nelle prime righe, Freud dichiara che l’altro è indispensabile all’individuo per soddisfare le proprie pulsioni. Questo è il secondo errore, propriamente freudiano. Nella metapsicologia freudiana la figura dell’altro non esiste. La soddisfazione pulsionale è sin dall’inizio autoerotica: la pulsione si soddisfa da sé. Essendo al confine tra anima e corpo, la pulsione è l’auto-soddisfazione corporea dell’anima, non a distanza dal corpo.
In questo saggio, con dovizia di particolari, Freud argomenta che l’altro è la fotocopia dell’Io, come l’Io identificato allo stesso Führer, ossia al padre morto e resuscitato. (È pesante in Freud la connotazione religiosa, espressa in pieno nell’Uomo Mosè e la religione monoteistica, ma mai riconosciuta come tale.) Ci è voluto Lacan per divaricare i due termini dell’equivalenza tra l’Io e la sua immagine speculare, introducendo il registro simbolico del Grande Altro, luogo di legge e verità, mediate dalla parola.
Il programma confusivo e autoreferenziale freudiano è, del resto, chiaramente delineato nel titolo: Massenpsychologie und Ich-analyse (“Psicologia delle masse e analisi dell’Io). L’und, l’“e”, funziona a tutti gli effetti come gilt als, “vale come”. L’Io è una porzione di una massa omogenea e indifferenziata. La psicologia delle masse tratta esplicitamente del narcisismo di massa, ma è erroneamente assimilata alla psicologia sociale, già dalle prime pagine del saggio, con la psicologia sociale ridotta a psicologia del narcisismo collettivo. È una psicologia basata sul leader comune. Nella massa i rapporti individuali sono modellati sul rapporto con il leader; se il leader viene meno, la massa va in pezzi, come la fiala di Bologna cui si tagli la punta. Nel cap. II Freud lo afferma senza mezzi termini: la massa è l’effetto ipnotico del leader, contestando a Le Bon la mancanza di ogni considerazione sul Führer. È semplice, se c’è ipnosi, deve esserci ipnotizzatore. All’inizio del cap. VI Freud riassume lapidariamente la propria concezione: “Il legame con il leader appare più determinante di quello che unisce tra loro gli individui della massa”. Anche il cosiddetto “contagio emotivo”, che sembra un fenomeno orizzontale di interazione tra individui, è un fenomeno verticale di suggestione che discende dal leader alla massa. Il legame con il leader è di tipo erotico-ipnotico. Il delirio freudiano arriva ad affermare che la coppia ipnotista-ipnotizzato è un modello di massa a due. Detto in termini freudiani, esiste solo il padre, nel caso collettivo il Führer; il fratello è modellato sul padre. In un certo senso, nella massa il fratello non esiste. La rivoluzione francese non passò da Berggasse 19. Detto in termini moderni, gli individui della massa freudiana non formano sistema; sono slegati come tante monadi.
Vediamo, allora, come si sviluppa il discorso freudiano sul sociale; lo possiamo definire familiaristico, nel senso che riconduce il sociale al familiare, che è l’unico luogo dove gli individui interagiscono nel modo striminzito dell’Edipo, anche in questo caso un’interazione inter-generazionale, mai intragenerazionale. La mia proposta di introdurre interazioni più ampie e articolate non è una novità. Già Jung aveva avanzato l’ipotesi dell’inconscio collettivo, ma senza gli strumenti per svilupparla scientificamente. Infatti, né Freud né Jung sanno trattare le interazioni tra individui, non conoscendo la loro variabilità. In modi contrapposti, il primo declinandolo al singolare, il secondo al plurale, sia l’uno che l’altro evitano la questione del soggetto collettivo, caratterizzato da un set di interazioni variabili tra individui.
Stupisce, conoscendo la storia dell’autore. Freud come uomo di scienza, dopo il colpo di fulmine dell’invenzione dell’inconscio, ai tempi felici della relazione con Fliess e Breuer (1893, v. Studi sull’isteria), rimase a secco di immaginazione. Ma senza immaginazione non si fa scienza. Una volta di più tirò fuori dal cappello il solito Edipo. Non aveva altro nella cassetta degli attrezzi. Con grande soddisfazione degli epigoni, che di scienza non vogliono proprio sentir parlare. A loro basta la psicoterapia, per quanto ne consenta la psicanalisi.
Molto si spiega applicando l’epistemologia di Freud, che è aristotelica. Freud pensa che ogni effetto psichico abbia una causa. Le cause psichiche sono le pulsioni. Le pulsioni sessuali sono cause efficienti; le pulsioni di morte cause finali. Freud ignora Galilei e la sua matematica. Nel freudismo non esistono moti inerziali senza causa. Anche l’eterna ripetizione dell’identico, che potrebbe simulare un moto inerziale, ha una causa: la pulsione di morte. In questo contesto di pensiero, che è deterministico, tutto è determinato; non esiste possibilità di innovazione. Non esiste la variabilità in Freud, quindi neppure la possibilità di concepire le interazioni tra individui diversi. Tutti gli individui sono massificati nell’identificazione al leader, comune oggetto d’amore, in quanto sostituto paterno. Da qui la profonda incomprensione freudiana del darwinismo, che arriva allo strabiliante falso: l’attribuzione a Darwin del mito dell’orda, governata da uno stallone, che tiene per sé tutte le donne, obbligando i maschi all’omosessualità. Il delirio, già esposto in Totem e tabù, è qui ripreso nel capitolo X. Freud voleva ignorare che Darwin non fu un mitologo ma un “lungo ragionatore” sulla variabilità biologica.
La teoria freudiana nasce da subito come dottrina immodificabile, che Freud non voleva si insegnasse in università, per il pericolo di modifiche. Le scissioni del movimento analitico si giustificano con la rigidità dell’impostazione dottrinaria che o si adotta senza critiche o si spacca. All’origine c’è la rigidità di Freud che non voleva saperne di variabilità nella propria materia. Non riconosce neppure che l’individuo della massa è diverso dall’individuo isolato, perché non considera l’interazione tra un individuo e l’altro. Ignora volutamente che nella massa opera il Grande Altro secondo Lacan, che introduce la variabilità nel singolo individuo. Non voleva neppure che la psicanalisi diventasse materia universitaria, sottoposta al giudizio variabile e alla deformazione preconcetta di certi professori. Il freudismo dei freudiani ortodossi eredita la stessa rigidità del fondatore. Essere freudiani oggi richiede modifiche sostanziali nel modo di pensare di Freud. Ci sono conseguenze pratiche, che ostacolano le innovazioni, compresa l’espulsione per eresia dall’originaria comunità di pensiero, che garantisce il lavoro su domande d’analisi garantite. Non tutti hanno il coraggio per sopportare questa eventualità. Risultato: il freudismo sta morendo per esaurimento interno, privo com’è di apporti esterni.
I Introduzione
Per quanto a prima vista possa sembrarci tanto importante, man mano che la si approfondisce, la contrapposizione tra psicologia individuale e sociale, o psicologia delle masse, perde molta della sua chiarezza. La psicologia individuale, pur dedicandosi al singolo e perseguendo le modalità con cui tenta di soddisfare i propri moti pulsionali, raramente e solo in certe condizioni eccezionali arriva a prescindere dai rapporti del singolo con gli altri. Nella vita psichica dell’individuo l’altro interviene regolarmente come modello, oggetto, soccorritore e nemico. In questa accezione più ampia, ma del tutto giustificata, la psicologia individuale è sin dall’inizio e al tempo stesso anche psicologia sociale.
Il rapporto dell’individuo con i genitori e i fratelli, con l’oggetto d’amore, con il maestro e il medico, ossia tutti i rapporti divenuti finora oggetto di preferenza della ricerca psicanalitica, possono pretendere di essere considerati fenomeni sociali, contrapponendosi a certi altri processi, da noi detti narcisistici, in cui la soddisfazione pulsionale si sottrae o rinuncia all’influenza di altre persone. La contrapposizione tra atti psichici sociali e narcisistici – Bleuler direbbe forse autistici – rientra quindi del tutto nella psicologia individuale e non conviene separarla da una psicologia sociale o di massa.
Nei citati rapporti con genitori e fratelli, con l’amante, con l’amico, con il maestro e con il medico, l’individuo sperimenta sempre l’influenza di un singolo o di un numero molto ristretto di persone, ciascuna delle quali ha acquisito per lui un’importanza fantastica. Ora, parlando di psicologia sociale o di massa, ci si è abituati a prescindere da tali rapporti, isolando dal resto, come oggetto di ricerca, l’influsso simultaneo sull’individuo di un gran numero di persone, cui è legato da qualcosa, mentre per tanti versi possono essergli estranee. Pertanto la psicologia di massa tratta il singolo uomo come membro di una stirpe, di un popolo, di una casta, di un ceto, di un’istituzione o come costituente di una folla umana, che a un certo momento si è organizzata in massa per un certo scopo. Dato lo strappo della connessione naturale, è ovvio considerare i fenomeni, che si manifestano in tali specifiche condizioni, come espressione di una particolare pulsione non riconducibile ad altro – herd instinct, group mind – che in altre situazioni non si paleserebbe. Ma possiamo ben obiettare che ci riesce difficile attribuire al fattore numerico un peso tale da riuscire da solo a risvegliare nella vita psichica dell’uomo una pulsione nuova, altrimenti inattiva. La nostra attesa, pertanto, si orienta a due altre possibilità: la pulsione sociale non è né originaria né indecomponibile; gli esordi della sua formazione si possono trovare in una cerchia ristretta come nella familiare.
Pur essendo solo agli inizi, la psicologia di massa abbraccia una quantità immensa di problemi specifici e pone al ricercatore innumerevoli compiti, attualmente ancora non ben definiti. La semplice classificazione dei diversi tipi di formazioni di massa e la descrizione fenomenologica delle loro manifestazioni psichiche richiedono un gran lavoro di osservazione ed esposizione, che ha già dato origine a una ricca letteratura. Chi voglia commisurare questo smilzo libretto all’ambito della psicologia di massa non sbaglierà supponendo che vi si tratteranno solo pochi punti di tutta la materia. Saranno realmente solo poche le questioni in particolare interessanti per la ricerca psicanalitica del profondo.
L’errore concettuale di Freud si trova nelle prime righe di questo saggio, riassunto nella prima dozzina. Sta nell’identificare due psicologie: quella sociale e quella delle masse: una con interazioni tra individui, positive o negative, l’altra priva, cioè con interazioni nulle. Poco dopo, sempre nelle prime righe, Freud dichiara che l’altro è indispensabile all’individuo per soddisfare le proprie pulsioni. Questo è il secondo errore, propriamente freudiano. Nella metapsicologia freudiana la figura dell’altro non esiste. La soddisfazione pulsionale è sin dall’inizio autoerotica: la pulsione si soddisfa da sé. Essendo al confine tra anima e corpo, la pulsione è l’auto-soddisfazione corporea dell’anima, non a distanza dal corpo.
In questo saggio, con dovizia di particolari, Freud argomenta che l’altro è la fotocopia dell’Io, come l’Io identificato allo stesso Führer, ossia al padre morto e resuscitato. (È pesante in Freud la connotazione religiosa, espressa in pieno nell’Uomo Mosè e la religione monoteistica, ma mai riconosciuta come tale.) Ci è voluto Lacan per divaricare i due termini dell’equivalenza tra l’Io e la sua immagine speculare, introducendo il registro simbolico del Grande Altro, luogo di legge e verità, mediate dalla parola.
Il programma confusivo e autoreferenziale freudiano è, del resto, chiaramente delineato nel titolo: Massenpsychologie und Ich-analyse (“Psicologia delle masse e analisi dell’Io). L’und, l’“e”, funziona a tutti gli effetti come gilt als, “vale come”. L’Io è una porzione di una massa omogenea e indifferenziata. La psicologia delle masse tratta esplicitamente del narcisismo di massa, ma è erroneamente assimilata alla psicologia sociale, già dalle prime pagine del saggio, con la psicologia sociale ridotta a psicologia del narcisismo collettivo. È una psicologia basata sul leader comune. Nella massa i rapporti individuali sono modellati sul rapporto con il leader; se il leader viene meno, la massa va in pezzi, come la fiala di Bologna cui si tagli la punta. Nel cap. II Freud lo afferma senza mezzi termini: la massa è l’effetto ipnotico del leader, contestando a Le Bon la mancanza di ogni considerazione sul Führer. È semplice, se c’è ipnosi, deve esserci ipnotizzatore. All’inizio del cap. VI Freud riassume lapidariamente la propria concezione: “Il legame con il leader appare più determinante di quello che unisce tra loro gli individui della massa”. Anche il cosiddetto “contagio emotivo”, che sembra un fenomeno orizzontale di interazione tra individui, è un fenomeno verticale di suggestione che discende dal leader alla massa. Il legame con il leader è di tipo erotico-ipnotico. Il delirio freudiano arriva ad affermare che la coppia ipnotista-ipnotizzato è un modello di massa a due. Detto in termini freudiani, esiste solo il padre, nel caso collettivo il Führer; il fratello è modellato sul padre. In un certo senso, nella massa il fratello non esiste. La rivoluzione francese non passò da Berggasse 19. Detto in termini moderni, gli individui della massa freudiana non formano sistema; sono slegati come tante monadi.
Vediamo, allora, come si sviluppa il discorso freudiano sul sociale; lo possiamo definire familiaristico, nel senso che riconduce il sociale al familiare, che è l’unico luogo dove gli individui interagiscono nel modo striminzito dell’Edipo, anche in questo caso un’interazione inter-generazionale, mai intragenerazionale. La mia proposta di introdurre interazioni più ampie e articolate non è una novità. Già Jung aveva avanzato l’ipotesi dell’inconscio collettivo, ma senza gli strumenti per svilupparla scientificamente. Infatti, né Freud né Jung sanno trattare le interazioni tra individui, non conoscendo la loro variabilità. In modi contrapposti, il primo declinandolo al singolare, il secondo al plurale, sia l’uno che l’altro evitano la questione del soggetto collettivo, caratterizzato da un set di interazioni variabili tra individui.
Stupisce, conoscendo la storia dell’autore. Freud come uomo di scienza, dopo il colpo di fulmine dell’invenzione dell’inconscio, ai tempi felici della relazione con Fliess e Breuer (1893, v. Studi sull’isteria), rimase a secco di immaginazione. Ma senza immaginazione non si fa scienza. Una volta di più tirò fuori dal cappello il solito Edipo. Non aveva altro nella cassetta degli attrezzi. Con grande soddisfazione degli epigoni, che di scienza non vogliono proprio sentir parlare. A loro basta la psicoterapia, per quanto ne consenta la psicanalisi.
Molto si spiega applicando l’epistemologia di Freud, che è aristotelica. Freud pensa che ogni effetto psichico abbia una causa. Le cause psichiche sono le pulsioni. Le pulsioni sessuali sono cause efficienti; le pulsioni di morte cause finali. Freud ignora Galilei e la sua matematica. Nel freudismo non esistono moti inerziali senza causa. Anche l’eterna ripetizione dell’identico, che potrebbe simulare un moto inerziale, ha una causa: la pulsione di morte. In questo contesto di pensiero, che è deterministico, tutto è determinato; non esiste possibilità di innovazione. Non esiste la variabilità in Freud, quindi neppure la possibilità di concepire le interazioni tra individui diversi. Tutti gli individui sono massificati nell’identificazione al leader, comune oggetto d’amore, in quanto sostituto paterno. Da qui la profonda incomprensione freudiana del darwinismo, che arriva allo strabiliante falso: l’attribuzione a Darwin del mito dell’orda, governata da uno stallone, che tiene per sé tutte le donne, obbligando i maschi all’omosessualità. Il delirio, già esposto in Totem e tabù, è qui ripreso nel capitolo X. Freud voleva ignorare che Darwin non fu un mitologo ma un “lungo ragionatore” sulla variabilità biologica.
La teoria freudiana nasce da subito come dottrina immodificabile, che Freud non voleva si insegnasse in università, per il pericolo di modifiche. Le scissioni del movimento analitico si giustificano con la rigidità dell’impostazione dottrinaria che o si adotta senza critiche o si spacca. All’origine c’è la rigidità di Freud che non voleva saperne di variabilità nella propria materia. Non riconosce neppure che l’individuo della massa è diverso dall’individuo isolato, perché non considera l’interazione tra un individuo e l’altro. Ignora volutamente che nella massa opera il Grande Altro secondo Lacan, che introduce la variabilità nel singolo individuo. Non voleva neppure che la psicanalisi diventasse materia universitaria, sottoposta al giudizio variabile e alla deformazione preconcetta di certi professori. Il freudismo dei freudiani ortodossi eredita la stessa rigidità del fondatore. Essere freudiani oggi richiede modifiche sostanziali nel modo di pensare di Freud. Ci sono conseguenze pratiche, che ostacolano le innovazioni, compresa l’espulsione per eresia dall’originaria comunità di pensiero, che garantisce il lavoro su domande d’analisi garantite. Non tutti hanno il coraggio per sopportare questa eventualità. Risultato: il freudismo sta morendo per esaurimento interno, privo com’è di apporti esterni.
I Introduzione
Per quanto a prima vista possa sembrarci tanto importante, man mano che la si approfondisce, la contrapposizione tra psicologia individuale e sociale, o psicologia delle masse, perde molta della sua chiarezza. La psicologia individuale, pur dedicandosi al singolo e perseguendo le modalità con cui tenta di soddisfare i propri moti pulsionali, raramente e solo in certe condizioni eccezionali arriva a prescindere dai rapporti del singolo con gli altri. Nella vita psichica dell’individuo l’altro interviene regolarmente come modello, oggetto, soccorritore e nemico. In questa accezione più ampia, ma del tutto giustificata, la psicologia individuale è sin dall’inizio e al tempo stesso anche psicologia sociale.
Il rapporto dell’individuo con i genitori e i fratelli, con l’oggetto d’amore, con il maestro e il medico, ossia tutti i rapporti divenuti finora oggetto di preferenza della ricerca psicanalitica, possono pretendere di essere considerati fenomeni sociali, contrapponendosi a certi altri processi, da noi detti narcisistici, in cui la soddisfazione pulsionale si sottrae o rinuncia all’influenza di altre persone. La contrapposizione tra atti psichici sociali e narcisistici – Bleuler direbbe forse autistici – rientra quindi del tutto nella psicologia individuale e non conviene separarla da una psicologia sociale o di massa.
Nei citati rapporti con genitori e fratelli, con l’amante, con l’amico, con il maestro e con il medico, l’individuo sperimenta sempre l’influenza di un singolo o di un numero molto ristretto di persone, ciascuna delle quali ha acquisito per lui un’importanza fantastica. Ora, parlando di psicologia sociale o di massa, ci si è abituati a prescindere da tali rapporti, isolando dal resto, come oggetto di ricerca, l’influsso simultaneo sull’individuo di un gran numero di persone, cui è legato da qualcosa, mentre per tanti versi possono essergli estranee. Pertanto la psicologia di massa tratta il singolo uomo come membro di una stirpe, di un popolo, di una casta, di un ceto, di un’istituzione o come costituente di una folla umana, che a un certo momento si è organizzata in massa per un certo scopo. Dato lo strappo della connessione naturale, è ovvio considerare i fenomeni, che si manifestano in tali specifiche condizioni, come espressione di una particolare pulsione non riconducibile ad altro – herd instinct, group mind – che in altre situazioni non si paleserebbe. Ma possiamo ben obiettare che ci riesce difficile attribuire al fattore numerico un peso tale da riuscire da solo a risvegliare nella vita psichica dell’uomo una pulsione nuova, altrimenti inattiva. La nostra attesa, pertanto, si orienta a due altre possibilità: la pulsione sociale non è né originaria né indecomponibile; gli esordi della sua formazione si possono trovare in una cerchia ristretta come nella familiare.
Pur essendo solo agli inizi, la psicologia di massa abbraccia una quantità immensa di problemi specifici e pone al ricercatore innumerevoli compiti, attualmente ancora non ben definiti. La semplice classificazione dei diversi tipi di formazioni di massa e la descrizione fenomenologica delle loro manifestazioni psichiche richiedono un gran lavoro di osservazione ed esposizione, che ha già dato origine a una ricca letteratura. Chi voglia commisurare questo smilzo libretto all’ambito della psicologia di massa non sbaglierà supponendo che vi si tratteranno solo pochi punti di tutta la materia. Saranno realmente solo poche le questioni in particolare interessanti per la ricerca psicanalitica del profondo.
II
Invece di premettere una definizione, ci sembra più adatto allo scopo iniziare accennando al campo dei fenomeni, isolando alcuni fatti particolarmente vistosi e caratteristici, cui poter riallacciare la ricerca. Raggiungeremo entrambi gli scopi con un estratto del libro di Le Bon, divenuto giustamente famoso, Psicologia delle masse.[1]
Chiariamo i fatti una volta di più. Se la psicologia, che segue le predisposizioni, i moti pulsionali, le motivazioni, le intenzioni del singolo individuo nelle loro connessioni con i comportamenti e i rapporti con il prossimo, avesse esaurito senza residui il proprio compito di rendere trasparenti tutti questi nessi, allora si troverebbe improvvisamente davanti a un nuovo compito non risolto. Dovrebbe spiegare il fatto sorprendente di un individuo, ormai senza più segreti per lei, che in una circostanza ben determinata pensa e agisce in modo diverso dalle attese. La circostanza è l’inserimento in un insieme di uomini, che ha acquisito la qualità di “massa psicologica”. Cos’è, allora, una “massa”? Come acquista la capacità di influire in modo così decisivo sulla vita psichica dell’individuo? In cosa consiste il cambiamento psichico che impone all’individuo?
