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RECENSIONE A “Effective Psychotherapists. Clinical Skills That Improve Client Outcomes”

22 Mar 22

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Questo è un libro che parla dello psicoterapeuta e non delle psicoterapie, cercando di individuare gli elementi di base che possono fare di una persona un buon terapeuta. La matrice è di genere umanistico ed esistenziale, con numerosi riferimenti a Carl Rogers, ma anche ad Erich Fromm e Irvin Yalom, e la struttura del testo si muove sulla linea dell’esplicitazione delle relazioni di aiuto, per poi passare a riflettere sulle skill terapeutiche (la parte centrale del libro) e concludere sul tema della formazione alla psicoterapia.

Iniziando dal principio gli autori vogliono rispondere alla domanda di base, semplice e sintetica su cosa è davvero importante nella psicoterapia tenendo sempre come riferimento-principe il vantaggio del paziente-cliente e portando avanti il discorso con un parallelismo (tipicamente anglosassone) tra psicoterapia e counseling, considerati di fatto inseparabili. Ecco emergere le abilità terapeutiche, il fattore dell’alleanza, alcune caratteristiche che paiono distinguere i terapeuti “bravi” dagli altri (caratteristiche distinte in interne-esperenziali e in esterne-espressive), sottolineando che non deve essere dato per scontato che il professionista diventi migliore con l’andare del tempo, cioè con la pratica.

 



 

 

Le differenze di approccio e di riuscita tra psicoterapeuti si evidenziano anche nel quadro delle metodologie maggiormente strutturate e in tale contesto si sottolinea l’importanza delle abilità interpersonali – di gestione delle relazioni interpersonali – piuttosto che le caratteristiche di personalità, puntando a esplicitare non solo il “cosa” si fa con il paziente, ma anche il “come” si lavora nel vivo delle sedute. Come è detto molto chiaramente nella parte finale del libro, non ci sono particolari evidenze che seguire scrupolosamente le indicazioni di un manuale di psicoterapia aumenti significativamente l’efficacia della stessa: una osservazione che fa pensare e che si colloca nel dibattito tra sostenitori di approcci manualizzati e terapie specifiche per specifici disturbi, e sostenitori del punto di vista opposto.

Riprendendo l’andamento del testo, con il terzo capitolo si entra nel vivo delle questioni e cioè nel mondo delle specifiche qualità che rendono un terapeuta eccellente nel proprio campo. Le therapeutic skills, descritte e commentate negli otto capitoli centrali, sono analizzate nelle loro matrici teoriche di base e nell’applicazione pratica, ad iniziare dall’attitudine empatica (definita, esattamente, accurate empathy), a sua volta basata sulla qualità dell’ascolto, che dalle meta-analisi consultate, risulta essere associata con l’incremento della capacità del paziente di introspezione. Seguendo l’impostazione di Carl Rogers sulla psicoterapia non direttiva e il cliente-al-centro, è discussa l’accettazione positiva incondizionata anche sotto il profilo di elemento che aiuta il soggetto a superare le resistenze, individuando in numerosi atti certamente poco costruttivi – come la disapprovazione, la critica, l’indurre vergogna, ma anche l’etichettatura classificatoria – un basilare impedimento all’andamento della terapia e alla costruzione della relazione di fiducia.

Queste ed altre qualità, approcci e modalità di intervento del terapeuta sono sempre, anche, discusse sotto il profilo del “come fare”, offrendo quindi esempi, vignette cliniche e indicazioni pratiche. Muovendosi verso terreni meno chiaramente definiti, come quello della autenticità-genuinità richiesta al terapeuta e i confini da mantenere, ad esempio, nelle operazioni di self-disclosure, gli autori mettono in guardia dall’eccesso di trasparenza così come dalla cosiddetta neutralità, ma anche la focalizzazione sugli obiettivi (tipica delle psicoterapie a breve termine) emerge in una luce dialettica.

Analizzando le componenti della speranza, dell’ottimismo e dell’anticipazione positiva degli esiti del trattamento nella mente del terapeuta è affrontato il tema dell’involontaria induzione di resistenza al cambiamento nel paziente e della necessità – come è detto testualmente – di onorare l’autonomia dello stesso, senza forzare la mano e/o essere particolarmente prodighi di suggerimenti e consigli.

La terza parte del testo è dedicata al tema della formazione, dello sviluppo della expertise e delle cosiddette micro-skill, e dell’opportunità di ricevere feedback, supervisione e coaching, mettendo in guardia dal dare eccessivo credito a ciò che sono chiamate le qualifiche cartacee, cioè le certificazioni.

In tutto il libro si fa costante riferimento ad almeno sette decenni di ricerche e studi, comprese alcune meta-analisi, che hanno indagato sull’efficacia delle psicoterapie e sulle qualità del terapeuta, mettendo in guardia dal fatto che in taluni casi il terapeuta, molto al di là dell’essere inefficace a causa di un non ottimale match con il paziente, può divenire dannoso.

Certamente sorprende la totale assenza di riferimenti all’opera freudiana e gli scarsissimi accenni a Carl Gustav Jung: parlando delle qualità dello psicoterapeuta sembrerebbe, infatti, assolutamente necessario passare attraverso l’opera dei padri della psicologia del profondo.

Il testo si chiude con un richiamo molto forte alla necessità di unire scienza e professione, ponendo una serie di questioni aperte – come la seguente: “il fatto che un trattamento si basi su una particolare teoria non significa che esso funzioni per ragioni che hanno le loro radici nella teoria stessa” (p. 165) – e con un richiamo all’anno 1947, quando Carl Rogers divenne presidente dell’American Psychological Association in un contesto in cui la componente dei clinici era fortemente sottodimensionata e le attività inerenti la psicoterapia e il counseling erano da molti considerate non scientifiche.

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