Enrique Pichon-Rivière non è una figura particolarmente nota né spesso citata nel contesto italiano e proprio per questo la traduzione di Teoria del vinculo (Buenos Aires: Nueva Visión, 1979) appare importante. Psichiatra e psicoanalista, Enrique Pichon-Rivière – nato a Ginevra il 25 giugno 1907, e scomparso a Buenos Aires il 16 luglio 1977 – si sposò con Arminda Aberastury (che divenne psicoanalista infantile) e iniziò a lavorare come psichiatra presso l'Hospicio de las Mercedes, fondando in anni più tardi la scuola di psicologia sociale – vedi il suo importante testo del 1970 Del psicoanálisis a la psicologia social (Buenos Aires: Galerna).
RECENSIONE A “Teoria del vincolo” di Enrique Pichon-Rivière”
Nel 1942 fondò la Asociación Psicoanalítica Argentina con Celes Ernesto Cárcamo, Ángel Garma, Marie Langer e Arnaldo Rascovsky, sviluppando l’idea dei gruppi operativi, l’Esquema Conceptual Referential y Operativo (ECRO) e una originale concezione dello psichismo e della psicopatologia. Considerato un pioniere della psichiatria argentina, ha svolto diversi incarichi scientifici e professionali, e ha formato numerosi colleghi tra i quali José Bleger (di Bleger v. Psicologia della condotta, e Simbiosi e ambiguità, tradotti entrambi da Armando Armando rispettivamente nel 2018 e nel 2010) e Davide Liberman, ma la sua personale tendenza all’indipendenza lo ha portato spesso a confliggere con gli ambienti istituzionali della psicoanalisi.
Il libro si apre con una interessante Introduzione a firma di Fernando Taragano a cui si deve la conservazione delle lezioni sulla metodologia del colloquio tenute da Pichon-Rivière negli anni 1956-1957 da cui derivano i dodici capitoli del libro corrispondenti alle dodici lezioni tenute in quel biennio (Taragano scrive queste note introduttive “a meno di un anno della sua morte e a più di venti dal corso di riferimento” (p. 19), riferendosi alla morte di Pichon-Rivière quindi orientativamente nel 1978).
Una delle opinioni-guida di Pichon-Rivière è ben sintetizzata nella seguente frase: “per poter intervenire sulla salute mentale dobbiamo conoscere con esattezza da che tipo di ansietà è affetto il gruppo sociale che stiamo analizzando in relazione alla follia” (p. 31). Si evidenziano, qui, l’interesse dell’autore per la psicologia sociale, la visione dei vincoli in ottica sociodinamica, la necessità di prendere in considerazione il contesto – ad esempio, la famiglia del paziente – e le dinamiche che lì interagiscono, l’interscambio costante tra mondo interno e mondo esterno, e altro ancora. Alcune osservazioni sono ormai da tempo integrate nelle ottiche sistemiche e familiari, e altre lo sono in pressoché tutti gli orientamenti psicoterapeutici (in specie la visione del terapeuta come osservatore partecipe, attivamente modificante il campo di intervento). Ma il lettore troverà interessanti le note sulle angosce del fuori e del chiuso, per così dire, cioè l’agorafobia e la claustrofobia, così come le riflessioni sui processi di esternalizzazione e di internalizzazione (proiezione e introiezione), la visione dell’epilessia come malattia universale, le idee sulle cause di tipo paranoico del suicidio, l’originale concezione dello schema concettuale di riferimento operativo (acronimo: ECRO) e, naturalmente, la teoria del vincolo come “tipo di conoscenza che funziona come un criterio operativo, come uno strumento di lavoro con il quale si può trattare il paziente psicotico e comprenderlo in funzione del suo campo intrapsichico” (p. 51).
Sono proprio le considerazioni cliniche dell’autore a dare valore a queste pagine, lì ove si comprende fino in fondo la capacità di intuizione e di comprensione di Pichon-Rivière soprattutto in riferimento alle situazioni psichiche gravi, le psicosi, avvalorando il duplice riferimento intrapsichico e interpersonale: “la psichiatria attuale è una psichiatria sociale nel senso che non si può pensare a una distinzione tra l’individuo e la società… L’oggetto centrale delle ricerche psicologiche è il campo psicologico, dove si stabiliscono le interazioni tra la personalità e il mondo (p. 61 e p. 63).
Un’altra notazione di grande attualità, tra le altre, mi sembra essere quella riferita a ciò che oggi si intende con integrazione delle psicoterapie: “molti analisti lavorano senza avere una chiara teoria della malattia e della cura e ciò determina che vengano raccolti gli indizi senza uno schema di riferimento definito, creando una mescolanza di schemi di riferimento diversi provenienti da Freud, Klein, Sullivan, Horney, Rank, Adler, ecc., senza che siano integrati né dinamicamente né storicamente” (p. 117).
In relazione all’edizione italiana di Teoria del vinculo, a cura di Laura Buongiorno, sarebbe stato certamente molto utile premettere al testo di Pichon-Rivière un ricordo biografico dell’autore e/o un sintetico commento storico-critico sull’insieme della sua opera nel contesto dell’attuale sviluppo del pensiero psicoanalitico internazionale (al proposito si può consultare la traduzione italiana di un lavoro scritto dallo psichiatra e psicoanalista David E. Scharff: I contributi di Enrique Pichon-Rivière, pubblicato nella rivista Interazioni 2-2016, pp. 21-27).
Vi è inoltre da notare che il libro di Pichon-Rivière è chiuso da una Postfazione a firma di Leonardo Montecchi a cui si aggiunge un carteggio tra Montecchi e Massimo Bonfantini e un commento di Franco Berardi (per un totale di quasi quaranta pagine) il cui senso non è facilmente comprensibile – a un certo punto si fa persino riferimento a un testo che “uscirà nel 2015” (p. 154). Imbarazzante, infine, la Bibliografia (non di Pichon-Rivière, ma relativa a questo spazio finale del libro) in cui i testi sono citati in modo approssimativo o errato (come, ad esempio, la storpiatura del cognome di Karl Abraham, che diventa “Abrham”).
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