Rispondere a queste tre domande è il compito di una psicologia teorica della massa. Chiaramente il modo migliore di affrontarlo è partire dalla terza. È l’osservazione della mutata reazione dell’individuo a offrire materiale alla psicologia della massa. La descrizione della cosa da spiegare deve precedere ogni tentativo di spiegazione.
Lascio ora la parola a Le Bon. A p. 13 dice: “La peculiarità di una massa psicologica è che gli individui componenti, per quanto simile o dissimile sia il loro tipo di vita, l’occupazione, il carattere o l’intelligenza, acquisiscono, per la sola circostanza di appartenere alla massa, una sorta di anima collettiva, grazie alla quale sentono, pensano e agiscono in modo del tutto diverso da come ciascuno di loro sentirebbe, penserebbe e agirebbe da solo. Esistono idee e sentimenti che nascono e si trasformano in atti solo negli individui legati in una massa. La massa psicologica è un essere provvisorio, composto di elementi eterogenei, messi insieme per un istante, esattamente come le cellule di un corpo vivente formano, riunendosi, un essere nuovo con caratteristiche ben diverse dalle singole cellule”.
Prendendo la libertà di interrompere l’esposizione di Le Bon con le nostre glosse, osserviamo che, se nella massa gli individui sono legati in unità, deve ben esserci qualcosa che li lega l’un l’altro e che tale legante potrebbe essere proprio la caratteristica della massa. Ma, senza rispondere a questa domanda, Le Bon va al cambiamento dell’individuo nella massa e lo descrive con espressioni che si accordano bene con i presupposti di base della nostra psicologia del profondo.
(p. 14) “È facile constatare quanto l’individuo appartenente a una massa differisca dall’individuo isolato; ma è meno facile scoprire le cause di tale differenza.
Per arrivare a trovarle, almeno in una certa misura, bisogna ricordare anzitutto una costatazione fatta dalla psicologia moderna, cioè che i fenomeni inconsci svolgono una parte rilevante non solo nella vita organica, ma anche nelle funzioni intellettuali. La vita cosciente dello spirito rappresenta una parte ridotta accanto alla vita psichica inconscia. L’analisi più raffinata, l’osservazione più acuta arriva solo a un piccolo numero di motivi consci della vita psichica.[2] I nostri atti consci derivano da un substrato inconscio, formato soprattutto da influenze ereditarie. Contiene gli innumerevoli residui ancestrali che formano l’anima della razza. Nei nostri atti, dietro alle cause da noi confessate, ve ne sono di ancora più segrete, da noi stessi ignorate. La maggior parte delle nostre azioni quotidiane sono l’effetto di motivi occulti che ci sfuggono.”
Nella massa, pensa Le Bon, svaniscono le acquisizioni dei singoli individui e svanisce così la loro peculiarità. Emerge l’inconscio razziale, l’eterogeneo affonda nell’omogeneo. Diremmo che la sovrastruttura psichica, sviluppatasi nell’individuo in forme tanto variegate, è messa da parte, indebolita, e il fondamento inconscio comune a tutti è messo a nudo (reso operante).
In questo modo si realizzerebbe il carattere medio degli individui della massa. Ma per Le Bon essi presentano anche caratteristiche nuove, prima non possedute, di cui cerca la ragione in tre fattori diversi.
(p. 15) “La prima di queste cause è che nella massa l’individuo raggiunge, per il solo fatto del numero, un sentimento di potenza invincibile, che gli permette di cedere a pulsioni che, se fosse rimasto solo, avrebbe necessariamente tenuto a freno. Ciò ha ora meno occasioni di verificarsi di quando nell’anonimato, quindi anche nell’irresponsabilità della massa, scompare del tutto il senso di responsabilità, che trattiene sempre gli individui.”
Dal nostro punto di vista non abbiamo bisogno di attribuire meno importanza all’affiorare di qualità nuove. Ci basta dire che nella massa l’individuo è messo in condizioni che gli consentono di sbarazzarsi delle rimozioni dei propri moti pulsionali inconsci. Le qualità apparentemente nuove così mostrate sono solo manifestazioni di questo inconscio, che per costituzione contiene tutto il male dell’animo umano. In tali circostanze il venir meno della coscienza morale o del senso di responsabilità non è difficile da comprendere. Da tempo sosteniamo che il nucleo della cosiddetta coscienza morale è l’“angoscia sociale”.[3]
(p. 16) “Una seconda causa, il contagio, porta nelle masse a manifestarsi di speciali caratteristiche e al tempo stesso la loro direzione. Il contagio è un fenomeno facile da constatare, ma non ancora spiegato, da porre in relazione con i fenomeni di ordine ipnotico che studieremo tra poco. In una moltitudine ogni sentimento, ogni atto è contagioso a tal punto che l’individuo sacrifica molto facilmente il proprio interesse personale a quello collettivo. È una facoltà del tutto opposta alla sua natura, di cui l’uomo è capace solo come componente di una massa”.
Su quest’ultima tesi baseremo in seguito un’importante congettura.
(p. 16) “Una terza causa, la più importante, determina negli individui uniti nella massa speciali qualità, del tutto opposte a quelle dell’individuo isolato. Parlo qui della suggestionabilità, di cui il citato contagio è del resto solo un effetto.
Per comprendere questo fenomeno, vanno rammentate certe nuove scoperte della fisiologia. Ora sappiamo che attraverso molteplici procedure un individuo può essere messo in condizioni tali che, avendo perso la personalità cosciente, obbedisca a tutte le suggestioni di chi appunto tale coscienza gli ha sottratto, e commetta le azioni più nettamente contrarie al suo carattere e alle sue abitudini. Osservazioni molto accurate sembrano ora aggiungere che l’individuo da tempo in grembo ad una massa attiva cada in breve tempo – grazie alle influenze provenienti dalla massa, o per altre cause ancora ignote – in uno stato particolare, assai simile alla fascinazione dell’ipnotizzato per influsso dell’ipnotizzatore. […] La personalità cosciente è del tutto svanita, la volontà e il discernimento aboliti. Tutti i sentimenti e i pensieri sono orientati nella direzione voluta dall’ipnotizzatore.
Tale è all’incirca la condizione di un individuo in una massa psicologica. Non è più cosciente delle sue azioni. In lui, come nell’ipnotizzato, certe facoltà possono essere eliminate e altre spinte a un grado estremo di forza. L’influenza di una suggestione l’indurrà con irresistibile spinta a compiere certi atti. E l’irruenza è nelle masse ancora più irresistibile che nel soggetto ipnotizzato, perché la suggestione, essendo identica per tutti gli individui, aumenta per la reciprocità.” […]
(p. 17) “Personalità cosciente svanita, predominio della personalità inconscia, orientamento determinato dalla suggestione e dal contagio dei sentimenti e delle idee in un unico senso, tendenza a trasformare immediatamente in atti le idee suggerite, sono i principali caratteri dell’individuo che si trova in una massa. Non è più sé stesso, ma è diventato un automa senza volontà”.
Ho riportato la citazione in dettaglio per sottolineare che Le Bon spiega lo stato dell’individuo nella massa realmente come ipnotico; non è un semplice paragone. Non per obiettare, vogliamo solo far notare che le due ultime cause del cambiamento dell’individuo nella massa, il contagio e l’accresciuta suggestionabilità, non sono chiaramente equivalenti, dovendo essere il primo anche una manifestazione della seconda. Anche gli effetti dei due fattori non ci sembrano chiaramente distinti nel testo di Le Bon. Forse interpretiamo la sua affermazione nel modo migliore riportando il contagio all’effetto dell’influsso dei singoli membri della massa, mentre i fenomeni di suggestione collettiva, paragonati a fenomeni di influenzamento ipnotico nella massa, alludono a un’altra fonte. Sì, ma quale? Ci colpisce come vistosa lacuna dell’esposizione di Le Bon che non citi uno dei termini principali del paragone, precisamente la persona che per la massa sostituisce l’ipnotista. In ogni caso dall’influsso della fascinazione, lasciato in ombra, distingue l’effetto di contagio che gli individui esercitano l’uno sull’altro, rinforzando la suggestione originaria.
Ancora un punto di vista importante per valutare l’individuo nella massa: (p. 17) “Per la sola appartenenza a una massa organizzata l’uomo scende di parecchi gradini la scala della civiltà. Magari, considerato isolatamente, era un individuo colto; nella massa è un barbaro, cioè un essere pulsionale. Possiede la spontaneità, la violenza, la ferocia e anche gli entusiasmi e gli eroismi degli esseri primitivi”. L’autore indugia poi in particolare sulla riduzione delle prestazioni intellettuali che l’individuo sperimenta dissolvendosi nella massa.[4]
Lasciamo ora da parte l’individuo e passiamo a descrivere l’anima della massa nell’abbozzo di Le Bon, che è privo di tratti che all’analista possano creare difficoltà per come sono derivati e sistemati. Le Bon stesso ci indica la strada, alludendo alla coincidenza con la vita psichica dei primitivi e dei bambini (p. 19).
La massa è impulsiva, mutevole e irritabile. È diretta quasi esclusivamente dall’inconscio.[5] Ubbidisce a impulsi che, a seconda delle circostanze, possono essere nobili o crudeli, eroici o vigliacchi, ma sempre e comunque sono così imperativi che a nulla valgono considerazioni di interesse personale, neppure di autoconservazione. (p. 20). Non premedita. Se anche desidera appassionatamente qualcosa, non è mai a lungo; è incapace di propositi duraturi. Non tollera proroghe tra desiderio e realizzazione. Ha un sentimento di onnipotenza. Per l’individuo nella massa svanisce il concetto di impossibile.[6]
La massa è straordinariamente influenzabile e credulona; non ha critica; per lei non esiste l’inverosimile. Pensa per immagini, che si richiamano a vicenda per associazione come quelle che si presentano all’individuo nelle libere fantasie, e non vengono commisurate per concordanza con la realtà da alcuna istanza razionale. Prova sentimenti semplici ed esagerati. La massa non conosce quindi né dubbio né incertezza.[7]
La massa va subito agli estremi, il sospetto appena formulato si trasforma immediatamente in incrollabile certezza; un germe di antipatia diventa odio selvaggio.[8] (p. 32)
Incline agli estremi, la massa si eccita solo con stimoli eccessivi. Chi voglia fare effetto su di essa non ha bisogno di argomentare secondo logica, ma deve ricorrere alle immagini più forti, esagerare e ripetere sempre lo stesso discorso.
Poiché riguardo al vero e al falso la massa non ha dubbi e al tempo stesso ha coscienza della propria grande forza, la massa è tanto intollerante quanto pronta a credere all’autorità. Rispetta la forza e si lascia solo moderatamente influenzare dalla bontà, che per lei significa solo una sorta di debolezza. Ciò che pretende dai suoi eroi è la forza, per non dire la brutalità. Vuole essere dominata e oppressa e temere i suoi padroni. Di fondo conservatrice al massimo, nutre profonda ripugnanza per tutte le innovazioni e per il progresso, con un illimitato rispetto per la tradizione (p. 37).
Per giudicare correttamente la moralità delle masse, bisogna considerare che tutte le inibizioni degli individui riuniti in massa decadono e tutti gli istinti crudeli, brutali e distruttivi, che nell’individuo sonnecchiano come relitti della preistoria, si risvegliano per trovare libera soddisfazione pulsionale. Ma sotto l’influenza della suggestione le masse sono anche capaci di prestazioni elevate: dalla rinuncia all’altruismo alla dedizione all’ideale. Mentre il tornaconto personale è abbastanza spesso l’unico movente nell’individuo isolato, raramente predomina nella massa. Si può parlare di moralizzazione dell’individuo tramite la massa. Mentre il livello intellettuale della massa è sempre molto inferiore a quello dell’individuo, il suo comportamento etico può collocarsi sia sopra sia sotto a questo livello.
Alcuni altri tratti fanno chiara luce sulla caratteristica di Le Bon che identifica l’anima della massa con l’anima dei primitivi. Nelle masse idee antitetiche possono coesistere l’una accanto all’altra, tollerandosi a vicenda, senza che la contraddizione logica susciti conflitti. Lo stesso accade nella vita psichica inconscia dei singoli individui, dei bambini e dei nevrotici, come la psicanalisi ha da lungo tempo dimostrato.[9]
Inoltre la massa soggiace alla vera potenza magica delle parole che possono suscitare o placare nell’anima della massa le tempeste più spaventose. (p. 74) “Con le ragioni e gli argomenti logici non si riesce a lottare contro certe parole e formule. Si pronunciano con riverenza davanti alle masse e, subito, i volti assumono un’espressione di deferenza e le teste si chinano. Molti le considerano forze della natura, potenze sovrannaturali”. (p. 75) In proposito bisogna ricordare il tabù dei nomi nei primitivi, o le potenze magiche associate a nomi e parole.[10]
E, infine, le masse non hanno mai conosciuto la sete di verità. Pretendono illusioni, per loro irrinunciabili. Per loro l’irreale ha sempre la precedenza sul reale (das Reale); il non effettuale le influenza quasi quanto l’effettuale. Hanno l’evidente tendenza a non distinguere l’uno dall’altro (p. 47).
Abbiamo indicato nel predominio della vita fantastica e delle illusioni portate dal desiderio insoddisfatto il fattore determinante per la psicologia delle nevrosi. Abbiamo trovato che per i nevrotici non conta la comune realtà oggettiva (Realität) ma la psichica. Il sintomo isterico non si fonda sulla ripetizione di un’esperienza effettiva ma sulla fantasia; il senso di colpa ossessivo sul fatto di una cattiva intenzione da sempre inespressa. Proprio come nel sogno e nell’ipnosi, nell’attività psichica della massa la prova di realtà arretra di fronte alle forze dei moti eccitatori occupati dal desiderio.
Quel che Le Bon dice dei leader delle masse è meno esauriente e non lascia intravedere la chiara conformità a una legge. A suo parere, appena un certo numero di esseri viventi si riunisce, sia un gregge di animali o un insieme di umani, si porrebbero istintivamente sotto l’autorità di un capo supremo (p. 86). La massa è un gregge docile, che non riesce a vivere senza signore. Ha tale sete di ubbidire da sottomettersi istintivamente a chiunque si dichiari suo signore.
Se da una parte il bisogno della massa va incontro al leader, dall’altra questi vi deve corrispondere con le sue qualità personali. Egli stesso deve essere affascinato da una forte fede (da un’idea) per suscitare la fede nella massa deve possedere una volontà forte e impositiva, che la massa abulica accetta da lui. Poi Le Bon considera i diversi tipi di leader e i mezzi con cui agiscono sulle masse. In complesso secondo Le Bon i leader arriverebbero al potere attraverso le idee di cui loro stessi sono fanatici.
A queste idee e ai leader Le Bon attribuisce un potere misterioso e irresistibile, che chiama “prestigio”. Il prestigio è una sorta di predominio esercitato su di noi da un individuo, un’opera, un’idea. Paralizza ogni nostra facoltà critica, colmandoci di stupore e rispetto. Evocherebbe un sentimento simile alla fascinazione dell’ipnosi (p. 96).
Le Bon distingue tra prestigio artificiale, o acquisito, e personale. Il primo sarebbe conferito alle persone dal nome, dalla ricchezza e dalla reputazione; alle opinioni, alle opere d’arte e simili sarebbe invece conferito dalla tradizione. Poiché in ogni caso affonda nel passato, serve poco a spiegare il suo misterioso influsso. Il prestigio personale è di pochi, che a causa sua diventano leader, e fa sì che tutti obbediscano a loro come per una magia magnetica. Tuttavia il prestigio dipende anche dal successo e si perde con l’insuccesso.
Non si ha l ’impressione che in Le Bon il ruolo del leader e il rilievo del prestigio si armonizzino perfettamente con la descrizione brillantemente riportata dell’anima della massa.
III Altre valutazioni della vita psichica collettiva
Ci siamo serviti della presentazione di Le Bon come introduzione perché, ponendo l’accento sulla vita psichica inconscia, si approssima tanto alla nostra psicologia. Ma ora dobbiamo aggiungere che nessuna sua affermazione è veramente innovativa. Quel che dice di riduttivo e screditante sulle manifestazioni dell’anima della massa era già stato detto con altrettanta determinazione e cattiveria da altri, ripetuto negli stessi termini fin dai primordi della letteratura con le stesse parole da pensatori, uomini di stato e scrittori.[11] Le due tesi che contengono le più importanti vedute di Le Bon – l’inibizione collettiva dell’intellettualità e l’aumento dell’eccitabilità della massa – erano già state formulate poco prima da von Sighele.[12] In sostanza restano di Le Bon solo i due punti di vista, ovviamente toccati molte volte prima di lui, dell’inconscio e del confronto con la vita psichica dei primitivi.
Ma c’è di più. La descrizione e la valutazione dell’anima della massa, data da Le Bon e altri, non è rimasta per nulla incontrastata. Certo, i fenomeni descritti in precedenza dell’anima della massa sono stati osservati correttamente, ma si possono individuare altre e diametralmente opposte manifestazioni delle formazioni di massa che ci costringono a derivare una valutazione dell’anima della massa assai più elevata.
Anche Le Bon fu pronto ad ammettere che in certe circostanze la moralità della massa può essere superiore a quella dei singoli componenti e che solo le collettività sono capaci di elevato disinteresse e dedizione. (p. 38) “Mentre il vantaggio personale è l’unica molla notevole dell’individuo isolato, molto di rado predomina nelle masse”.
Altri fanno valere che in generale solo la società prescrive all’individuo le norme della moralità, mentre questi rimane di regola in qualche modo al di sotto di tali alte pretese, o che, in circostanze eccezionali, in una collettività si produce il fenomeno dell’entusiasmo che ha reso possibili le più grandiose imprese di massa.
Per quanto riguarda le prestazioni intellettuali resta assodato che le grandi decisioni del lavoro del pensiero, le scoperte ricche di conseguenze e le soluzioni dei problemi siano possibili solo al singolo individuo che lavora in solitudine. Ma anche l’anima della massa è capace di geniali creazioni spirituali, come dimostra soprattutto la stessa lingua, poi il canto popolare, il folclore e altro. Oltre a ciò resta da stabilire quanto il singolo pensatore o scrittore sia debitore verso le stimolazioni della massa in cui vive, se sia qualcosa di più del semplice rifinitore del lavoro psichico cui hanno al tempo stesso collaborato gli altri.
Tenuto conto di questa completa contraddizione, il lavoro della psicologia di massa sembrerebbe decorrere senza risultati. È però facile trovare una via d’uscita più promettente. Verosimilmente come “masse” sono state raggruppate formazioni molto diverse che necessitano una differenziazione. Le indicazioni di Sighele, Le Bon e altri si riferiscono a masse dalla vita breve, messe insieme rapidamente da individui diversi in base a un interesse transitorio. È innegabile che il carattere delle masse rivoluzionarie, in particolare della grande rivoluzione francese, abbia influenzato la loro descrizione. Le affermazioni contraddittorie provengono dal considerare masse o associazioni stabili, in cui gli uomini trascorrono la loro vita e che si incarnano nelle istituzioni della società. Le masse del primo tipo stanno a quelle del secondo come le onde brevi ma alte stanno alle lunghe risacche del mare.
Nel suo libro The Group Mind,[13] Mc Dougall parte proprio dalla citata contraddizione e la risolve nel fattore organizzativo. Nei casi più semplici, sostiene, la massa (group) non è in generale organizzata o possiede un’organizzazione che non merita tale nome. Chiama tale massa folla (crowd, Haufen). Ammette però che non è facile che si riunisca una folla senza che si formino almeno i primi abbozzi di organizzazione e che proprio in queste masse semplici sono con particolare facilità riconoscibili non pochi fatti di base della psicologia collettiva (p. 22). Affinché membri casualmente riuniti di una folla umana formino qualcosa come una massa in senso psicologico, la condizione richiesta è che i singoli abbiano qualcosa in comune, un interesse comune per un oggetto, un pari orientamento affettivo in una certa situazione e (aggiungerei: di conseguenza) in certa misura la capacità di influenzarsi a vicenda. (Some degree of reciprocal influence between the elements of the group, p. 23). Tanto più forti sono queste affinità (this mental homogeneity), tanto più facilmente i singoli individui formano una massa psicologica e tanto più evidenti si fanno le manifestazioni dell’“anima di massa”.
Il più notevole e allo stesso tempo il più importante fenomeno di formazione delle masse, è il già ricordato incremento dell’eccitabilità del singolo individuo (exaltation or intensification of emotion, p. 24). Si può dire, pensa Mc Dougall, che raramente in altre condizioni le eccitazioni dell’uomo salgono a livelli tanto elevati come può succedere in una massa. Per i suoi membri è una sensazione di godimento abbandonarsi alle proprie passioni senza restrizioni e, dissolti nella massa, perdere il senso dei propri limiti individuali. Mc Dougall spiega il lasciarsi trascinare degli individui con il cosiddetto principle of direct induction of emotion by way of the primitive sympathetic response (p. 25), ossia con il contagio emotivo che ben conosciamo. Il fatto è che percepire i segni di uno stato di eccitazione desta automaticamente in chi li percepisce la stessa eccitazione. L’automatica coazione all’eccitamento diventa tanto più forte quanto maggiore è il numero di persone cui la stessa eccitazione risulta simultaneamente osservabile. Tace allora la critica dell’individuo che si lascia scivolare nella stessa eccitazione, stimolando così ancora di più gli altri che hanno prodotto l’effetto su di lui, aumentando il carico eccitatorio dei singoli individui per induzione reciproca. È innegabile che opera qualcosa come una coazione a fare come gli altri in sintonia con i più. I moti affettivi più semplici e grossolani hanno le maggiori prospettive di diffondersi in una massa in questo modo (p. 39).
Questo meccanismo di incremento eccitatorio è ancora favorito da alcuni altri influssi esercitati dalla massa. All’individuo la massa dà l’impressione di una potenza illimitata e di un pericolo invincibile. La massa si sostituisce momentaneamente alla società umana nel suo complesso, portatrice dell’autorità, di cui si temono i castighi e per amore della quale sono state inflitte tante inibizioni. È chiaramente pericoloso contraddirla ed è più sicuro seguire l’esempio circostante, magari mettendosi a “ululare con i lupi”. Obbedendo alla nuova autorità è permesso far tacere la propria “coscienza morale” precedente e, quindi, cedere all’allettamento del piacere che la sospensione delle inibizioni sicuramente procura. Nel complesso non è sorprendente vedere l’individuo nella massa compiere o approvare cose da cui in condizioni di vita normali si asterrebbe. Possiamo addirittura sperare per questa via di far luce sull’enigma che la parola “suggestione” sa occultare.
Neanche Mc Dougall contraddice la tesi dell’inibizione collettiva dell’intelligenza nella massa (p. 41). Dice che le intelligenze minori abbassano al proprio livello le superiori. L’attività delle quali sarebbe inibita in primo luogo perché l’incremento dell’eccitazione crea condizioni sfavorevoli al corretto lavoro intellettuale, in secondo luogo perché la massa intimidisce i singoli individui, la cui elaborazione di pensiero non procede liberamente, e in terzo luogo perché in ogni individuo diminuisce il senso di responsabilità per la propria prestazione.
Il giudizio complessivo sulle prestazioni psichiche di una semplice massa “disorganizzata” non suona più favorevole in Mc Dougall che in Le Bon. Una massa siffatta (p. 45) è “oltremodo eccitabile, impulsiva, passionale, volubile, incoerente, irresoluta e al tempo stesso pronta ad azioni estreme, accessibile solo alle passioni più rozze e ai sentimenti più semplici, oltre modo suggestionabile, superficiale nelle considerazioni, avventata nei giudizi, capace di assimilare solo le conclusioni e le argomentazioni più semplici e imperfette, facile da orientare e da scuotere, priva di autocoscienza, di rispetto di sé e di senso di responsabilità, ma pronta a lasciarsi trascinare dalla coscienza della propria forza a qualunque misfatto ammissibile solo per potenze assolute e irresponsabili. Si comporta come un bambino maleducato o un selvaggio passionale e incontrollato in una situazione per lui inconsueta. Nei casi peggiori il suo comportamento è più quello simile a quello di un gruppo di animali bradi più che di esseri umani.
Poiché Mc Dougall contrappone a quello qui descritto il comportamento delle masse assai organizzate, siamo particolarmente ansiosi di sapere in che cosa consista tale organizzazione e quali fattori la producano. L’autore enumera cinque di queste principal conditions per elevare la vita psichica a un livello superiore.
La prima condizione fondamentale è una certa continuità di esistenza della massa, che può essere materiale o formale. La prima è quando le stesse persone permangono nella stessa massa per un tempo piuttosto lungo; la seconda quando all’interno della massa si sviluppano determinate posizioni, assegnate a persone separate.
La seconda è che nell’individuo si sia formata una certa rappresentazione della natura, della funzione, delle prestazioni e delle pretese della massa, da cui possa darsi un rapporto sentimentale con l’intera massa.
La terza è che la massa entri in rapporto con altre formazioni simili a lei ma su molti punti diverse, tanto da rivaleggiare con loro.
La quarta, che la massa possieda tradizioni, usi e istituzioni che si riferiscano in particolare ai reciproci rapporti tra componenti.
La quinta, che nella massa si dia un’articolazione espressa nella specializzazione e differenziazione delle prestazioni che toccano all’individuo.
Secondo Mc Dougall la realizzazione di queste condizioni elimina gli svantaggi psichici delle formazioni di massa. Contro l’abbassamento collettivo delle prestazioni intellettuali ci si difende sottraendo alla massa la soluzione di compiti intellettuali e affidandola ai singoli individui.
Ci sembra che la condizione, indicata da McDougall come “organizzazione” della massa, si possa descrivere a miglior diritto in altri termini. Il compito è di conferire alla massa le qualità, già caratteristiche dell’individuo, da lui perse nella formazione della massa. Infatti, fuori dalla massa primitiva, l’individuo aveva la propria continuità, la propria autocoscienza, le proprie tradizioni e abitudini, la propria particolare attività lavorativa e collocazione sociale. Inoltre si manteneva separato dagli altri con cui rivaleggiava. Perse temporaneamente tutte queste qualità entrando nella massa non “organizzata”. Riconosciuto lo scopo di dotare la massa degli attributi dell’individuo, si pensa a un’osservazione molto significativa di Trotter,[14] che nella tendenza alla formazione di masse scorge la continuazione biologica della multicellularità di tutti gli organismi superiori.[15
IV Suggestione e libido
Siamo partiti dal dato di fatto di base che, all’interno di una massa e per suo influsso, l’individuo sperimenta una modifica spesso profonda della sua attività psichica. La sua eccitabilità aumenta in modo straordinario e le sue prestazioni intellettuali si riducono marcatamente, entrambi processi chiaramente diretti a uniformare il singolo agli altri individui della massa. Il risultato può essere raggiunto solo levando le specifiche inibizioni pulsionali dell’individuo e rinunciando alle particolari configurazioni delle sue inclinazioni. Abbiamo visto che una più alta “organizzazione” delle masse può almeno in parte neutralizzare tali effetti spesso indesiderati. Ciò non contraddice, tuttavia, il fatto fondamentale della psicologia di massa, ossia le due tesi dell’incremento eccitatorio e dell’inibizione del pensiero nella massa primitiva. Ora il nostro interesse va nel senso di trovare una spiegazione psicologica della trasformazione psichica dell’individuo nella massa.
Fattori razionali, come la già citata intimidazione dell’individuo o l’azione della sua pulsione di conservazione, non esauriscono i fenomeni osservati. Ciò che i sociologi o gli psicologi sociali ci offrono come spiegazione è sempre la stessa cosa, magari cambiata di nome: la parola magica è suggestione. Tarde la chiamava imitazione. Ma dobbiamo dare ragione all’obiezione di un autore secondo cui l’imitazione ricade nel concetto di suggestione, essendone una conseguenza.[16] Le Bon riporta tutti gli sconcertanti fenomeni sociali a due fattori: la suggestione reciproca degli individui e il prestigio dei leader. Ma il prestigio si manifesta a sua volta solo nell’effetto che suscita: la suggestione. Per un momento in Mc Dougall abbiamo avuto l’impressione che il suo principio della “induzione eccitatoria primaria” rendesse superfluo assumere la suggestione. Ma, riflettendo ulteriormente, dobbiamo renderci conto che tale principio non enuncia altro che le note affermazioni sulla “imitazione” o sul “contagio”, solo accentuandone il fattore eccitatorio. Indubbiamente c’è in noi la tendenza a cadere nella stessa eccitazione ogni volta che notiamo nell’altro i segni dello stato eccitatorio. Ma quanto spesso vi resistiamo con successo, rifiutando l’eccitazione? Perché all’interno della massa cediamo regolarmente al contagio? Occorrerà di nuovo ammettere che l’influsso suggestivo della massa ci costringe a obbedire alla tendenza all’imitazione, che l’eccitazione induce in noi. Del resto, neanche in Mc Dougall riusciamo a evitare la suggestione. Non diversamente dagli altri, vediamo che anche lui afferma che le masse si contraddistinguono per una particolare suggestionabilità.
Siamo così pronti ad asserire che la suggestione (o più correttamente, la suggeribilità) è un fenomeno originario, ulteriormente non riducibile, un fatto fondamentale della vita psichica umana. Tale lo ritenne anche Bernheim, delle cui stupefacenti capacità fui testimone nel 1889. Ma ricordo ancora la mia sorda ostilità contro questa tirannia della suggestione. Se un malato non si mostrava docile, veniva sgridato: “Ma cosa fa? Vous vous contre-suggestionnez! Allora mi dicevo che era una palese ingiustizia e un atto di violenza. L’uomo ha certo diritto alla contro-suggestione, se si tenta di assoggettarlo con la suggestione. In seguito la mia resistenza si orientò alla ribellione ad ammettere che la suggestione, che spiegava tutto, dovesse a sua volta sottrarsi alla spiegazione. Ripetevo in proposito il vecchio ritornello:
Christophorus Christum, sed Christus sustulit orbem:
Constiterit pedibus dic ubi Christophorus?
Cristoforo portava Cristo,
Cristo portava il mondo;
dimmi, dove poggiava i piedi Cristoforo?
Se ora, a circa trent’anni di distanza, mi rivolgo di nuovo all’enigma della suggestione, trovo che nulla è cambiato. Posso prescindere da una sola eccezione, che testimonia l’influsso della psicanalisi. Vedo che ci si dà un gran da fare a definire il concetto di suggestione, ossia a stabilire convenzionalmente l’uso del termine;[17] cosa non inutile, del resto, dato che la parola va incontro a un uso sempre più esteso con significato sempre più vago e presto indicherà un influsso di qualsiasi natura, come in inglese, dove to suggest, suggestion corrispondono ai nostri “consigliare”, “stimolare”. Ma sull’essenza della suggestione, cioè sulle condizioni in cui si producono influenze senza giustificazione logica, manca tuttora chiarezza. Non mi sottrarrei al compito di corroborare tale affermazione analizzando la letteratura degli ultimi trent’anni. Solo lo sospendo, ben sapendo che nel mio ambiente sono in programma dettagliate ricerche proprio con tale compito.[18]
Per chiarire la psicologia delle masse tenterò, invece, di utilizzare il concetto di libido, che ci ha reso un buon servizio nello studio delle psiconevrosi.
Libido è un termine della dottrina dell’eccitabilità. Chiamiamo così, considerandola come grandezza quantitativa, anche se attualmente non misurabile, l’energia di quelle pulsioni che hanno a che fare con tutto ciò che si può riassumere nella parola “amore”. Forma il nucleo naturale di ciò che chiamiamo “amore”, di ciò che tutti chiamano amore e che i poeti cantano: l’amore tra i sessi che tende all’unione sessuale. Ma non escludiamo tutto ciò che partecipa al nome di amore, da una parte l’amore di sé, dall’altra l’amore per i genitori e per i figli, l’amicizia e tutte le forme di amore umano, non esclusa la dedizione a oggetti concreti o a idee astratte. La nostra giustificazione, appresa dalla ricerca psicanalitica, è che tutte queste tendenze esprimono gli stessi moti pulsionali che spingono i sessi all’unione sessuale, mentre in altre circostanze sono deviati dalla meta sessuale o ostacolati nel suo raggiungimento, pur mantenendo dell’originaria natura quanto basta a identificarli (sacrificio di sé, tendenza alla vicinanza).
Riteniamo, quindi, che con la parola “amore”, nei suoi molteplici usi, la lingua abbia operato una sintesi del tutto legittima. Non possiamo far di meglio che basare su di essa le nostre discussioni e descrizioni scientifiche. Con tale decisione la psicanalisi ha scatenato una tempesta di indignazione, come se si fosse resa colpevole di un’empia innovazione. Eppure, con tale concezione “ampia” dell’amore, la psicanalisi non ha fatto nulla di originale. Per origine, funzione e rapporto con l’amore sessuale l’Eros del filosofo Platone si mostra perfettamente sovrapponibile alla forza dell’amore, o libido della psicanalisi, come Nachmanson e Pfister hanno dimostrato nell’individuo.[19] Quando nella famosa lettera ai Corinzi l’apostolo Paolo loda l’amore sopra tutto, l’ha inteso di certo proprio in senso “ampio”.[20] Se ne deduce solo che non sempre gli uomini prendono sul serio i loro grandi pensatori, anche se invano li ammirano molto.
A maggior ragione, per la loro origine la psicanalisi chiama ora queste pulsioni erotiche pulsioni sessuali. La maggior parte delle persone “colte” ha recepito tale denominazione come offensiva, ritorcendo alla psicanalisi il rimprovero di “pansessualismo”. Chi considera la sessualità qualcosa di vergognoso e degradante per la natura umana è libero di servirsi dei termini più elevati di “eros” e “erotismo”. Anch’io avrei potuto far così sin dall’inizio e mi sarei risparmiato molte contestazioni. Ho preferito di no, per non concedere nulla alla pusillanimità. Se si prende questa strada, non si sa dove si va a finire. Si inizia cedendo sulle parole e poco per volta si cede sulle cose. Non so trovare alcun merito nel vergognarsi della sessualità. La parola greca eros, che dovrebbe mitigare l’offesa, in ultima analisi non è altro che la traduzione della nostra parola “amore”. Infine, a chi sa attendere non serve fare concessioni.
Metteremo pertanto alla prova la premessa che le relazioni d’amore (indifferentemente, i legami affettivi) formino anche l’essenza dell’anima della massa. Ricordiamo che mai gli autori non ne parlano. Chiaramente cosa vi corrisponde si nasconde dietro il paravento della suggestione. Basiamo la nostra attesa su due pensieri ancora in formazione. Primo, la massa è chiaramente tenuta insieme da qualche forza. A quale forza potremmo meglio attribuire questa già descritta funzione se non a Eros, che tiene insieme tutte le cose del mondo? Secondo, si ha l’impressione che, rinunciando alla propria specificità e lasciandosi suggestionare dagli altri, l’individuo nella massa risponda all’insito bisogno di stare in armonia con loro piuttosto che in contrapposizione. Forse, allora, lo fa “per amor loro”.
V Due masse artificiali: Chiesa ed esercito
Rammentiamo che in base alla loro morfologia si possono distinguere tipi assai diversi di masse, con direzioni di formazione opposte. Esistono masse del tutto transitorie e molto durevoli, omogenee, composte da individui simili, e non omogenee, naturali e artificiali, la cui coesione richiede anche una coazione esterna, primitive e articolate, altamente organizzate. Per ragioni dall’intento ancora nascosto, svilupperò una particolare distinzione, dagli autori per lo più poco trattata, cioè quella tra masse con e senza leader. Proprio contro l’uso abituale la nostra ricerca non sceglie come punto di partenza una formazione di massa relativamente semplice, ma comincia da masse assai organizzate, durevoli e artificiali. Gli esempi più interessanti di tali formazioni sono la Chiesa, la comunità dei credenti, e le forze armate, l’esercito.
Chiesa ed esercito sono masse artificiali. Ciò significa che per salvaguardarle dalla dissoluzione[21] e impedirne modifiche strutturali, alla massa si applica una certa coazione esterna. Di regola nessuno viene consultato né lasciato libero se vuole entrare a far parte di tale massa. Di solito il tentativo di uscirne è perseguito o severamente punito o vincolato a precise condizioni. È per ora fuori dai nostri interessi chiarire perché i modi della socializzazione richiedano garanzie tanto particolari. Ci attira solo il fatto che in queste masse assai organizzate, e in certo qual modo protette dal pericolo di disgregazione, siano più evidenti certi rapporti che altrove sono molto più nascosti.
Nella Chiesa – possiamo vantaggiosamente prendere a modello la Chiesa cattolica – come nell’esercito, per quanto diversi, vige la medesima finzione (illusione) che ci sia un capo supremo – nella Chiesa cattolica il Cristo, nell’esercito il generale – che ama dello stesso amore tutti i singoli componenti della massa. Da tale illusione dipende tutto. Se cadesse, Chiesa ed esercito crollerebbero subito, almeno finché non lo impedisce la costrizione esterna. Proprio questo amore è espresso a chiare lettere da Cristo: “Quel che avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avrete fatto a me”. Nei confronti dei singoli membri della massa dei credenti Cristo ha la funzione di fratello maggiore amorevole; è per loro un sostituto paterno. Tutte le richieste al singolo derivano dall’amore di Cristo. Un tratto democratico attraversa tutta la Chiesa, proprio perché davanti a Cristo tutti sono uguali; tutti partecipano nella stessa misura al suo amore. Non senza una profonda ragione si paragona la comunità cristiana a una famiglia e i credenti si chiamano fratelli in Cristo, cioè affratellati dall’amore di Cristo per loro. Indubbiamente il legame di ogni individuo con Cristo è la causa anche del legame degli individui tra loro.
Lo stesso vale per l’esercito. Il generale è il padre che ama allo stesso modo tutti i suoi soldati, che così diventano camerati tra di loro. L’esercito si differenzia strutturalmente dalla Chiesa perché è costruito come un edificio a più piani di tali masse. Ogni leader è contemporaneamente generale e padre del proprio reparto, ogni sottufficiale del proprio plotone. Una gerarchia simile si forma anche nella Chiesa, ma non vi gioca lo stesso ruolo economico [nella ripartizione libidica]. Infatti a Cristo si ascrivono più sapere e sollecitudine per i singoli individui del generale umano.
A ragione contro tale concezione della struttura libidica di un esercito si obietterà che non fa posto alle idee di patria, gloria nazionale e altre, tanto importanti per la coesione dell’esercito. La risposta è che si tratta di un caso diverso di legame di massa, non più così semplice, e che gli esempi di grandi condottieri, come Cesare, Wallenstein, Napoleone, mostrano che tali idee non sono indispensabili alla sussistenza di un esercito. In seguito si discuterà brevemente intorno alla possibile sostituzione del leader con un’idea guida e ai rapporti tra i due. Anche se non è l’unico fattore libidico operante, trascurarlo non sembra solo un difetto in teoria, ma anche un pericolo in pratica. Il militarismo prussiano, antipsicologico come la scienza tedesca, avrebbe dovuto farne esperienza durante la grande guerra. Le nevrosi di guerra che devastarono l’esercito tedesco sono state in gran parte riconosciute come protesta dell’individuo contro il ruolo assegnatogli nell’esercito. Secondo i resoconti di Simmel,[22] si può dire che il trattamento senza amore della truppa da parte dei suoi superiori sia stato il fattore principale della malattia. Verosimilmente con una migliore valutazione della pretesa libidica le fantastiche promesse in 14 punti del presidente americano [Wilson] non avrebbero tanto facilmente perso credito e il loro grandioso strumento non si sarebbe rotto tra le mani degli esperti militari tedeschi.
Notiamo che, in entrambe queste masse artificiali, ogni individuo è libidicamente legato da una parte al leader (Cristo, generale) e dall’altra agli altri individui della massa. Dobbiamo lasciare a un successivo esame determinare come questi due legami si rapportino l’uno all’altro, se si equivalgano e siano di pari valore e come descriverli in termini psicologici. Tuttavia, a questo punto ci sentiamo in dovere di rimproverare leggermente gli autori di non aver a sufficienza apprezzato l’importanza del leader nella psicologia della massa. Scegliendo il primo oggetto di indagine noi ci siamo messi in posizione più favorevole. Ci sembra di essere sulla strada giusta per spiegare il fenomeno principe della psicologia delle masse: l’assenza di libertà dell’individuo nella massa. Se ogni individuo è vincolato da un doppio legame affettivo tanto impegnativo, non è difficile dedurne le alterazioni e le restrizioni osservate nella sua personalità.
L’indizio in proposito che l’essenza di una massa consista nei legami libidici ivi presenti si ricava anche dal fenomeno del panico, che si può studiare nel modo migliore nelle masse militari. Il panico insorge quando una massa del genere va in pezzi. La sua caratteristica è che non si dà più retta ad alcun ordine superiore, mentre ognuno si preoccupa solo di sé, incurante degli altri. I legami reciproci decadono, liberando un’angoscia gigantesca e insensata. Naturalmente anche qui si può obiettare che è vero il contrario, cioè che l’angoscia è cresciuta a tal punto da trascendere ogni riguardo e ogni vincolo. Addirittura Mc Dougall (p. 24) ha utilizzato il caso del panico (in ogni caso non militare) come esempio paradigmatico di incremento eccitatorio per contagio (primary induction). Solo che la spiegazione razionale qui non regge. Resta da spiegare proprio perché l’angoscia sia tanto cresciuta. Non si può imputarlo alla grandezza del pericolo. Infatti, lo stesso esercito, ora gettato nel panico, può aver affrontato valorosamente pericoli uguali o maggiori. È tipica dell’essenza panico la sproporzione con il pericolo incombente. Il motivo più futile può scatenarlo. Iniziando a curarsi solo di sé stesso, l’individuo preso dal panico è la prova vivente che sono cessati i legami eccitatori che fino ad allora avevano ai suoi occhi sminuito il pericolo. Ora, solo davanti al pericolo, può darsi che lo consideri maggiore di prima. Il panico presuppone il rilassamento della struttura libidica della massa, cui reagisce adeguatamente, e non viceversa: non è la paura del pericolo che fa decadere i legami libidici della massa.
Queste osservazioni non contraddicono per nulla l’affermazione che l’angoscia provocata nella massa per induzione (contagio) cresca mostruosamente. La concezione di Mc Dougall calza perfettamente al caso di un pericolo realmente grande e della massa priva di forti legami affettivi, condizioni che si verificano, per esempio, quando in un teatro o in locale di divertimento scoppia un incendio.
Il caso istruttivo e ai nostri fini utilizzabile è quello già citato del corpo d’armata che va in panico di fronte a un pericolo non superiore al comune e spesso ben tollerato. Non ci si può attendere che l’uso della parola “panico” sia determinato in modo preciso e univoco. A volte con tale parola si designa qualunque paura di massa, altre volte anche la paura smisurata del singolo individuo. Spesso il termine sembra riservato al caso dell’attacco di angoscia non giustificato dall’occasione. Prendendo la parola “panico” nel senso di paura di massa, possiamo istituire un’analogia che porta lontano. L’angoscia dell’individuo è evocata dal grande pericolo o dalla sospensione dei legami affettivi (occupazioni libidiche). Il secondo è il caso dell’angoscia nevrotica.[23] Analogamente il panico scaturisce o dall’aumento del pericolo per tutti o dalla cessazione dei legami affettivi che uniscono la massa e questo ultimo caso è l’analogo dell’angoscia nevrotica.[24]
Descrivendo il panico alla Mc Dougall come una delle prestazioni più evidenti della group mind, si arriverebbe al paradosso della psiche di massa che si abolisce in una delle proprie manifestazioni più appariscenti. Non c’è dubbio possibile che panico significhi disgregazione della massa, cui consegue il cessare di tutti i riguardi che altrimenti gli individui componenti della massa mostrano l’un l’altro.
L’occasione che tipicamente scatena il panico assomiglia alla parodia di Nestroy del dramma di Hebbel su Giuditta e Oloferne. Quando un guerriero grida: “Il generale ha perso la testa”, tutti gli Assiri prendono la fuga. In un certo senso la perdita del leader, con la conseguente perdita di direzione, portano, a parità di pericolo, allo scoppio del panico. Di regola, insieme al legame con il leader scompaiono anche i legami reciproci tra individui della massa. La massa si sparpaglia come la fiala di Bologna, cui si spezzi la punta.
Non è così facile osservare lo sgretolamento di una massa religiosa. Recentemente ho avuto tra le mani un romanzo inglese di parte cattolica, raccomandato dal vescovo di Londra, intitolato When it was dark. Con perizia e, a mio parere, cogliendo nel segno, il romanzo dipinge una simile possibilità e le conseguenze. Il romanzo, ambientato ai nostri giorni, narra di una cospirazione di nemici della persona di Cristo e dei credenti cristiani, che riesce a trovare una camera tombale di Gerusalemme nella cui iscrizione Giuseppe di Arimatea ammette di avere per pietà al terzo giorno dalla sepoltura segretamente esumato la salma di Cristo e di averla ivi ricomposta. Così finiscono la resurrezione di Cristo e la sua natura divina. Conseguentemente, la scoperta archeologica provoca il sovvertimento della cultura europea e un incremento straordinario di violenze e crimini, che scompare solo dopo che il complotto dei falsari poté essere scoperto.
Ciò che vene in primo piano nello sgretolamento qui supposto della massa religiosa ai nostri giorni non è angoscia, per cui manca la causa scatenante, ma l’impulso rozzo e ostile contro le altre persone che, grazie all’amore universale di Cristo, non poteva venir fuori.[25] Fuori da tale legame rimangono anche durante il regno di Cristo quegli individui che non appartengono alla comunità dei credenti, non la amano e non ne sono riamati. Perciò una religione, anche se si chiama religione dell’amore, deve essere dura e senza amore con chi non ne fa parte. Al fondo ogni religione è religione dell’amore per tutti coloro che abbraccia, ma è ovvia la crudeltà e l’intolleranza per ogni non appartenente. Per quanto possa risultare personalmente difficile, non si possono biasimare troppo i credenti; per questo aspetto miscredenti e indifferenti stanno psicologicamente molto meglio. Anche se oggi l’intolleranza non si manifesta più in modo così violento e crudele come nei secoli passati, non per questo se ne può dedurre la mitigazione degli usi e costumi. La causa di ciò va ricercata molto prima, nell’innegabile affievolirsi dei sentimenti religiosi e dei legami libidici connessi. Se un altro legame di massa subentra a quello religioso, come ora sembra riuscire ai socialisti, si darà la stessa intolleranza verso gli esterni come ai tempi delle guerre di religione. Inoltre, qualora le differenze tra concezioni scientifiche acquisissero per le masse analoga importanza, si ripeterebbe lo stesso risultato anche per questa motivazione.
VI Ulteriori compiti e direzioni di lavoro
Finora abbiamo esaminato due tipi di masse artificiali e trovato che sono dominate da due tipi di legame affettivo, di cui quello con il leader appare, almeno per loro, più determinante dell’altro degli individui della massa tra loro.
Ora ci sarebbe molto da approfondire e da descrivere nella morfologia delle masse. Si dovrebbe partire dalla constatazione che un semplice insieme di uomini non è ancora una massa, finché non si siano stabiliti tali legami. Tuttavia bisognerebbe ammettere che in un arbitrario insieme di uomini subentra molto facilmente la tendenza a formare una massa psicologica. Soprattutto dovremmo occuparci della differenza tra masse con e senza leader. Dovremmo chiederci se le masse con leader non siano più originarie e complete, se nelle altre il leader non possa essere sostituito da un’idea, da un’astrazione, verso cui già le masse religiose costituiscono il passaggio con il loro leader invisibile, se una tendenza comune, un desiderio, condiviso da molti, non possa farne le veci. Tale astrazione potrebbe a sua volta incarnarsi più o meno perfettamente in un leader in un certo senso secondario. Dal rapporto tra idea e leader deriverebbero interessanti e molteplici esiti. Il leader o l’idea guida potrebbero per così dire negativizzarsi: l’odio per una data persona o istituzione potrebbe avere effetti unificanti e suscitare legami affettivi come l’attaccamento positivo. Allora ci si chiede anche se il leader sia effettivamente indispensabile per la massa e altro ancora.
Ma tutte queste questioni, per quanto possano essere anche parzialmente trattate nella letteratura di psicologia delle masse, non riusciranno a sviare il nostro interesse dai problemi psicologici di fondo che la struttura di una massa ci offre. Anzitutto siamo vincolati da una considerazione che promette di portarci per la via più breve a dimostrare che caratteristici di una massa sono proprio i legami libidici.
Consideriamo il modo in cui gli uomini in generale si comportano affettivamente l’uno rispetto all’altro. Secondo il famoso paragone di Schopenhauer dei porcospini al freddo, nessuno tollera la vicinanza troppo stretta dell’altro.[26]
Secondo la testimonianza della psicanalisi, praticamente ogni rapporto affettivo intimo e di lunga durata tra due persone – matrimonio, amicizia, rapporto tra genitori e figli[27] – contiene un fondo di sentimenti ostili di rifiuto, che sfuggono alla percezione solo perché rimossi. Chiaramente ogni collega litiga con il proprio collega e ogni dipendente brontola con il proprio superiore. Succede lo stesso quando gli uomini si riuniscono in unità più grandi. Di due famiglie che stabiliscono un vincolo matrimoniale, ognuna si sente migliore o superiore all’altra. Di due città vicine, ognuna è la più accanita concorrente dell’altra. Ogni cantone considera con sufficienza il vicino. Stirpi imparentate si rigettano l’un l’altra. I tedeschi del sud non sopportano quelli del nord, gli inglesi dicono tutto il male degli scozzesi, gli spagnoli disprezzano i portoghesi. Non ci meraviglia quindi che differenze maggiori, come quelle tra Galli e Germani, ariani e semiti, bianchi e di colore, comportino un’avversione difficilmente superabile.
Chiamiamo ambivalenza affettiva l’ostilità diretta verso persone altrimenti amate. Sicuramente è troppo razionale spiegarla con le tante occasioni di conflitti di interesse all’interno di relazioni così strette. Nelle palesi avversioni e ripugnanze verso lo straniero vicino possiamo riconoscere l’espressione di un amore di sé, di un narcisismo, che tende ad autoaffermarsi e si comporta come se ogni deviazione dalla propria formazione portasse con sé una sua critica e una pretesa a riformularla in altri termini. Ignoriamo perché tanta sensibilità debba appigliarsi proprio a tali particolari della differenziazione. È però innegabile che in questo comportamento umano si manifesti una predisposizione all’odio un’aggressività di origine sconosciuta, che potrebbe corrispondere a un carattere elementare.[28]
Ma tutta questa intolleranza scompare, per breve o lungo tempo, nella formazione della massa e nella massa. Finché la formazione della massa dura e fin dove si estende, gli individui si comportano come se fossero omogenei, sopportano le peculiarità dell’altro, si pongono come uguali a lui e non provano senso di ripugnanza contro di lui. Secondo la nostra visione teorica un solo fattore può produrre una simile restrizione del narcisismo: il legame libidico con gli altri. L’amore di sé stessi trova una barriera solo nell’amore per l’estraneo, per gli oggetti.[29] A questo punto si pone la questione se gli interessi della comunità, in sé e per sé senza contributi libidici, non portino a sopportare e rispettare l’altro. All’obiezione si risponde che così non si limita stabilmente il narcisismo, perché tale tolleranza dura meno del vantaggio immediato della collaborazione dell’altro. Tuttavia, il valore pratico della discussione è inferiore a quel che si pensa. Infatti, l’esperienza mostra che in caso di collaborazione tra i componenti si formano regolarmente legami libidici, che prolungano e fissano la relazione reciproca al di là del vantaggio personale.
Nei rapporti sociali tra uomini succede ciò che la ricerca psicanalitica ha reso noto nello sviluppo della libido individuale. La libido si appoggia alla soddisfazione dei grandi bisogni vitali e come primi oggetti sceglie le persone ivi coinvolte. Come nel singolo individuo, anche nello sviluppo dell’intera umanità solo l’amore ha agito da fattore di civiltà, trasformando l’egoismo in altruismo, sia a livello dell’amore sessuale per la donna, con tutte le sue necessità correnti di risparmiare ciò che le è caro, sia a livello dell’amore omosessuale per l’altro uomo, desessualizzato e sublimato, legato al lavoro comune.
Se nella massa subentrano restrizioni all’amore narcisistico di sé, che non produce effetti fuori di sé, è un indizio convincente per pensare che l’essenza della formazione della massa consista di reciproci legami libidici neoformati tra i membri della massa.
Ma ora il nostro interesse pone con urgenza la domanda di che natura siano i legami nella massa. Nella teoria psicanalitica delle nevrosi ci siamo finora occupati esclusivamente del legame con l’oggetto di tali pulsioni erotiche, che perseguono mete sessuali ancora dirette. Chiaramente nella massa non può trattarsi di tali mete sessuali immediate. Qui abbiamo a che fare con pulsioni erotiche che, senza per questo operare meno energicamente, deviano dalle loro mete originarie. Abbiamo già osservato nell’ambito dell’usuale investimento oggettuale sessuale fenomeni di deviazione dalla meta sessuale. Li abbiamo descritti come gradi di innamoramento, riconoscendo che portano con sé una certa misura di compromissione dell’Io. A tali fenomeni dell’innamoramento dedicheremo tra breve maggiore attenzione, nella fondata attesa di trovarvi condizioni trasferibili nei legami delle masse. Inoltre vorremmo sapere se questa forma di investimento d’oggetto, così come la conosciamo nella vita sessuale, rappresenti l’unica forma di legame affettivo con un'altra persona o non dobbiamo invece considerare ancora altri meccanismi. Di fatto dalla psicanalisi apprendiamo che esistono altri meccanismi di legame affettivo. Sono le cosiddette identificazioni, processi non abbastanza noti, difficili da descrivere, il cui esame ci terrà per un bel po’ lontano dal tema della psicologia delle masse.
VII L’identificazione
In psicanalisi l’identificazione è nota alla psicanalisi come la manifestazione più precoce del legame affettivo con un’altra persona. Ha un ruolo nella preistoria del complesso edipico. Il bambino mette in luce un particolare interesse per suo padre. Vorrebbe diventare ed essere come lui, subentrare al suo posto in tutto e per tutto. Diciamolo tranquillamente: prende il padre come suo ideale. Questo comportamento non ha nulla a che fare con una posizione passiva o femminile verso il padre o al maschio in genere. Anzi, è squisitamente maschile. Si accorda molto bene con il complesso d’Edipo che aiuta a preparare.
Contemporaneamente a questa identificazione con il padre, forse anche prima, il bambino affronta l’impresa di una vera e propria occupazione dell’oggetto del tipo per appoggio sulla madre, mostrando così due legami psicologicamente diversi: con la madre un investimento d’oggetto, chiaramente sessuale, con il padre l’identificazione modello. Per un po’ di tempo i due processi coesistono senza influenzarsi né disturbarsi a vicenda. Alla fine, come conseguenza dell’incessante e progressiva unificazione della vita psichica, si incontrano e confluiscono originando il normale complesso edipico. Il piccolo nota che il padre gli sbarra la strada verso la madre. Allora, l’identificazione con il padre assume una tinta ostile e diventa identica al desiderio di sostituirlo anche presso la madre. L’identificazione è fin dall’inizio ambivalente, potendo oscillare dall’espressione di tenerezza al desiderio di soppressione. Si comporta come derivato della prima fase orale dell’organizzazione libidica, in cui l’oggetto desiderato e apprezzato è incorporato e, quindi, annientato in quanto tale. Come è noto, il cannibale si ferma a questo stadio: ama i nemici fino a divorarli e non divora chi non può in qualche modo amare.[30]
In seguito è facile perdere di vista il destino dell’identificazione paterna. Può darsi che il complesso edipico si capovolga ponendo il padre come oggetto all’interno di una posizione femminile, da cui le pulsioni sessuali dirette attendono soddisfazione. Allora l’identificazione con il padre precorre il legame oggettuale con lui. Con le corrispondenti sostituzioni, lo stesso vale per la bambina.
È facile esprimere in una formula la differenza tra l’identificazione con il padre e la scelta del padre come oggetto. Nel primo caso il padre è ciò che si vorrebbe essere, nel secondo quel che si vorrebbe avere. È, quindi, una differenza tra due legami: uno tocca il soggetto, l’altro l’oggetto dell’Io. Il primo, pertanto, precede qualsiasi scelta d’oggetto sessuale. È molto più difficile presentare questa differenza in termini metapsicologici intuitivi. Si riconosce solo che l’identificazione tende a formare similmente il proprio Io, prendendo a “modello” l’altro.
Isoliamo l’identificazione dall’intricato contesto della formazione del sintomo nevrotico. La bambina piccola, a cui ora vogliamo far riferimento, soffre dello stesso sintomo di cui soffre sua madre, per esempio la stessa tosse molesta. La cosa può andare in diversi modi. Se l’identificazione è la stessa derivante dal complesso edipico, significa la volontà ostile di sostituire la madre. Allora il sintomo esprime l’amore oggettuale per il padre e realizza la sostituzione della madre sotto l’influsso del senso di colpa: Hai voluto essere la madre; ora lo sei, almeno nella sofferenza. È questo il meccanismo completo di formazione del sintomo isterico. Oppure il sintomo è lo stesso della persona amata, per es. Dora, nel Frammento di un’analisi di isteria, imita la tosse del padre. Allora, possiamo descrivere lo stato delle cose solo così: l’identificazione è subentrata alla scelta oggettuale; la scelta oggettuale è regredita all’identificazione. Abbiamo visto che l’identificazione è la forma più antica e più originaria di legame affettivo. Spesso, nelle condizioni di formazione del sintomo, che sono di rimozione e di predominio dei meccanismi inconsci, succede che la scelta oggettuale ridiventi identificazione e, quindi, che l’Io assuma le qualità dell’oggetto. È notevole che l’Io identificato ora copi la persona amata, ora la non amata. Ci colpisce anche che nei due casi l’identificazione sia parziale, assai limitata e prenda a prestito solo un unico tratto (einen einzigen Zug) della persona in oggetto.
In particolare più frequente e importante, il terzo caso di formazione del sintomo è quando l’identificazione prescinde del tutto dal rapporto d’oggetto con la persona copiata. Per esempio, se una ragazza in un pensionato riceve dall’innamorato segreto una lettera che la fa ingelosire e reagire con un attacco isterico, le amiche, che sono al corrente, riprendono l’attacco, come diciamo noi, per via dell’infezione psichica. È il meccanismo dell’identificazione basato sul potere o sul volere mettersi nella stessa situazione. Anche le altre vorrebbero avere un amore segreto e, influenzate dal senso di colpa, ne accettano la connessa sofferenza. Sarebbe scorretto affermare che si appropriano del sintomo per simpatia. Al contrario, la simpatia sgorga solo dall’identificazione. Lo dimostrano l’infezione psichica, ossia l’imitazione in circostanze in cui tra due persone si suppone simpatia ancora minore della solita tra compagne di collegio. Uno dei due Io ha percepito nell’altro un’analogia significativa, nell’esempio la stessa predisposizione sentimentale. Lì si forma un’identificazione e, influenzata dalla situazione patogena, questa identificazione si sposta sul sintomo prodotto da uno dei due Io. Allora l’identificazione attraverso il sintomo segnala un luogo, da mantenere rimosso, dove i due Io si sovrappongono.
Quanto appreso da queste tre fonti è così riassumibile: primo, l’identificazione è la forma più originaria di legame affettivo con un oggetto; secondo, l’identificazione si trasforma regressivamente in sostituto di un legame oggettuale libidico, per così dire attraverso l’introiezione dell’oggetto nell’Io; terzo, l’identificazione può originare da una comunanza qualsiasi, percepita ex novo in qualcuno che non è oggetto di pulsioni sessuali. Più significativa è la comunanza, meglio riesce l’identificazione parziale, tanto da corrispondere all’inizio di un nuovo legame.
Ormai siamo pronti a supporre che il legame reciproco tra individui di una stessa massa abbia la natura dell’identificazione con un’importante comunanza affettiva, quale possiamo supporre esista nel tipo di legame con il leader. Secondo un’altra congettura, siamo ben lungi dall’avere esaurito il problema dell’identificazione; siamo in presenza del processo chiamato “immedesimazione” (Einfühlung) [o “empatia”], importante per comprendere l’estraneità dell’Io degli altri. Qui però vogliamo limitarci agli effetti affettivi immediati dell’identificazione, lasciando da parte la sua importanza anche per la nostra vita intellettuale.
La ricerca psicanalitica, che ha già avuto occasione di affrontare i difficili problemi della psicosi, è riuscita a spiegare l’identificazione in casi non immediatamente comprensibili. Ne tratterò in dettaglio due casi come materiale per le nostre ulteriori riflessioni.
In molti casi la genesi dell’omosessualità maschile è la seguente. Il giovane uomo è stato insolitamente a lungo e intensamente fissato a sua madre nel senso del complesso edipico. Alla fine, compiuta la pubertà, arriva il momento di scambiare la madre con un altro oggetto sessuale. A questo punto avviene la svolta improvvisa. L’adolescente non abbandona la madre, ma si identifica con lei, si trasforma in lei e ora cerca oggetti che sostituiscano l’Io da amare e curare come già sperimentato con la madre. È un processo molto frequente. Lo si può confermare quanto si vuole e naturalmente del tutto indipendente da ogni ipotesi sulla forza organica della pulsione e sui motivi della svolta improvvisa. Di tale identificazione colpisce la portata. Trasforma l’Io in una parte molto importante, nel carattere sessuale, secondo il modello dell’oggetto di poco tempo prima. Al tempo stesso l’oggetto stesso viene abbandonato; non si discute qui se per intero o solo nel senso che rimane conservato nell’inconscio. L’identificazione con l’oggetto abbandonato o perso, come la sostituzione dello stesso e l’introiezione dell’oggetto nell’Io non sono più novità per noi. A volte il processo è direttamente osservabile nel bambino. Nell’Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse è stato di recente pubblicato il caso di un bambino che, infelice per la perdita del gattino, dichiarava senz’altro di essere lui stesso il gattino e perciò camminava a quattro zampe, non voleva mangiare a tavola, ecc.[31]
Altro esempio di tale introiezione dell’oggetto ci è dato dall’analisi della melanconia, affezione che annovera fra i motivi più evidenti la perdita reale o affettiva dell’oggetto amato. La principale caratteristica di questi casi è la crudele autodenigrazione dell’Io, associata a autocritica senza risparmi e amari autorimproveri. Dall’analisi risulta che svalutazione e rimproveri si riferiscono all’oggetto e rappresentano la vendetta dell’Io su di lui. “L’ombra dell’oggetto è caduta sull’Io”, ho scritto altrove.[32] L’introiezione dell’oggetto è qui di innegabile evidenza.
Ma queste melanconie ci indicano ancora qualcosa di potenzialmente importante per ulteriori considerazioni. Ci mostrano l’Io diviso, spaccato in due pezzi, di cui una infuria sull’altra. L’altro pezzo, modificato dall’introiezione, include l’oggetto perduto. Il pezzo che si comporta in modo così feroce non ci è ignoto. È quello che include la coscienza morale, istanza critica nell’Io che anche in tempi normali si contrappone criticamente all’Io, seppure mai in modo così inflessibile e ingiusto. Già in precedenti occasioni (narcisismo, lutto e melanconia) abbiamo dovuto ammettere che nell’Io si sviluppa un’istanza che può separarsi dal resto dell’Io e confliggere con lui. L’abbiamo chiamata “Ideale dell’Io”, ascrivendole funzioni come l’auto-osservazione, la coscienza morale, la censura onirica e l’influsso principale sulla rimozione. Abbiamo detto anche che eredita il narcisismo originario di quando l’Io infantile bastava a sé stesso. A poco a poco, tra gli influssi dall’ambiente sull’Io, questa istanza seleziona delle pretese rispetto alle quali non sempre l’Io si dimostra all’altezza. Allora l’uomo, non potendo accontentarsi del proprio Io, si soddisfa con l’Io Ideale, differenziatosi dall’Io. Abbiamo poi stabilito che nel delirio di osservazione la frattura di questa istanza è palese, rivelando la sua origine dagli influssi delle autorità, in primis dei genitori.[33] Non dimentichiamo però di aggiungere che la distanza dell’Ideale dell’Io dall’Io varia molto da individuo a individuo e che in molti casi la differenziazione all’interno dell’Io non va oltre a quella del bambino.
Prima di potere utilizzare questo materiale per comprendere l’organizzazione libidica di una massa, dobbiamo considerare alcuni altri rapporti reciproci tra oggetto e Io.[34]
VIII Innamoramento e ipnosi
Pur nella sua umoralità, l’uso linguistico rimane fedele a una certa qual realtà. Così chiama “amore” i molteplici rapporti affettivi, che anche noi raggruppiamo teoricamente come amore, ma poi dubita di nuovo se tale amore sia proprio quello giusto, alludendo a un complesso di possibili livelli all’interno del fenomeno erotico, che non è difficile ritrovare anche nelle nostre osservazioni.
In una serie di casi l’innamoramento non è altro che l’occupazione dell’oggetto da parte delle pulsioni sessuali, per ottenere la soddisfazione sessuale diretta, che si estingue una volta raggiunto lo scopo. È quel che comunemente si chiama amore sensuale. Ma, come si sa, raramente la situazione libidica è così semplice. La certezza di poter contare sul risvegliarsi del bisogno appena sedato deve essere senz’altro stata la ragione immediata per occupare durevolmente l’oggetto sessuale, “amandolo” anche negli intervalli di tempo liberi dal desiderio.
Dalla storia evolutiva davvero notevole della vita erotica umana, proviene un secondo fattore. Per lo più verso i cinque anni, il bambino ha concluso la prima fase, in cui ha trovato in uno dei genitori il primo oggetto d’amore unificante tutte le pulsioni sessuali che esigevano la loro soddisfazione. L’allora subentrante rimozione lo costrinse a rinunciare alla maggior parte delle mete sessuali infantili, modificando profondamente il rapporto con i genitori. Il bambino restò legato a loro, ma con pulsioni che bisogna chiamare “inibite nella meta”. I sentimenti d’ora in poi provati per queste persone amate sono definiti “teneri”. Si sa che nell’inconscio le precoci tendenze “sensuali” si mantengono più o meno forti, in un certo senso senza interruzione della corrente originaria.[35]
Con la pubertà si stabiliscono le ben note, nuove e molto intense tendenze verso mete sessuali dirette, che in casi sfavorevoli formano una corrente sensuale separata dalle perduranti inclinazioni “tenere”. Siamo di fronte a un quadro i cui due aspetti certa letteratura idealizza volentieri. L’uomo mostra tendenze entusiaste per donne altamente stimate, che non lo stimolano al rapporto erotico, mentre è potente solo con le altre che non “ama”, valuta poco o addirittura disprezza.[36] Più spesso l’adolescente arriva a una certa sintesi tra amore non sensuale, celeste, e sensuale, terreno, o – come diciamo noi – realizza un rapporto con l’oggetto sessuale attraverso la cooperazione di pulsioni rispettivamente inibite e non inibite nella meta. Secondo la quota di pulsioni tenere inibite nella meta si può misurare il livello di innamoramento rispetto al desiderio meramente sensuale.
Nel quadro di tale innamoramento ci ha sin dall’inizio colpito il fenomeno della sopravvalutazione sessuale, cioè che l’oggetto amato goda di una certa libertà rispetto alla critica, che tutte le sue qualità siano stimate più delle persone non amate o più che nel periodo in cui non era amato. A causa di una rimozione in una certa misura efficiente o di una riduzione delle tendenze sessuali, si crea l’illusione di amare l’oggetto anche sensualmente per i sui pregi spirituali, mentre viceversa solo il piacere sensuale può avergli conferito tale preferenza.
La forzatura che qui falsa il giudizio è l’idealizzazione. Tuttavia, ci facilita l’orientamento. Riconosciamo che l’oggetto è trattato alla stregua del proprio Io. Pertanto nell’innamoramento una gran quantità di libido narcisistica deborda sull’oggetto. In alcune forme di scelta erotica è evidente che l’oggetto serve a sostituire un proprio, mai raggiunto, ideale dell’Io. Lo si ama per la perfezione pretesa per l’Io e perché ora, per questa via tortuosa, potrebbe soddisfare il proprio narcisismo.
Aumentando ulteriormente la sopravvalutazione sessuale e l’innamoramento, l’interpretazione del quadro si fa sempre più irriconoscibile. Le spinte alla soddisfazione sessuale diretta possono ora essere interamente respinte, come per esempio succede regolarmente negli amori esaltati degli adolescenti. L’Io diventa sempre meno esigente e più sottomesso, l’oggetto sempre più grandioso e pregiato, fino a impossessarsi di tutto l’amore dell’Io per sé stesso, così che la naturale conseguenza è l’autosacrificio. Per così dire, l’oggetto ha divorato l’Io. In ogni caso di innamoramento sono presenti tratti di umiltà, restrizioni del narcisismo, autolesionismo. In casi estremi sono tanto accentuati da dominare incontrastati, una volta rientrate le pretese sensuali.
Ciò è particolarmente facile nel caso dell’amore infelice e irrealizzabile, dato che per la soddisfazione sessuale la sopravvalutazione sessuale sperimenta sempre di nuovo una riduzione. Al tempo stesso alla “dedizione” dell’Io all’oggetto, indistinguibile ormai dalla dedizione sublimata a un’idea astratta, falliscono del tutto (versagen) le funzioni attribuite all’Ideale dell’Io. Tace la critica esercitata da tale istanza. Tutto quel che l’oggetto fa ed esige è giusto e non si può biasimare. La coscienza morale non si applica a ciò che aggrada all’oggetto. Nell’abbaglio amoroso si diventa criminali senza pentirsi. L’intera situazione si riassume senza residui nella formula: L’oggetto si è messo al posto dell’Io ideale.
Nelle loro manifestazioni più elevate, che si chiamano fascinazione e soggezione erotica, è ora facile descrivere la differenza tra identificazione e innamoramento. Nel primo caso l’Io si arricchisce delle qualità dell’oggetto “introiettandolo”, secondo l’espressione di Ferenczi. Nel secondo caso l’Io si è impoverito consacrandosi all’oggetto, messo al posto della propria componente più importante. Ma già a una più attenta considerazione si nota che tale rappresentazione simula contrasti inesistenti. Dal punto di vista economico non si tratta né di impoverimento né di arricchimento. Anche l’estremo innamoramento si può descrivere come l’Io che ha introiettato in sé l’oggetto. Forse un’altra distinzione coglie meglio l’essenziale. Nel caso dell’identificazione, l’oggetto o si perde o si abbandona. Poi lo si ricostituisce nell’Io, che si modifica parzialmente sul modello dell’oggetto perduto. Nell’altro caso l’oggetto si mantiene e come tale l’Io lo sovra-occupa a proprie spese. Ma anche questo suscita perplessità. Ammesso che l’identificazione presupponga l’abbandono dell’occupazione dell’oggetto, non può esistere identificazione mantenendo l’oggetto? Prima di addentrarci nella difficile questione, intravediamo un’altra alternativa che contiene l’essenziale della situazione, cioè che l’oggetto si pone al posto dell’Io o dell’Ideale dell’Io.
È chiaro che dall’innamoramento all’ipnosi il passo è breve. Le coincidenze tra i due saltano agli occhi. Lo stesso umile assoggettamento, arrendevolezza, acriticità verso l’ipnotizzatore come verso l’oggetto amato; lo stesso riassorbimento dell’iniziativa personale. Senza dubbio l’ipnotizzatore è subentrato al posto dell’Ideale dell’Io. Nell’ipnosi i rapporti sono più chiari e distinti, così che è meglio spiegare l’innamoramento con l’ipnosi anziché viceversa. L’ipnotizzatore è l’unico oggetto. Accanto a lui non se ne considerano altri. Il fatto che l’Io viva come in sogno tutto quanto l’ipnotizzatore afferma e pretende, ci ricorda che tra le funzioni dell’Ideale dell’Io abbiamo omesso di citare l’esercizio dell’esame di realtà.[37] Non meraviglia che l’Io consideri come reale la percezione per cui l’istanza psichica competente per l’esame di realtà parla a favore. La completa assenza di tendenze non inibite nella meta contribuisce all’estrema purezza dei fenomeni. La relazione ipnotica è una dedizione erotica illimitata, esclusa la soddisfazione sessuale, che nell’innamoramento è solo procrastinata e resta sullo sfondo come possibile meta successiva.
D’altra parte possiamo anche dire che la relazione ipnotica è – se l’espressione ci è consentita – una formazione di massa a due. In realtà, l’ipnosi non è un buon termine di paragone per una formazione di massa, perché è piuttosto identica ad essa. Dalla complicata struttura della massa ci isola un elemento: il rapporto dell’individuo nella massa con il leader. Questa restrizione numerica distingue l’ipnosi dalla formazione della massa come l’abolizione delle aspirazioni sessuali dirette dall’innamoramento. Quanto a questo l’ipnosi è intermedia tra entrambi.
È interessante vedere che proprio le tendenze sessuali inibite nella meta realizzano legami reciproci tanto duraturi tra gli uomini. Ma lo si comprende facilmente con il dato di fatto di non essere in grado di una soddisfazione completa, mentre quelle sessuali non inibite vanno incontro a una straordinaria riduzione ogni volta che raggiungono la meta sessuale. L’amore sensuale è destinato a estinguersi nella soddisfazione. Per durare deve fin dall’inizio mescolarsi a componenti puramente tenere, ossia inibite nella meta, o subire una trasformazione del genere.
L’ipnosi risolverebbe con semplicità l’enigma della costituzione libidica della massa, se non fosse segnata essa stessa da tratti che si sottraggono alla spiegazione razionale corrente, a cominciare dall’innamoramento con esclusione di aspirazioni sessuali dirette. Nell’ipnosi c’è ancora molto da capire, molto di mitico. Essa contiene un di più di paralisi derivante dal rapporto tra potente e impotente, indifeso. C’è qualcosa di simile all’ipnosi da spavento delle bestie. Il modo di produzione dell’ipnosi, il suo rapporto con il sonno, non sono trasparenti. L’enigmatica scelta di persone che si adattano all’ipnosi, mentre altre la rifiutano interamente, richiama un fattore sconosciuto che vi si realizza e che forse da solo rende possibile la purezza della configurazione libidica. Degno di nota è anche il fatto che spesso la coscienza morale dell’ipnotizzato si mostri essa stessa resistente anche in presenza di accessibilità altrimenti completa alla suggestione. Ma questo può derivare dal fatto che durante l’ipnosi, com’è per lo più esercitata, possa mantenersi un sapere; si tratterebbe solo di un gioco, la riproduzione non vera di un’altra situazione di importanza vitale maggiore.
In base alle precedenti discussioni siamo pronti a enunciare la formula della costituzione libidica di una massa, almeno della massa come quella fin qui considerata, che ha un leader e non è riuscita ad acquisire in via secondaria, nonostante tutta l’“organizzazione”, le caratteristiche di un individuo. Tale massa primaria è formata da un certo numero di individui che hanno messo lo stesso e unico oggetto al posto del proprio Ideale dell’Io e che pertanto si sono identificati l’uno con l’altro nel proprio Io. Questo rapporto si può raffigurare graficamente così:
IX
Solo per poco ci culleremo nell’illusione di avere con questa formula risolto l’enigma della massa. Ben presto ci turberà ricordare che in sostanza l’abbiamo ricondotto all’enigma dell’ipnosi, dove ancora resta tanto in sospeso. E ora un’altra obiezione ci mostra la strada da seguire.
Possiamo dirci che gli estesi legami affettivi, da noi riconosciuti nella massa, bastano a spiegare del tutto un loro carattere: la mancanza di autonomia e iniziativa del singolo individuo, l’omogeneità della sua reazione con quella di tutti gli altri, l’abbassamento, per così dire, a individuo della massa. Ma, considerata come un tutto, la massa mostra di più. I tratti dell’indebolimento delle prestazioni intellettuali, della disinibizione dell’eccitabilità, dell’incapacità di moderarsi e differire, della tendenza a superare ogni limite nelle manifestazioni affettive, scaricandole completamente nell’azione, questi e altri tratti simili, così vividamente descritti da Le Bon, disegnano il quadro inequivocabile della regressione dell’attività psichica a uno stadio anteriore, che non ci stupisce di ritrovare nei selvaggi o nei bambini. Tale regressione appartiene in particolare alla natura delle masse comuni, mentre quelle altamente organizzate e artificiali possono, come si è visto, tenerla in larga misura lontana.
Ne ricaviamo così l’impressione di uno stato in cui il moto affettivo singolare e l’atto intellettuale personale dell’individuo siano troppo deboli per affermarsi da soli e debbano attendere il rinforzo da altri che ripetono qualcosa di simile. Questo ci ricorda quanti fenomeni di dipendenza appartengano alla normale costituzione della società umana, quanto poco di originalità e coraggio personale vi si trovi, quanto ogni singolo individuo sia dominato dai modi di pensare dell’anima della massa, che si comunicano come peculiarità razziali, pregiudizi di status, opinione pubblica e simili. L’enigma dell’influenza suggestiva si accresce per noi, ammettendo che non la eserciti solo il leader ma anche ogni singolo sul singolo. Dobbiamo rimproverarci per aver messo unilateralmente in rilievo il rapporto con il leader, respingendo ma ingiustamente l’altro fattore della suggestione reciproca.
Richiamati così alla modestia, ci disponiamo a prestare ascolto a un’altra voce che ci promette una spiegazione su basi più semplici. L’attingo dal libro acuto di W. Trotter sulla pulsione gregaria, rispetto al quale mi rammarico solo che non si sia del tutto sottratto alle antipatie scatenate dall’ultima grande guerra.[38]
Trotter deduce i fenomeni psichici da un istinto gregario (gregariousness), congenito nell’uomo e nelle altre specie animali. In senso biologico, il gregarismo starebbe in analogia e al tempo stesso in continuità con la pluricellularità; nel senso della teoria della libido, sarebbe l’ulteriore manifestazione della tendenza di origine libidica di tutti gli esseri viventi simili a confluire in unità sempre più estese.[39] Da solo l’individuo si sente incompleto (incomplete). Già l’angoscia del bambino piccolo sarebbe una manifestazione di questo istinto gregario. Opporsi al gregge equivale a separarsene e perciò si evita con molta ansia. Il gregge rifiuta tutto il nuovo e l’insolito. L’istinto gregario sarebbe qualcosa di primario, non oltre scomponibile (which cannot be split up).
Trotter dà come serie di pulsioni (o istinti) da lui assunte come primarie la pulsione di autoaffermazione, di nutrizione, sessuale e gregaria. Quest’ultima arriva spesso a contrapporsi alle altre. Senso di colpa e senso del dovere sarebbero le proprietà caratteristiche del gregarious animal. Dall’istinto gregario Trotter deriva anche le forze di rimozione, individuate dalla psicanalisi nell’Io e, di conseguenza, le resistenze contro il il medico urta nel trattamento psicanalitico. Il linguaggio deve la sua importanza all’idoneità come strumento dell’intendersi reciproco all’interno del gregge, su cui poggerebbe gran parte della reciproca identificazione tra individui.
Come Le Bon ha affrontato prevalentemente lo studio delle formazioni di massa a carattere transitorio e Mc Dougall quello delle socializzazioni stabili, Trotter ha posto al centro dei suoi interessi le associazioni più generali dove vive l’uomo, questo zoon politikon, e ne ha dato il fondamento psicologico. Trotter non ha bisogno di derivare da altro la pulsione gregaria, che designa come primaria e non ulteriormente scomponibile. Come egli stesso fa notare, derivare la pulsione gregaria dalla suggestionabilità, alla Boris Sidis, è per lui per fortuna superfluo. È una spiegazione basata su un modello notoriamente insoddisfacente. Il teorema inverso, cioè che la suggestionabilità derivi dalla pulsione gregaria, mi sembra di gran lunga più illuminante.
Ma a maggior ragione rispetto agli altri al modo di presentare le cose di Trotter si può contestare la scarsa considerazione del ruolo del leader nella massa, mentre noi propendiamo per la valutazione opposta e cioè che non si comprende l’essenziale della massa trascurando l’importanza del leader. L’istinto gregario non lascia in generale spazio al leader, che viene ad aggiungersi casualmente al gregge. In concomitanza, mancando il pastore del gregge, dalla pulsione gregaria non partono vie che portino al bisogno di un dio. Inoltre la presentazione di Trotter si può demolire dal punto di vista psicologico, essendo inverosimile che la pulsione gregaria sia indecomponibile, ossia primaria come quella di conservazione o sessuale.
Naturalmente, non è facile seguire l’ontogenesi della pulsione di gregge. La paura del bambino piccolo lasciato solo, che Trotter pretende già considerare come espressione della pulsione, offre un’altra interpretazione. Vale per la madre, poi per altre persone di fiducia, ed esprime l’inappagata nostalgia che il bambino non sa far altro che trasformare in angoscia.[40] L’angoscia del bambino piccolo lasciato solo non si placa neppure alla vista di uno qualsiasi del “gregge”; semmai al contrario è proprio il sopraggiungere di un tale “estraneo” a provocarla dapprima. Per lungo tempo non si osserva nel bambino nulla del genere di un istinto di gregge o di un sentimento di massa. Qualcosa di simile si forma in un primo tempo nell’affollata stanza dei bambini per il rapporto con i genitori, e precisamente come reazione all’invidia iniziale con cui il bambino più grande accoglie il più piccolo. Certamente, spinto dalla gelosia, il bambino più grande vorrebbe scacciare il nuovo venuto, tenerlo lontano dai genitori e privarlo di tutti i diritti, ma, di fronte al dato di fatto che anche questo bambino e i successivi sono amati allo stesso modo dai genitori e per l’impossibilità di mantenere la disposizione d’animo ostile senza danno per sé, il maggiore è costretto a identificarsi con gli altri bambini; quindi nella schiera dei bambini si forma un sentimento di massa o di comunità, che si sviluppa ulteriormente a scuola. La prima pretesa di questa formazione reattiva è di giustizia, di uguale trattamento per tutti. Si sa quanto forte e irrinunciabile sia questa pretesa. Se non si può essere il preferito, almeno che non lo sia nessuno. Potremmo considerare improbabile la conversione e la sostituzione della gelosia in un sentimento di massa nella stanza dei bambini o nell’aula di scuola, se non osservassimo più tardi di nuovo lo stesso processo in altre circostanze. Si pensi allo stuolo di donne e ragazze entusiaste che fanno ressa attorno al cantante o al pianista dopo l’esecuzione. Certo ognuna potrebbe essere gelosa dell’altra, ma per il loro stesso numero e la conseguente impossibilità di raggiungere la meta del loro innamoramento vi rinunciano e, invece di accapigliarsi, agiscono come massa unitaria, onorando il festeggiato con azioni comuni, contente di spartirsi una sua ciocca di capelli. Originariamente rivali, riescono a identificarsi reciprocamente attraverso lo stesso amore per lo stesso oggetto. Se una situazione pulsionale, come di solito avviene, ammette diversi esiti, non stupisce che si realizzi quello collegato alla possibilità di una certa soddisfazione, mentre un altro, anche se più a portata di mano, resta indietro perché le circostanze reali gli interdicono (versagen) di raggiungere la meta.
Ciò che in seguito troviamo operante nella società come esprit de corps, senso comune, ecc, non rinnega la propria origine dall’invidia originaria. Nessuno deve voler distinguersi, ognuno deve essere e avere come gli altri. Giustizia sociale significa interdirsi molto perché anche gli altri vi rinuncino o, ciò che è lo stesso, non possano avanzare pretese. Questa esigenza di uguaglianza è alla radice della coscienza sociale e del senso del dovere. Inaspettatamente la si scopre nei sifilitici come timore di infettare gli altri, timore che la psicanalisi ci ha insegnato a comprendere. Il timore di questi poveretti corrisponde al loro violento contrapporsi al desiderio inconscio di estendere la propria infezione agli altri. Infatti, perché solo loro dovrebbero essere infetti ed esclusi da tante cose mentre gli altri no? Anche il bell’aneddoto del giudizio di Salomone ha lo stesso nucleo di verità. Se a una delle due donne è morto il figlio, neanche l’altra deve averlo vivo. Da questo desiderio si riconosce la portatrice della perdita.
Il sentimento sociale poggia sul rovescio di un sentimento inizialmente ostile in legame connotato positivamente di natura identificatoria. Per quanto possiamo finora intuire del processo, il rovesciamento sembra compiersi per influsso di un comune legame di tenerezza verso una persona esterna alla massa. Neppure a noi la nostra analisi dell’identificazione appare esauriente, ma al nostro scopo attuale basta riferirci a un solo tratto caratteristico: l’esigenza di introdurre la conseguente uguaglianza. Discutendo le due masse artificiali della Chiesa e dell’esercito, abbiamo visto che la precondizione è che tutti siano amati in modo uguale da uno, dal leader. Ma ora non dimentichiamo che l’esigenza di uguaglianza della massa vale solo per i singoli individui, non per il leader. Tutti gli individui devono essere uguali tra loro, ma tutti vogliono essere dominati da uno solo. Molti uguali che possono identificarsi l’un l’altro e uno solo che li sovrasta tutti: troviamo questa situazione nella massa capace di sopravvivere. Arrischiamo, quindi, la rettifica dell’enunciato di Trotter, che l’uomo sarebbe un animale di gregge, affermando che sarebbe piuttosto un animale di orda, un ente singolo di un’orda condotta da un leader supremo.[41]
X La massa e l’orda primitiva
Nel 1912 ho fatto mia la congettura di Darwin sulla forma primitiva di società umana come orda dominata senza limiti da un forte stallone (Männchen).[42] Ho cercato di mostrare come il destino di tale orda abbia lasciato tracce indistruttibili nell’eredità storica dell’uomo. In particolare lo sviluppo del totemismo, che comprende gli inizi di religione, moralità e articolazione sociale, va riportato all’uccisione violenta del leader supremo e alla trasformazione dell’orda paterna in comunità di fratelli.[43] È solo un’ipotesi come tante altre. Con essa i “preistorici” tentano di far luce sui tempi bui primitivi. Un non scortese critico inglese l’ha argutamente chiamata just-so story. Ma secondo me rende onore a tale ipotesi mostrarsi in grado di portare coerenza e intelligibilità in campi sempre nuovi.
Le masse umane ci ripresentano il quadro familiare del singolo individuo super-potente in mezzo a una schiera di compagni tutti uguali, contenuto anche nella nostra rappresentazione dell’orda primitiva. La psicologia di questa massa, ricavata dalle descrizioni spesso citate, ovvero la scomparsa della singola personalità cosciente, l’orientamento dei pensieri e dei sentimenti, il predominio dell’eccitabilità e dello psichico inconscio, la tendenza alla realizzazione immediata dei propositi emergenti, tutto ciò corrisponde a uno stato regressivo di attività psichica primitiva, proprio come quella che si può descrivere nell’orda primitiva.[44]
La massa ci appare quindi come un’orda primitiva che rivive. Come ogni individuo ha virtualmente in sé l’uomo primitivo, così da qualsiasi folla umana può riformarsi l’orda primitiva. Nella misura in cui la formazione della massa domina abitualmente l’uomo, vi riconosciamo la continuazione dell’orda primitiva. Dobbiamo concludere che la psicologia delle masse è la psicologia umana più antica. Ciò che abbiamo isolato come psicologia individuale dietro tutti i residui di massa, emerge gradualmente e, per così dire, sempre parzialmente dall’antica psicologia di massa. Tentiamo ora di indicare il punto di origine di tale sviluppo.
Un’ulteriore riflessione ci mostra in che punto occorre rettificare questa affermazione. In realtà, la psicologia individuale non deve essere meno antica della psicologia di massa. Infatti, fin dall’inizio esistevano due psicologie: quella dell’individuo della massa e quella del padre, capo o leader. Gli individui nella massa erano vincolati come li troviamo oggi, ma il padre primitivo dell’orda era libero. Pur nell’isolamento, i suoi atti intellettuali erano forti e indipendenti, la sua volontà non aveva bisogno del rinforzo degli altri. Di conseguenza ammettiamo che il suo Io fosse scarsamente legato libidicamente. Non amava nessuno oltre sé. Amava gli altri solo nella misura in cui servivano ai propri bisogni. Il suo Io non concedeva agli oggetti nulla di più.
Agli inizi della storia dell’umanità fu lui il superuomo che Nietzsche aspettava solo dal futuro. Ancora oggi gli individui della massa hanno bisogno di illudersi di essere amati in uguale e giusta misura dal leader, ma il leader stesso non ha bisogno di amare nessun altro. Può essere per natura un padrone assolutamente narcisistico, eppure sicuro di sé e autosufficiente. Sappiamo che l’amore argina il narcisismo e potremmo dimostrare che, operando in tal modo, diventa fattore di civiltà.
Il padre primitivo dell’orda non era ancora immortale, come divenne poi con la divinizzazione. Quando morì dovette essere sostituito. Verosimilmente al suo posto subentrò uno dei figli più giovani che fino ad allora era un individuo della massa come gli altri. Deve, allora, darsi la possibilità di commutare la psicologia di massa in psicologia individuale. Si deve trovare una condizione per realizzare facilmente la trasformazione, un po’ come le api che, in caso di bisogno, da una larva cavano una regina invece di un’operaia. Possiamo immaginare solo questo: per i figli il padre primitivo era di ostacolo alla soddisfazione delle tensioni sessuali dirette; li costringeva all’astinenza e, quindi, a legami affettivi con lui e tra loro a partire da tensioni sessuali inibite nella meta. Per così dire li costringeva alla psicologia di massa. La sua gelosia sessuale e la sua intolleranza diventarono, in ultima analisi, la causa della psicologia di massa.[45]
Per il successore ci fu anche la possibilità della soddisfazione sessuale, uscendo così dalle condizioni della psicologia di massa. La fissazione della libido alla donna, la possibilità di soddisfarsi senza rinvii né accumuli posero fine all’importanza delle tensioni sessuali inibite nella meta, spingendo sempre più in su il livello di narcisismo. Su tale rapporto tra amore e formazione del carattere torneremo nei Supplementi.
È particolarmente istruttivo rilevare come si rapporta all’istituzione dell’orda primitiva l’organizzazione che, a prescindere dai mezzi di costrizione, tiene unita una massa artificiale. Nella Chiesa e nell’esercito l’abbiamo visto: è la finzione che il leader ami tutti gli individui in misura uguale e giusta. Questa però è solo la rielaborazione idealistica dei rapporti nell’orda primitiva, dove tutti i figli si sapevano perseguitati dal padre e lo temevano in egual misura. Già la forma successiva della società umana, il clan totemico, ha come precondizione tale capovolgimento, su cui si costruiscono tutti i doveri sociali. L’indistruttibile forza della famiglia come formazione naturale di massa poggia sulla necessaria precondizione che l’amore uniforme del padre vi possa realmente valere.
Ma, riportando la massa all’orda primitiva, ci aspettiamo di più. Deve avvicinarci al segreto incompreso della formazione della massa, celato dietro le parole enigmatiche di “ipnosi” e “suggestione”. E a mio parere può ancora farlo. L’ipnosi, ricordiamo, ha in sé di direttamente inquietante (Unheimliches), che allude a qualcosa di antico e familiare caduto in rimozione.[46] Pensiamo a come si instaura l’ipnosi. L’ipnotizzatore sostiene di possedere un potere segreto, che priva il soggetto della volontà o, il che è lo stesso, il soggetto ci crede. Tale potere segreto – ancora spesso volgarmente detto magnetismo animale – deve essere lo stesso che per i primitivi sta alla fonte del tabù, lo stesso che emana dai re e dai comandanti e rende pericoloso avvicinarsi a loro (mana). L’ipnotizzatore pretende ora di possedere tale potere. Come lo mostra? Intimando alla persona di guardarlo negli occhi. Tipicamente ipnotizza attraverso il suo sguardo. Proprio la vista del comandante è pericolosa e insopportabile per il primitivo, come in seguito la vista della divinità per i mortali. Anche Mosè deve fare da intermediario tra il suo popolo e Jahvè, perché il popolo non sopporterebbe la vista di Dio. Al ritorno dalla presenza di Dio, il suo volto è raggiante; una parte del mana si è trasferita su di lui come sull’intermediario dei primitivi.[47]
In ogni caso si può suscitare l’ipnosi anche in altri modi, per esempio facendo fissare un oggetto luccicante o ascoltare un rumore monotono. Ciò ha tratto in errore, dando origine a teorie psicologiche insostenibili. In realtà tali procedure servono solo a sviare e incatenare l’attenzione cosciente. La situazione è la stessa come se l’ipnotista avesse detto alla persona: “Ora si occupi esclusivamente della mia persona; tutto il resto del mondo è del tutto privo di interesse”. Certo, sarebbe tecnicamente inadeguato allo scopo se l’ipnotista tenesse questo discorso. Il soggetto verrebbe strappato dal suo atteggiamento inconscio e stimolato alla critica conscia. Ma anche se l’ipnotista evita di dirigere il pensiero conscio del soggetto sulle proprie intenzioni e l’ipnotizzato si immerge in un’attività in cui il mondo gli appare privo di interesse, accade che inconsciamente concentri tutta la sua attenzione sull’ipnotista e si ponga in atteggiamento di rapporto o di transfert nei confronti dell’ipnotizzatore. I metodi indiretti di ipnotizzazione, come talune tecniche del motto di spirito, hanno successo nell’impedire certe distribuzioni dell’energia psichica che disturberebbero il decorso del processo inconscio, e in ultima analisi arrivano alla stessa meta dell’influenzamento diretto, provocato guardando fisso o accarezzando.[48]
Ferenczi ha giustamente rilevato che con l’ordine di dormire, spesso dato per avviare l’ipnosi, l’ipnotista si mette al posto dei genitori. Pensava si dovessero distinguere due tipi di ipnosi: una carezzevole e distensiva e l’altra minacciosa, rispettivamente riconducibili ai modelli materno e paterno.[49] Ma l’ordine di dormire in ipnosi non significa altro che l’ingiunzione di distogliere ogni interesse dal mondo e di concentrarsi sulla persona dell’ipnotizzatore. Allo stesso modo l’intende il soggetto. Infatti, sottrarre l’interesse dal mondo esterno è ciò che rende il sonno affine allo stato ipnotico.
Con le sue procedure l’ipnotizzatore risveglia nel soggetto un frammento dell’antica eredità, che attraversa anche i suoi genitori, e che il soggetto ha rivissuto individualmente nel rapporto con il padre: l’immagine di una personalità super-potente e pericolosa, nei cui confronti ci si poteva porre solo in modo passivo-masochista, perdendo la propria volontà, mentre trovarsi solo con lei, “capitarle a tiro”, poteva sembrare un rischio da calcolare bene. Solo così possiamo all’incirca immaginare il rapporto dell’individuo dell’orda primitiva con il padre primitivo. Come sappiamo da altre reazioni, l’individuo ha conservato in misura variabile la predisposizione personale a rivivere tali antiche situazioni. La consapevolezza che l’ipnosi è solo un gioco, il finto rinnovarsi di quelle antiche impressioni, può tuttavia restare, attivando la resistenza contro le serie conseguenze dell’annullamento ipnotico della volontà.
Il carattere inquietante e coatto della formazione della massa, evidente nei concomitanti fenomeni di suggestione, può ben essere riportato all’origine dell’orda primordiale. Il leader della massa è sempre il temuto padre primordiale; la massa continua a voler essere dominata da una violenza senza limiti, avida al massimo di autorità, assetata di sottomissione, secondo l’espressione di Le Bon. Il padre primordiale è l’ideale della massa, che domina l’Io al posto dell’Ideale dell’Io. A buon diritto l’ipnosi si può definire una massa a due. Per la suggestione resta la seguente definizione: un convincimento basato non sulla percezione e il lavoro del pensiero ma sul legame erotico.[50]
XI Un gradino nell’Io
Le masse umane ci ripresentano il quadro familiare del singolo individuo super-potente in mezzo a una schiera di compagni tutti uguali, contenuto anche nella nostra rappresentazione dell’orda primitiva. La psicologia di questa massa, ricavata dalle descrizioni spesso citate, ovvero la scomparsa della singola personalità cosciente, l’orientamento dei pensieri e dei sentimenti, il predominio dell’eccitabilità e dello psichico inconscio, la tendenza alla realizzazione immediata dei propositi emergenti, tutto ciò corrisponde a uno stato regressivo di attività psichica primitiva, proprio come quella che si può descrivere nell’orda primitiva.[44]
La massa ci appare quindi come un’orda primitiva che rivive. Come ogni individuo ha virtualmente in sé l’uomo primitivo, così da qualsiasi folla umana può riformarsi l’orda primitiva. Nella misura in cui la formazione della massa domina abitualmente l’uomo, vi riconosciamo la continuazione dell’orda primitiva. Dobbiamo concludere che la psicologia delle masse è la psicologia umana più antica. Ciò che abbiamo isolato come psicologia individuale dietro tutti i residui di massa, emerge gradualmente e, per così dire, sempre parzialmente dall’antica psicologia di massa. Tentiamo ora di indicare il punto di origine di tale sviluppo.
Un’ulteriore riflessione ci mostra in che punto occorre rettificare questa affermazione. In realtà, la psicologia individuale non deve essere meno antica della psicologia di massa. Infatti, fin dall’inizio esistevano due psicologie: quella dell’individuo della massa e quella del padre, capo o leader. Gli individui nella massa erano vincolati come li troviamo oggi, ma il padre primitivo dell’orda era libero. Pur nell’isolamento, i suoi atti intellettuali erano forti e indipendenti, la sua volontà non aveva bisogno del rinforzo degli altri. Di conseguenza ammettiamo che il suo Io fosse scarsamente legato libidicamente. Non amava nessuno oltre sé. Amava gli altri solo nella misura in cui servivano ai propri bisogni. Il suo Io non concedeva agli oggetti nulla di più.
Agli inizi della storia dell’umanità fu lui il superuomo che Nietzsche aspettava solo dal futuro. Ancora oggi gli individui della massa hanno bisogno di illudersi di essere amati in uguale e giusta misura dal leader, ma il leader stesso non ha bisogno di amare nessun altro. Può essere per natura un padrone assolutamente narcisistico, eppure sicuro di sé e autosufficiente. Sappiamo che l’amore argina il narcisismo e potremmo dimostrare che, operando in tal modo, diventa fattore di civiltà.
Il padre primitivo dell’orda non era ancora immortale, come divenne poi con la divinizzazione. Quando morì dovette essere sostituito. Verosimilmente al suo posto subentrò uno dei figli più giovani che fino ad allora era un individuo della massa come gli altri. Deve, allora, darsi la possibilità di commutare la psicologia di massa in psicologia individuale. Si deve trovare una condizione per realizzare facilmente la trasformazione, un po’ come le api che, in caso di bisogno, da una larva cavano una regina invece di un’operaia. Possiamo immaginare solo questo: per i figli il padre primitivo era di ostacolo alla soddisfazione delle tensioni sessuali dirette; li costringeva all’astinenza e, quindi, a legami affettivi con lui e tra loro a partire da tensioni sessuali inibite nella meta. Per così dire li costringeva alla psicologia di massa. La sua gelosia sessuale e la sua intolleranza diventarono, in ultima analisi, la causa della psicologia di massa.[45]
Per il successore ci fu anche la possibilità della soddisfazione sessuale, uscendo così dalle condizioni della psicologia di massa. La fissazione della libido alla donna, la possibilità di soddisfarsi senza rinvii né accumuli posero fine all’importanza delle tensioni sessuali inibite nella meta, spingendo sempre più in su il livello di narcisismo. Su tale rapporto tra amore e formazione del carattere torneremo nei Supplementi.
È particolarmente istruttivo rilevare come si rapporta all’istituzione dell’orda primitiva l’organizzazione che, a prescindere dai mezzi di costrizione, tiene unita una massa artificiale. Nella Chiesa e nell’esercito l’abbiamo visto: è la finzione che il leader ami tutti gli individui in misura uguale e giusta. Questa però è solo la rielaborazione idealistica dei rapporti nell’orda primitiva, dove tutti i figli si sapevano perseguitati dal padre e lo temevano in egual misura. Già la forma successiva della società umana, il clan totemico, ha come precondizione tale capovolgimento, su cui si costruiscono tutti i doveri sociali. L’indistruttibile forza della famiglia come formazione naturale di massa poggia sulla necessaria precondizione che l’amore uniforme del padre vi possa realmente valere.
Ma, riportando la massa all’orda primitiva, ci aspettiamo di più. Deve avvicinarci al segreto incompreso della formazione della massa, celato dietro le parole enigmatiche di “ipnosi” e “suggestione”. E a mio parere può ancora farlo. L’ipnosi, ricordiamo, ha in sé di direttamente inquietante (Unheimliches), che allude a qualcosa di antico e familiare caduto in rimozione.[46] Pensiamo a come si instaura l’ipnosi. L’ipnotizzatore sostiene di possedere un potere segreto, che priva il soggetto della volontà o, il che è lo stesso, il soggetto ci crede. Tale potere segreto – ancora spesso volgarmente detto magnetismo animale – deve essere lo stesso che per i primitivi sta alla fonte del tabù, lo stesso che emana dai re e dai comandanti e rende pericoloso avvicinarsi a loro (mana). L’ipnotizzatore pretende ora di possedere tale potere. Come lo mostra? Intimando alla persona di guardarlo negli occhi. Tipicamente ipnotizza attraverso il suo sguardo. Proprio la vista del comandante è pericolosa e insopportabile per il primitivo, come in seguito la vista della divinità per i mortali. Anche Mosè deve fare da intermediario tra il suo popolo e Jahvè, perché il popolo non sopporterebbe la vista di Dio. Al ritorno dalla presenza di Dio, il suo volto è raggiante; una parte del mana si è trasferita su di lui come sull’intermediario dei primitivi.[47]
In ogni caso si può suscitare l’ipnosi anche in altri modi, per esempio facendo fissare un oggetto luccicante o ascoltare un rumore monotono. Ciò ha tratto in errore, dando origine a teorie psicologiche insostenibili. In realtà tali procedure servono solo a sviare e incatenare l’attenzione cosciente. La situazione è la stessa come se l’ipnotista avesse detto alla persona: “Ora si occupi esclusivamente della mia persona; tutto il resto del mondo è del tutto privo di interesse”. Certo, sarebbe tecnicamente inadeguato allo scopo se l’ipnotista tenesse questo discorso. Il soggetto verrebbe strappato dal suo atteggiamento inconscio e stimolato alla critica conscia. Ma anche se l’ipnotista evita di dirigere il pensiero conscio del soggetto sulle proprie intenzioni e l’ipnotizzato si immerge in un’attività in cui il mondo gli appare privo di interesse, accade che inconsciamente concentri tutta la sua attenzione sull’ipnotista e si ponga in atteggiamento di rapporto o di transfert nei confronti dell’ipnotizzatore. I metodi indiretti di ipnotizzazione, come talune tecniche del motto di spirito, hanno successo nell’impedire certe distribuzioni dell’energia psichica che disturberebbero il decorso del processo inconscio, e in ultima analisi arrivano alla stessa meta dell’influenzamento diretto, provocato guardando fisso o accarezzando.[48]
Ferenczi ha giustamente rilevato che con l’ordine di dormire, spesso dato per avviare l’ipnosi, l’ipnotista si mette al posto dei genitori. Pensava si dovessero distinguere due tipi di ipnosi: una carezzevole e distensiva e l’altra minacciosa, rispettivamente riconducibili ai modelli materno e paterno.[49] Ma l’ordine di dormire in ipnosi non significa altro che l’ingiunzione di distogliere ogni interesse dal mondo e di concentrarsi sulla persona dell’ipnotizzatore. Allo stesso modo l’intende il soggetto. Infatti, sottrarre l’interesse dal mondo esterno è ciò che rende il sonno affine allo stato ipnotico.
Con le sue procedure l’ipnotizzatore risveglia nel soggetto un frammento dell’antica eredità, che attraversa anche i suoi genitori, e che il soggetto ha rivissuto individualmente nel rapporto con il padre: l’immagine di una personalità super-potente e pericolosa, nei cui confronti ci si poteva porre solo in modo passivo-masochista, perdendo la propria volontà, mentre trovarsi solo con lei, “capitarle a tiro”, poteva sembrare un rischio da calcolare bene. Solo così possiamo all’incirca immaginare il rapporto dell’individuo dell’orda primitiva con il padre primitivo. Come sappiamo da altre reazioni, l’individuo ha conservato in misura variabile la predisposizione personale a rivivere tali antiche situazioni. La consapevolezza che l’ipnosi è solo un gioco, il finto rinnovarsi di quelle antiche impressioni, può tuttavia restare, attivando la resistenza contro le serie conseguenze dell’annullamento ipnotico della volontà.
Il carattere inquietante e coatto della formazione della massa, evidente nei concomitanti fenomeni di suggestione, può ben essere riportato all’origine dell’orda primordiale. Il leader della massa è sempre il temuto padre primordiale; la massa continua a voler essere dominata da una violenza senza limiti, avida al massimo di autorità, assetata di sottomissione, secondo l’espressione di Le Bon. Il padre primordiale è l’ideale della massa, che domina l’Io al posto dell’Ideale dell’Io. A buon diritto l’ipnosi si può definire una massa a due. Per la suggestione resta la seguente definizione: un convincimento basato non sulla percezione e il lavoro del pensiero ma sul legame erotico.[50]
XI Un gradino nell’Io
Se, tenuto conto delle descrizioni reciprocamente complete degli autori in tema di psicologia di massa, gettiamo uno sguardo alla vita dell’uomo d’oggi, si può perdere il coraggio di tentare una presentazione riassuntiva di fronte alle complicazioni che qui si manifestano. Ogni individuo fa parte di molte masse. Tramite l’identificazione costruisce legami multilaterali e forma il proprio Ideale dell’Io sulla base dei più disparati modelli. Ogni individuo partecipa così a molte anime di massa, a quella della sua razza, del ceto, della comunità di fede, ecc. e al di sopra di tutto può elevarsi fino a un minimo di autonomia e originalità. Questi effetti stabili e duraturi delle formazioni di massa colpiscono meno l’osservazione delle masse transitorie formatesi rapidamente, su cui Le Bon ha abbozzato la sua brillante caratterizzazione dell’anima della massa. Proprio in queste masse rumorose ed effimere, per così dire sovrapposte alle altre, si dà il miracolo del soccombere temporaneo, senza lasciar tracce, di ciò che abbiamo riconosciuto come formazione individuale.
Abbiamo inteso tale miracolo nel senso che l’individuo abbandona il proprio Ideale dell’Io, sostituendolo con l’ideale di massa incarnato nel leader. Per correttezza dovremmo aggiungere che il miracolo non ha sempre le stesse dimensioni. In molti individui la separazione tra Io e Ideale dell’Io non va molto in là, coincidendo in gran parte; l’Io ha conservato l’antico autocompiacimento narcisistico. In tale circostanza la scelta del leader è di molto facilitata. Spesso basta che possegga le qualità tipiche di questi individui con un’impronta particolarmente pura e netta, dando l’impressione di maggiore forza e libertà libidica. Così il bisogno di un leader forte lo favorisce, conferendogli un super-potere, che altrimenti non potrebbe forse pretendere. Gli altri, il cui Ideale dell’Io si è incarnato nella persona del leader non senza correzioni, sono poi trascinati per “suggestione”, cioè per identificazione.
Riconosciamo che il nostro possibile contributo alla spiegazione della struttura libidica di una massa porta a distinguere tra Io e Ideale dell’Io e al duplice legame reso in tal modo possibile attraverso l’identificazione e la collocazione dell’oggetto al posto dell’Ideale dell’Io. Ammettere un simile gradino nell’Io come primo passo dell’analisi dell’Io, dovrà trovare progressivamente la propria giustificazione nei vari campi della psicologia. Nella mia “Introduzione al narcisismo”[51] ho raccolto il materiale patologico a immediato sostegno di tale differenziazione. Ma ci si può attendere che tale materiale rivelerà tutta la sua importanza solo approfondendo ulteriormente la psicologia delle psicosi. Pensiamo che ora l’Io stabilisce un rapporto di oggetto con l’Io Ideale, sviluppatosi da lui, e che tutte le interazioni tra oggetto esterno e Io totale, note dalla teoria delle nevrosi, si ripetono su questa nuova scena interna all’Io.
Voglio qui limitarmi ad affrontare una delle possibili conseguenze di questo punto di vista e sviluppare la discussione di un problema che altrove ho dovuto lasciare irrisolto.[52] Ogni differenziazione psichica di cui siamo venuti a conoscenza rappresenta una nuova difficoltà per il funzionamento psichico; aumenta la sua instabilità e può diventare il punto di partenza di un fallimento (Versagen) della sua funzione, di una sua patologia. Così alla nascita abbiamo compiuto il passo dal narcisismo assolutamente autosufficiente alla percezione di un mondo esterno mutevole e all’inizio del ritrovamento dell’oggetto. A ciò si ricollega che non possiamo sopportare a lungo il nuovo stato, che periodicamente lo facciamo recedere e con il sonno torniamo allo stato precedente di assenza di stimoli e di evitamento dell’oggetto. Nel caso seguiamo un segnale del mondo esterno che, con il periodico alternarsi del giorno e della notte, ci sottrae temporaneamente a gran parte degli stimoli che agiscono su di noi.
A nessuna limitazione del genere è soggetto il secondo esempio, più importante per la patologia. Nel corso del nostro sviluppo abbiamo separato nell’entità psichica l’Io coerente dal rimosso inconscio, tagliato fuori dall’Io. Sappiamo che la stabilità della nuova acquisizione è esposta a continue scosse. Nel sogno e nella nevrosi la parte esclusa bussa per entrare alle porte custodite dalle resistenze. Da sani e svegli ci serviamo di certi trucchi per accogliere temporaneamente il rimosso nell’Io, aggirando le resistenze e traendone piacere. Il motto di spirito, l’umorismo e in parte il comico si possono vedere in tale luce. A chi conosca la psicologia delle nevrosi verranno in mente esempi analoghi di minore portata, perciò mi affretto a passare all’applicazione che intendevo.
Sarebbe concepibile che anche il divorzio dell’Ideale dell’Io dall’Io non sia tollerato a lungo e debba temporaneamente regredire. In tutte le rinunce e limitazioni imposte all’Io, la periodica trasgressione dei divieti è la regola, come dimostra l’istituzione delle feste, che in origine non sono altro che eccessi necessari per legge. A tale liberazione devono il loro carattere gioioso.[53] In questo punto essenziale i Saturnali dei Romani e il nostro odierno carnevale coincidono con le feste dei primitivi, che sogliono sfociare in ogni sorta di eccessi contro comandamenti altrimenti sacri. L’Ideale dell’Io racchiude d’altronde la summa delle limitazioni cui l’Io deve conformarsi e per questa ragione la sua abrogazione dovrebbe essere festa grande per l’Io che può soddisfarsi di nuovo di sé stesso.[54]
Si arriva sempre a una sensazione di trionfo quando qualcosa viene a coincidere con l’Ideale dell’Io. Si può intendere come espressione della tensione tra l’Io e l’ideale anche il senso di colpa e il senso di inferiorità.
Come è noto, esistono uomini il cui umore generale oscilla in modo periodico da una depressione eccessiva a una grande sensazione di benessere passando per un certo stato intermedio. Tali oscillazioni presentano ampiezze diverse, da quelle appena percettibili a quelle estreme che, sotto forma di melanconia o di mania, incidono in modo assai tormentoso e disturbante nella vita di chi ne è affetto. Nei casi tipici delle alterazioni cicliche dell’umore le occasioni esterne non sembrano svolgere un ruolo decisivo. Quanto ai motivi interni non sembrano in questi malati né maggiori né diversi dagli altri. È pertanto invalsa l’abitudine di non considerare psicogeni questi casi. Di altri casi simili di alterazione cicliche dell’umore, facilmente riconducibili a traumi psichici, se ne parlerà in seguito.
Il fondamento di tali oscillazioni spontanee dell’umore è quindi ignoto. Ci sfugge la comprensione del meccanismo per cui la melanconia cambia in mania. Questi sarebbero i malati per cii varrebbe la nostra congettura del temporaneo dissolversi nell’Io dell’Ideale dell’Io, che prima ha governato con particolare severità.
Evitiamo le oscurità. In base alla nostra analisi dell’Io è indiscutibile che nel maniaco Io e Ideale dell’Io siano confluiti insieme. La persona gode della caduta di inibizioni, riguardi e autocritica in uno stato d’animo di trionfo e contentezza di sé non turbato da autocritiche. È meno evidente, ma verosimile, che la miseria del melanconico rifletta la netta spaccatura tra le due istanze dell’Io, dove l’Ideale ipersensibile condanna l’Io al delirio di piccolezza e di autodenigrazione. C’è da chiedersi solo se la causa dell’alterato rapporto tra Io e Ideale dell’Io sia da ricercare nelle periodiche ribellioni appena postulate contro la nuova istituzione [psichica] o se siano da ritenere responsabili altre condizioni.
Il capovolgimento in mania non è un tratto necessario del quadro clinico della depressione melanconica. Esistono melanconie semplici, uniche o cicliche, che non hanno questo destino. Ma esistono anche melanconie in cui l’occasione scatenante ha un chiaro ruolo eziologico. Sono quelle successive alla perdita dell’oggetto amato, dovuta alla morte o a circostanze che hanno reso necessario il ritiro di libido dall’oggetto. Tale melanconia psicogena può evolvere in mania e il ciclo ripetersi più volte come nella melanconia apparentemente spontanea. La situazione non è abbastanza chiara, anche perché finora solo poche forme e casi di melanconia sono state sottoposte all’esame psicanalitico.[55] Comprendiamo finora solo i casi in cui l’oggetto è stato abbandonato perché dimostratosi indegno dell’amore. Allora si ricostituisce per identificazione nell’Io, dove viene severamente giudicato dall’Ideale dell’Io. I rimproveri e l’aggressività contro l’oggetto si presentano come auto-rimproveri melanconici.[56]
Anche una tale melanconia può capovolgersi in mania. La possibilità rappresenta un tratto caratteristico del quadro clinico indipendente dagli altri.
Non vedo, comunque, difficoltà a considerare come fattore [eziologico] per entrambi i tipi di melanconie, sia psicogene sia spontanee, la ribellione periodica dell’Io contro l’Ideale dell’Io. Si può supporre che nelle melanconie spontanee l’Ideale dell’Io tenda a sviluppare una particolare severità, che poi automaticamente conduce alla sua temporanea sospensione, mentre nelle psicogene l’Io sarebbe stimolato a ribellarsi dal maltrattamento dell’Io Ideale, come sperimenta nel caso dell’identificazione con l’oggetto rigettato.
XII Supplementi
Nel corso della ricerca, giunta ora a una conclusione provvisoria, ci si sono aperte diverse vie collaterali, dapprima da noi evitate, nonostante degli indizi ci avvicinassero ad esse. Vogliamo ora riprendere alcune delle cose lasciate indietro.
A) La differenza tra identificazione dell’Io e sostituzione dell’Ideale dell’Io con l’oggetto trova un interessante chiarimento nelle due grandi masse artificiali inizialmente studiate: l’esercito e la Chiesa cristiana.
È evidente che il soldato assume come ideale i propri superiori, quindi in realtà il leader dell’esercito, mentre si identifica con i propri simili e da tale comunanza degli Io deriva i doveri del cameratismo e dell’aiuto reciproco e la condivisione dei beni. Ma sarebbe ridicolo che pretendesse identificarsi con il comandante in capo. Nell’accampamento di Wallenstein il soldato deride la guardia:
Bravi a sbirciare
Come scatarra e sputa.
Tutto diverso nella Chiesa cattolica. Ogni cristiano ama Cristo come proprio ideale e si sente legato agli altri cristiani dall’identificazione. Ma la Chiesa da lui pretende di più. Il cristiano deve inoltre identificarsi con Cristo e amare gli altri cristiani come li ha amati Cristo. Pertanto la Chiesa esige l’integrazione su entrambi i fronti delle posizioni libidiche date dalla formazione della massa. L’identificazione deve arrivare dove ha avuto luogo la scelta dell’oggetto e l’amore dell’oggetto dove c’è l’identificazione. Chiaramente ciò eccede la costituzione della massa. Si può essere buoni cristiani, anche potendo restare lontani dall’idea di prendere il posto di Cristo, comprendendo come lui tutti nell’amore. Non occorre all’uomo debole presumere per sé la magnanimità e la forza dell’amore del Salvatore. Ma l’estensione evoluta nella ripartizione libidica nella massa è verosimilmente il fattore su cui il Cristianesimo fonda la pretesa di aver toccato un livello di moralità superiore.
B) Abbiamo detto che sarebbe possibile localizzare nell’evoluzione psichica dell’umanità il punto in cui, anche per il singolo, si verificò il progresso dalla psicologia di massa a quella individuale. (Cfr. cap. x).[57]
A tal fine dobbiamo risalire in breve al mito scientifico del padre dell’orda primitiva. Fu poi elevato a creatore del mondo, giustamente, avendo generato tutti i figli che formavano la prima massa. Era l’ideale, temuto e venerato, di ognuno di loro, origine del successivo concetto di tabù. Un giorno questa maggioranza si riunì, l’uccise e lo fece a pezzi. Nessuno dei vincitori di massa poteva prendere il suo posto. Se qualcuno ci provò, ripresero le lotte, finché si resero conto che tutti dovevano rinunciare all’eredità paterna. Formarono allora la comunità fraterna totemica, tutti di pari diritti e legati dai divieti totemici, intesi a serbare ed espiare il ricordo dell’assassinio.
Ma l’insoddisfazione per il risultato conseguito rimase e fu la fonte di nuovi sviluppi. Poco per volta la massa dei fratelli arrivò a riprodurre l’antico stato di cose a un nuovo livello. Il maschio divenne il leader di una famiglia e infranse i privilegi del matriarcato, affermatosi nell’epoca senza padre. A titolo di indennizzo riconobbe le divinità materne, i cui sacerdoti furono castrati per sicurezza della madre, sull’esempio dato dal padre dell’orda primitiva. La nuova famiglia era solo l’ombra dell’antica: i padri erano molti e ognuno di loro era limitato dai diritti degli altri.
A un certo punto la nostalgia per la privazione spinse un individuo a staccarsi dalla massa e a porsi nel ruolo di padre. Chi lo fece fu il primo poeta epico, che compì il progresso in fantasia. Capovolse la realtà nel senso della sua nostalgia; inventò il mito dell’eroe. Eroe fu chi da solo uccise il padre, che nel mito compariva ancora come mostro totemico. Come il padre fu il primo ideale del ragazzo, così nell’eroe che voleva sostituire il padre ora il poeta creava il primo Ideale dell’Io. La connessione con l’eroe fu verosimilmente stabilita dal figlio più giovane, il preferito della madre, da lei protetto dalla gelosia paterna, che ai tempi dell’orda primitiva succedette al padre. Nella mendace trasfigurazione poetica della preistoria la donna, premio in battaglia che allettava a uccidere, fu verosimilmente la seduttrice e l’istigatrice del crimine.
L’eroe pretende di aver compiuto da solo l’atto che certo solo l’orda nel suo insieme aveva osato. Secondo un’osservazione di Rank, la favola conserva chiare tracce della realtà rinnegata. Infatti, accade spesso che l’eroe, che deve assolvere un compito gravoso – per lo più uno dei figli più giovani, che non di rado al succedaneo paterno si presenta come sciocco, quindi non pericoloso – ci riesca solo con l’aiuto di una schiera di animaletti (api, formiche), i quali sarebbero i fratelli dell’orda primitiva, allo stesso modo in cui nella simbologia onirica insetti e parassiti indicano spregiativamente, in quanto piccoli, i fratelli. Nel mito e nella favola ogni compito è facilmente riconoscibile come sostituto dell’atto eroico.
Il mito è quindi il passo con cui il l’individuo esce dalla psicologia di massa [ed entra nell’individuale]. Il primo mito fu certamente quello psicologico dell’eroe. Il mito esplicativo della natura dovette sorgere molto dopo. Secondo un’altra osservazione di Rank, compiuto il passo e svincolatosi dalla massa almeno nella fantasia, il poeta seppe ritrovare nella realtà la strada del ritorno ad essa, andando in giro a raccontare a questa massa le gesta del suo eroe da lui inventate. In sostanza l’eroe non è altri che lui stesso. Così si sottomette alla realtà ed eleva i suoi ascoltatori al regno della fantasia. Ma gli ascoltatori capiscono il poeta, potendosi identificare con l’eroe in virtù dello stesso rapporto nostalgico con il padre primordiale.[58]
La menzogna del mito eroico culmina nella divinizzazione dell’eroe. Forse l’eroe divinizzato precedette Dio padre, precorrendo il ritorno del padre primitivo come divinità. La serie degli dei sarebbe cronologicamente questa: dea madre, eroe, Dio padre. Ma solo elevando l’indimenticabile padre primordiale, la divinità acquisì i tratti che ancora oggi le riconosciamo.[59]
C) In questo saggio abbiamo parlato molto di pulsioni sessuali dirette e inibite nella meta. Possiamo sperare che tale distinzione non urti contro resistenze troppo grandi. Una discussione particolareggiata sull’argomento non sarebbe accolta sfavorevolmente, solo se ripetesse ciò che in gran parte è stato già detto in luoghi precedenti.
Il primo, ma anche migliore esempio di pulsioni sessuali inibite alla meta, ce lo ha insegnato lo sviluppo libidico del bambino. I sentimenti del bambino per i genitori e per le persone che lo curano si prolungano senza limiti nel desiderio che ne esprime la tensione sessuale. Dalle persone care il bambino pretende tutte le tenerezze che conosce. Vuole baciarle, toccarle, guardarle; è curioso di vederne i genitali, di presenziare alle funzioni escretorie; promette di sposare la mamma o la tata – qualunque sia la sua concezione del matrimonio – progetta di dare un figlio al padre, ecc. L’osservazione diretta e la successiva ricostruzione analitica dai residui infantili non lasciano dubbi sull’immediato confluire di sentimenti di tenerezza, gelosia e intenzioni sessuali. In entrambi i casi vediamo con quale fondatezza il bambino faccia della persona cara l’oggetto di tutte le sue tensioni sessuali non ancora correttamente centrate. (Cfr. Teorie sessuali.)
Come è noto, questa prima configurazione erotica del bambino, tipicamente subordinata al complesso di Edipo, è abbattuta da una spinta della rimozione all’inizio del periodo di latenza. Il residuo si mostra come legame affettivo tenero rivolto alle stesse persone, ma ormai non più definibile come “sessuale”. La psicanalisi, che rischiara le profondità della vita psichica, non ha difficoltà a dimostrare che anche i legami sessuali della prima infanzia perdurano, ma rimossi e inconsci, e ci incoraggia ad affermare che, ovunque incontriamo un sentimento tenero, esso succede a un legame oggettuale “sensuale” con la persona in questione o con un suo modello (la sua “imago”). Certo, senza esame particolareggiato non ci può svelare se in un dato caso la corrente sessuale precedente sussista ancora come rimossa o se sia già esaurita. Per dirla ancora più precisamente, è assodato che come forma e possibilità tale corrente è ancora presente, tanto è vero che in ogni momento può essere regressivamente rioccupata e riattivata. Resta da stabilire, ma non sempre è decidibile, quale tipo di investimento e efficacia tuttora possieda. Bisogna qui guardarsi da due fonti di errore come da Scilla e Cariddi: la sottovalutazione dell’inconscio rimosso e la tendenza a misurare il normale con il metro del patologico.
Alla psicologia, che non vuole o non può penetrare nelle profondità del rimosso, i legami affettivi teneri si presentano come espressione di tensioni che non mirano al sessuale, anche se originano da loro con quei fini.[60] Siamo legittimati a dire che sono stati deviati dalla meta sessuale, anche se nell’esporre tale deviazione è difficile rispettare le esigenze della metapsicologia. Per altro le pulsioni inibite nella meta mantengono sempre alcune delle originarie mete sessuali. Anche il seguace affezionato, l’amico e l’ammiratore cercano la vicinanza fisica e la vista della persona ora amata solo in senso “paolino”. Volendo potremmo riconoscere nella deviazione dalla meta l’inizio della sublimazione delle pulsioni sessuali o fissarne i limiti ancora più lontano. Le pulsioni sessuali inibite nella meta hanno un grande vantaggio funzionale rispetto alle non inibite. Essendo incapaci di soddisfazione completa in senso proprio, risultano propriamente idonee a creare legami duraturi, mentre le pulsioni sessuali dirette perdono ogni volta energia nella soddisfazione e devono attendere il rinnovamento per riaccumulo libidico, potendo nel frattempo cambiare oggetto. Le pulsioni inibite possono mescolarsi in qualsiasi proporzione con le non inibite, potendo riconvertirsi in esse così come sono scaturite da esse. È noto quanto facilmente relazioni affettive amichevoli, basate sulla stima e l’ammirazione, sviluppino desideri erotici (il molieresco Embrassez-moi pour l’amour du Grec) tra maestro e allieva, artista e ascoltatrice rapita, [analista e analizzante], soprattutto tra le donne. Certo, lo stabilirsi di legami affettivi inizialmente privi di intenzioni apre una strada diretta e battuta alla scelta sessuale. Nella Pietà del conte von Zizendorf Pfister dà l’esempio chiarissimo e certamente non sporadico di come sia facile per un legame religioso anche intenso regredire ad ardente eccitazione sessuale. D’altra parte è assai comune anche la trasformazione [inversa] di tensioni sessuali a vita breve in legami teneri duraturi. Il consolidamento di un matrimonio per amore poggia in gran parte su questo processo.
Naturalmente non ci stupisce udire che le tensioni sessuali inibite nella meta provengano da quelle direttamente sessuali, quando ostacoli interni o esterni si oppongano a raggiungere la meta sessuale. La rimozione del tempo di latenza è un ostacolo interno, o meglio, diventato interno. Abbiamo supposto che il padre dell’orda primitiva con la propria intolleranza sessuale abbia costretto tutti i figli all’astinenza, forzandoli a contrarre legami [sociali] inibiti nella meta, mentre per sé stesso si riservava il godimento sessuale libero, rimasto non sottoposto a vincoli. Tutti i legami su cui poggia la massa sono del tipo delle pulsioni inibite nella meta. In tal modo, però, ci siamo avvicinati alla discussione di un tema nuovo: il rapporto tra pulsioni sessuali dirette e formazione della massa.
D) Le due ultime osservazioni ci preparano a riconoscere che le tensioni sessuali dirette non favoriscono la formazione della massa. Nella storia evolutiva della famiglia sono esistite relazioni di massa di amore sessuale (matrimoni di gruppo), ma quanto più per l’Io diventava importante l’amore sessuale, producendo innamoramento, tanto più imperativamente richiedeva la restrizione a due persone – una cum uno – prescritta dalla natura della meta genitale. Le tendenze poligamiche divennero dipendenti dal cambio dell’oggetto in successione.
Le due persone, che dipendono reciprocamente per la soddisfazione sessuale, dimostrano il contrario della pulsione gregaria, del sentimento della massa, per il solo fatto di cercare la solitudine. Quanto più sono innamorate, tanto più perfettamente bastano l’una all’altra. Il rifiuto dell’influsso della massa si manifesta nel senso del pudore. I più violenti moti affettivi della gelosia sono chiamati a difendere la scelta sessuale dell’oggetto dall’interferenza del legame di massa. Quando il fattore tenero, quindi personale, di un rapporto erotico scompare del tutto dietro quello sensuale, solo allora è possibile il coito di una coppia in presenza di altre o atti sessuali simultanei all’interno di un gruppo, come nell’orgia. Questa però è una regressione a uno stadio primitivo delle relazioni sessuali, quando l’innamoramento non aveva ancora nessun ruolo e tutti gli oggetti sessuali erano considerati equivalenti, nel senso della battutaccia di Bernard Shaw: innamorarsi [per l’uomo] significa sopravvalutare indebitamente la differenza tra una donna e l’altra.
Sono presenti molti indizi che solo tardi l’innamoramento fece il suo ingresso nei rapporti sessuali tra uomo e donna. Pertanto anche la contrapposizione tra amore sessuale e legame di massa si sviluppò tardi. Ora può sembrare che questa supposizione sia incompatibile con il nostro mito della famiglia primitiva. La schiera dei fratelli deve essere stata spinta al parricidio dall’amore per la madre e per le sorelle. È difficile immaginare tale amore come qualcosa di diverso dalla primitiva unione indissolubile e profonda di amore tenero e sensuale. L’ulteriore riflessione trasforma l’obiezione in conferma. Una delle reazioni al parricidio fu, infatti, l’istituzione dell’esogamia totemica: il divieto di ogni rapporto sessuale con donne di famiglia, teneramente amate sin dall’infanzia. Così si introdusse un cuneo tra moti teneri e sensuali dell’uomo, che ancora oggi rimane saldamente piantato nella sua vita erotica.[61] A causa dell’esogamia i bisogni sessuali dei maschi dovettero trovare soddisfazione con donne (Frauen) estranee e non amate.
Nelle grandi masse artificiali, Chiesa ed esercito, la donna (Weib) non ha posto come oggetto sessuale. Il rapporto erotico tra uomo e donna resta fuori da queste organizzazioni. Anche nelle masse miste di uomini e donne la differenza sessuale non svolge alcun ruolo. Non ha senso chiedersi se la libido che tiene insieme la massa è di natura omo o eterosessuale. Infatti, non si differenzia in base ai sessi e prescinde in particolare del tutto dalle mete dell’organizzazione libidica genitale.
Le tensioni sessuali dirette conservano un frammento di attività individuale anche nell’individuo altrimenti assorbito nella massa. Dove diventano troppo forti, disgregano qualunque formazione di massa. La Chiesa cattolica ha i migliori motivi per consigliare ai propri credenti di non sposarsi e per imporre ai propri preti il celibato, ma l’innamoramento ha spesso spinto ecclesiastici fuori dalla Chiesa. Analogamente l’amore per la donna spezza i legami di massa della razza, della nazionalità e dell’ordinamento sociale classista, con effetti culturalmente importanti. Sembra assodato che, invece, l’amore omosessuale tolleri assai meglio i legami di massa, anche dove la tensione sessuale emerge disinibita. Il fatto è notevole, ma la sua spiegazione ci porterebbe lontano.
La ricerca psicanalitica sulle psiconevrosi ci ha insegnato che i loro sintomi derivano da tensioni sessuali dirette rimosse ma rimaste attive. Possiamo completare questa formula aggiungendo le tensioni inibite nella meta, la cui inibizione o sia parzialmente riuscita o abbia lasciato posto al ritorno della meta sessuale rimossa. La situazione corrisponde al fatto che la nevrosi renda asociale la persona colpita, facendola uscire dalle abituali formazioni di massa. Si può dire che la nevrosi eserciti sulla massa l’analogo effetto disgregante dell’innamoramento. Per contro si constata che la forte spinta alla formazione di massa fa recedere le nevrosi, fino alla loro scomparsa, almeno temporanea. Legittimamente si è tentato di sfruttare in senso terapeutico la contrapposizione tra nevrosi e formazioni di massa. Anche chi non deplora la scomparsa delle illusioni religiose dalla civiltà attuale ammetterà che, finché erano in vigore, ai loro soggetti esse offrivano la massima protezione contro il pericolo delle nevrosi. In tutti i legami mistico-religiosi o mistico-filosofici di sette e comunità non è difficile riconoscere l’espressione di un modo di curare di traverso una gran varietà di nevrosi. Tutto si riconnette al contrasto tra tensioni sessuali dirette e inibite nella meta.
Abbandonato a sé stesso il nevrotico è forzato a sostituire con i propri sintomi le grandi formazioni di massa da cui è escluso. Si crea il proprio mondo di fantasia, la propria religione, il proprio sistema delirante, ripetendo le istituzioni dell’umanità in forma distorta, che mostra chiaramente il contributo preponderante delle tensioni sessuali dirette.[62]
E) Per concludere aggiungiamo la valutazione comparativa dal punto di vista della teoria della libido degli stati di cui ci siamo occupati: innamoramento, ipnosi, formazione di massa e nevrosi.
L’innamoramento poggia sulla compresenza di tensioni sessuali dirette e inibite nella meta, mentre l’oggetto attira su di sé gran parte di libido narcisistica. Dà spazio solo all’Io e all’oggetto.
L’ipnosi condivide con l’innamoramento la restrizione a due persone ma poggia esclusivamente su tensioni sessuali inibite nella meta e pone l’oggetto al posto dell’Ideale dell’Io.
La massa moltiplica questo processo. Coincide con l’ipnosi nella natura delle pulsioni che la tengono unita e nella sostituzione dell’Ideale dell’Io con l’oggetto, ma vi aggiunge l’identificazione con altri individui, la quale fu forse originariamente possibile per l’identica relazione con l’oggetto.
Entrambi gli stati, ipnosi e formazione della massa, sono sedimenti ereditari filogenetici della libido umana: l’ipnosi come predisposizione, la massa oltre a ciò come retaggio diretto. La sostituzione delle tensioni sessuali dirette con quelle inibite nella meta promuove da due lati la separazione tra Io e Ideale dell’Io, già iniziata con l’innamoramento.
La nevrosi esce dalla serie. Anch’essa poggia su una peculiarità dell’evoluzione libidica umana, precisamente sull’inizio in due tempi della funzione sessuale diretta, interrotta dal tempo di latenza. Pertanto condivide con l’ipnosi e la formazione della massa il carattere regressivo, mancante all’innamoramento. La nevrosi emerge là dove il sorpasso delle tensioni sessuali dirette sulle inibite nella meta non riesce perfettamente. Corrisponde al conflitto tra pulsioni assunte nell’Io, che hanno portato a termine tale sviluppo, e le componenti delle stesse pulsioni che, a partire dall’inconscio rimosso, tendono al soddisfacimento diretto come qualunque altro moto pulsionale rimosso. Quanto al contenuto la nevrosi è straordinariamente ricca. Comprende, infatti, tutti i rapporti tra Io e oggetto: sia quelle in cui l’oggetto è conservato sia le altre, in cui viene abbandonato o ricostituito nell’Io, come pure le relazioni conflittuali tra l’Io e il proprio Ideale dell’Io.
[1] Tradotto dal dr. Rudolf Eisler, II edizione, 1912.
[2] Osservazione del curatore: nell’originale francese c’è “inconsci”.
[3] Qui si dà una certa differenza tra la concezione di Le Bon e la nostra: il suo concetto di inconscio non coincide del tutto con quello della psicanalisi. L’inconscio secondo Le Bon contiene innanzitutto le più profonde caratteristiche dell’anima della razza, propriamente non considerate dalla psicanalisi individuale. Noi non misconosciamo che il nucleo dell’Io (l’Es, come l’abbiamo poi chiamato), a cui appartiene “l’eredità arcaica”, sia inconscio, ma oltre a questo noi isoliamo “l’inconscio rimosso”, che deriva da una parte di tale eredità. In Le Bon il concetto di rimosso manca.
[4] Cfr. il distico di Schiller:
Ognuno, visto come singolo, è abbastanza intelligente e razionale,
ma massificato diventa una testa di legno.
Ognuno, visto come singolo, è abbastanza intelligente e razionale,
ma massificato diventa una testa di legno.
[5] Giustamente Le Bon usa il termine “inconscio” in senso descrittivo, dove non significa solo “rimosso”.
[6] Cfr. Totem e tabù, cap. III, Animismo, magia e onnipotenza dei pensieri, SFGW vol. IX, p. 93.
[7] Nell’interpretazione dei sogni, cui dobbiamo la nostra migliore conoscenza della vita psichica inconscia, seguiamo la regola tecnica di prescindere dai dubbi e dalle insicurezze nel racconto del sogno, trattando ogni elemento del sogno manifesto come ugualmente sicuro. Attribuiamo dubbi e insicurezze all’effetto della censura, sottostante al lavoro del sogno, e assumiamo che i pensieri primari del sogno non conoscano né dubbi né incertezze, che come contenuto possono naturalmente ricorrere nei resti diurni che portano al sogno. (V. 1899, L’interpretazione dei sogni, in SFGW, cap. VII, vol. II-III, p. 450.)
[8] Infatti, l’estremizzazione di tutti i moti affettivi al di là di ogni misura è propria anche dell’eccitabilità del bambino e si ritrova nella vita onirica in cui, grazie al prevalente isolamento dei singoli moti eccitatori nell’inconscio, la leggera arrabbiatura del giorno prima si manifesta come desiderio di morte verso il colpevole o un accenno di aggressività diventa in sogno una vera e propria azione criminosa. In merito il dr. Hanns Sachs ha fatto una bella osservazione: “Volendo ricercare nella coscienza quel che il sogno ci ha rivelato in riferimento al presente (alla realtà, Realität), non c’è da meravigliarsi di ritrovare come infusorio il mostro visto sotto la lente di ingrandimento dell’analisi”. V. “Die Traumdeutung” (1899, L’interpretazione dei sogni) in SFGW, cap. VII, vol. II-III, p. 626).
[9] A lungo nel bambino piccolo convivono uno accanto all’altro atteggiamenti affettivi ambivalenti verso le persone vicine, senza che uno disturbi l’espressione dell’altro. Se alla fine entrano in conflitto, il bambino lo risolve cambiando l’oggetto e spostando uno dei moti ambivalenti su un oggetto sostitutivo. Anche dalla storia dell’evoluzione di una nevrosi nell’adulto si apprende che un moto represso continua spesso per lungo tempo nelle fantasie inconsce o addirittura consce, il cui contenuto va naturalmente contro la tendenza dominante, senza che il contrasto faccia scattare contromisure dell’Io contro ciò che egli stesso rigetta. Per un certo periodo la fantasia è tollerata, fino a quando improvvisamente, di solito per l’aumento dell’occupazione eccitatoria, esplode il conflitto tra lei e l’Io con tutte le conseguenze del caso. Proseguendo lo sviluppo dal bambino all’adulto maturo, l’integrazione della personalità si estende sempre più, riassumendo i singoli moti pulsionali e intenzionalità (Zielstrebungen) sviluppatisi finora indipendentemente gli uni dagli altri. Da tempo nel campo della vita sessuale ci è noto l’analogo processo che riassume tutte le pulsioni sessuali intorno all’organizzazione genitale definitiva. (Vedi S. Freud, “Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), SFGW, vol. V). Che il processo di unificazione dell’Io possa andare incontro agli stessi disturbi dell’evoluzione libidica, lo dimostrano molti e ben noti esempi, come quello dei biologi che continuano a credere nella Bibbia e altri. [Aggiunta del 1923] Le diverse possibilità di successiva frantumazione dell’Io formano un capitolo a parte della psicopatologia.
[10] V. Totem e tabù.
[11] V. il testo e la bibliografia di B. Kraškovič jr., Die Psychologie der Kollektivitäten, trad. dal croato di S. Posavec (Vukovar 1915).
[12] V. Walter Moede, Die Massen- und Sozialpsychologie im kritischen Überblick, „Z. pädag. Psychol.“, vol. 16, 385, 1915.
[13] Cambridge 1920.
[14] Instincts of the Herd in Peace and War, London 1916.
[15] [Aggiunta del 1923] Contrariamente a una precedente critica, peraltro acuta e intelligente, di Hans Kelsen (Imago, vol. VIII/2, 1922) non posso concedere che tale dotazione dell’“anima della massa” significhi ipostatizzarla, cioè riconoscerne l’indipendenza dai processi psichici nell’individuo.
[16] Brugeilles, L’essence du phénomène social: La suggestion. Revue philosophique, XXV, 1913.
[17] Mc Dougall, A note on suggestion, “Journal of Neurology and Psychopathology”, vol. I, No. 1, 1920.
[18] [Aggiunta del 1924] Purtroppo questo lavoro non è andato in porto.
[19] M. Nachmanson, Freuds Libidotheorie verglichen mit der Eroslehre Platos, "Int. Z. Psychoanal.", III, 1915, p. 65; O. Pfister, Plato als Vorläufer der Psychoanalyse, ivi, VII, 1921, p. 264.
[20] “Quand’anche parlassi tutte le lingue degli uomini e degli angeli, non sarei che un bronzo sonante o un cembalo tintinnante, se non avessi l’amore”. I Corinti, 13, 1.
[21] Le qualità “stabile” e “artificiale” sembrano nelle masse coincidere o almenio essere intimamente connesse.
[22] Kriegsneurosen und Psychisches Trauma, Monaco 1918.
[23] V. “Introduzione alla psicanalisi. Lezione XXV sull’angoscia”, SFGW, vol. XI.
[24] V. in proposito il saggio ricco di idee, anche se un po’ fantasioso, di Béla von Felszeghi, Panik und Pankomplex, “Imago”, VI, 1, 1920.
[25] V. in P. Federn, Die vaterlose Gesellschaft, la spiegazione di fenomeni analoghi successivi al venir meno dell’autorità paterna della regione.
[26] “In una fredda giornata di inverno dei porcospini si stringono tra loro per proteggersi dall’assideramento con il calore reciproco. Tuttavia ben presto ognuno avverte le spine dell’altro e così si allontanano di nuovo. Quando il bisogno di riscaldarsi li porta ad avvicinarsi di nuovo, si ripete il secondo guaio, di modo che, finché non trovano la distanza ottimale, sono continuamente sballottati tra due sofferenze.” (Parerga und Paralipomena, II parte, XXXI, “Paragoni e parabole”).
[27] Eccetto forse la relazione madre-figlio. Essendo basata sul narcisismo, non è disturbata dalla successiva rivalità, ma rinforzata dalla prima scelta dell’oggetto sessuale.
[28] In Al di là del principio di piacere (1920), pubblicato di recente, ho cercato di riportare la polarità tra odio e amore a una supposta contrapposizione tra pulsioni di vita e di morte, individuando nelle pulsioni sessuali le rappresentanti più pure delle prime.
[29] V. Introduzione al narcisismo (1914), SFGW, vol. X, pp. 138-170.
[30] V. Tre saggi sulla teoria sessuale (1905) e K. Abraham, Ricerche sul primissimo stadio evolutivo pregenitale della libido, Intern. Zeitschr. f. Psychoanalyse, IV, 1916, anche in “Klinische Beiträge zur Psychoanalyse”. Intern. Psychoanal. Bibliothek, vol. 10, 1921.
[31] Markuszewicz, Beitrag zum autistischen Denken bei Kindern, Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse, VI, 1920.
[32] V. “Lutto e melanconia” (1915), SFGW, vol. X.
[33] V. “Introduzione al narcisismo”, ivi.
[34] Sappiamo molto bene di non avere esaurito l’essenza dell’identificazione con questi pochi esempi tolti dalla patologia e di non aver affrontato gran parte dell’enigma della formazione della massa. A questo punto dovrebbe subentrare un’analisi psicologica molto più in intensione e molto più in estensione. Dall’identificazione parte la strada che, attraverso l’imitazione, porta all’immedesimazione, cioè alla comprensione del meccanismo attraverso cui possiamo prendere posizione nei confronti di un’altra vita psichica. C’è molto da chiarire anche a proposito delle manifestazioni di un’identificazione esistente. Tra l’altro una delle conseguenze è la restrizione dell’aggressione nei confronti della persona con cui ci si identifica, risparmiandola e aiutandola. Lo studio di tali identificazioni, ad esempio quelle alla base del clan, portò Robertson Smith (Kinship and marriage, 1885) al sorprendente risultato che esse poggiano sul riconoscimento di una sostanza comune e, quindi, si possono generare attraverso un pasto preso in comune. Il tratto consente di riallacciare tale identificazione alla preistoria della famiglia umana da me costruita in Totem e tabù (1912).
[35] V. Tre saggi sulla teoria sessuale.
[36] V. “Sull’universale degradazione della vita amorosa”, SFGW, vol. VIII, 1918.
[37] V. “Supplemento metapsicologico alla teoria del sogno” (1917) SFGW, vol. X. Aggiunta del 1923: Dubbi sulla giustificazione di tale attribuzione richiedono una discussione più approfondita. [V. “L’Io e l’Es”, all’inizio del capitolo III, dove la funzione della prova di realtà è attribuita all’Io. N.d.T.]
[38] W. Trotter, Instincts of the Herd in Peace and War, London, 1916, II ed.
[39] V. il mio saggio, “Al di là del principio di piacere”, 1920, SFGW, vol. XIII.
[40] V. “Lezioni di introduzione alla psicanalisi. Lezione XXV sull’angoscia”, 1917, SFGW, vol. XI.
[41] [Freud fa il gioco di parole tra Herdentier e Hordentier. Ndt]
[42] [Männchen tra gli animali è lo stallone. La congettura attribuita da Freud a Darwin è una falsa citazione da The Descent of Man (1871). Darwin non parla di orde ma di small communities; tanto meno parla di “forti stalloni” (strong stallions). Freud non recepì mai il principio darwiniano di variabilità/selezione all’interno di popolazioni biologiche; la sua massa non è una popolazione biologica, perché formata da individui tutti uguali (gleich), identificati allo stesso Führer, senza una storia evolutiva alle spalle. La biologia di Freud è pre-darwiniana; risale a Linneo, non a Darwin. NdT.]
[43] V. “Totem e tabù. Alcune coincidenze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici” (1912-13), SFGW, vol. IX.
[44] Per l’orda primitiva deve in particolare valere quel che abbiamo già descritto in generale come caratteristico degli uomini. La volontà del singolo era troppo debole; non si fidava di agire. Non arrivavano a compimento impulsi che non fossero collettivi. Esisteva solo una volontà comune, non la singolare. L’immaginazione non rischiava di trasformarsi in volontà se non trovava rinforzo nella percezione della sua diffusione universale. [La concezione del vero come universale è la caratteristica fondante della fenomenologia hegeliana. Con la massa freudiana torna in campo l’idealismo hegeliano. N.d.T.] La debolezza dell’immaginazione si spiega con la forza del legame affettivo comune, ma uniformità delle condizioni di vita e assenza di proprietà privata concorrevano a omogeneizzare gli atti psichici. Neanche i bisogni escrementizi, come si può osservare tra i bambini e tra i soldati, escludono la comunanza. Solo l’atto sessuale fa eccezione. Lì il terzo è per lo meno superfluo e nei casi estremi è condannato a una penosa attesa. Sulla reazione del bisogno sessuale (di soddisfazione genitale) contro lo spirito gregario v. cap. XII, Supplementi.
[45] Si può ulteriormente supporre che, scacciati e separati dal padre, i figli compirono il passo dalla identificazione reciproca all’amore oggettuale omosessuale, guadagnando così la libertà di uccidere il padre.
[46] L’inquietante, SFGW, vol. XII.
[47] V. Totem e tabù e le fonti ivi citate.
[48] La situazione della persona inconsciamente orientata all’ipnotista, ma consciamente impegnata da percezioni monotone e non interessanti, trova un riscontro, che merita di essere citato, in ciò che avviene durante il trattamento analitico. In ogni analisi succede almeno una volta che il paziente si ostini ad affermare che al momento non gli viene in mente niente. Le associazioni libere si bloccano e le solite sollecitazioni a rimetterle in moto cadono nel vuoto. Insistendo ecco finalmente confessa: sta pensando al panorama che si vede fuori della finestra dello studio, alla tappezzeria della parete di fronte, alla lampada a gas appesa al soffitto. Allora siamo certi che il paziente è entrato nel transfert: è preso da pensieri inconsci sul medico. L’arresto delle associazioni scompare appena gli si dà tale spiegazione.
[49] S. Ferenczi, Introjection und Übertragung, “Jb. Psychoanal. Psychopath. Forsch.”, 1, 422, 1909.
[50] Mi sembra che valga la pena sottolineare che con la discussione di questa sezione ritorniamo alla vecchia concezione ingenua di Bernheim, secondo cui tutti i fenomeni ipnotici derivano dal fattore della suggestione, da non chiarire ulteriormente. Concludiamo che la suggestione è un fenomeno parziale di stato ipnotico, ben giustificato dalla disposizione inconsciamente mantenuta dalla famiglia umana sin dalla preistoria.
[51] Introduzione al narcisismo, 1914, SFGW, vol. X.
[52] Lutto e melanconia, SFGW, vol. X.
[53] Totem e tabù, SFGW, vol. IX.
[54] Trotter fa derivare la rimozione dalla pulsione gregaria. Più che oppormi a questa tesi l’ho tradotta in altro modo quando nell’“Introduzione al narcisismo” (1914, SFGW, vol. X, pp. 138-170) ho affermato che “la formazione dell’ideale sarebbe da parte dell’Io la condizione della rimozione”. [A proposito dell’Io che si soddisfa di sé stesso, chissà se Freud conosceva la tesi marxiana che “la sofferenza, umanamente intesa, è l’autogodimento dell’uomo”, K. Marx, Manoscritti economici-filosofici, III.4, trad. mia. Ndt.]
[55] Cfr. K. Abraham, Note per l’indagine e il trattamento della follia maniaco-depressiva e di stati affini (1912), in “Klinische Beiträge zur Psychoanalyse”, 1921.
[56] Più precisamente, l’aggressività si nasconde dietro i rimproveri rivolti contro il proprio Io, conferendo loro la persistenza, la tenacia e l’ineluttabilità, con cui gli auto-rimproveri dei melanconici si contraddistinguono.
[57] Quanto segue è stato scritto sotto l’influsso di uno scambio di idee con Otto Rank. [Aggiunta del 1923] V. O. Rank, Die Don Juan-Gestalt, “Imago”, 2, 142, 1922. [V. anche §§ 5, 6 e 7 del IV cap. di “Totem e tabù” (1912-13).]
[58] Cfr. Hanns Sachs, Gemeinsame Tagträume, da una conferenza al VI Congresso psicanalitico all’Aia 1920. Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse, VI, 1920.
[59] In questa esposizione abbreviata ho rinunciato a tutto il materiale a sostegno della costruzione di saghe, miti, favole, storia del costume ecc.
[60] I sentimenti ostili sono costruiti in modo più complicato.
[61] V. “Sull’universale degradazione della vita erotica”, SFGW, vol. VIII, 1912.
[62] V. Totem e tabù, alla fine del secondo capitolo Il tabù e l’ambivalenza, SFGW, vol. IX, 1912.
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