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Abstracts del Congresso “Le frontiere della psicoanalisi – Naturale Artificiale”

10 Ott 12

Di FRANCESCO BOLLORINO

Lavarone 13 -15 luglio 2007

 

Animato: inanimato. un secolo per narrare l’illusione della vita – di Oscar Cosulich

L’illusione della vita è alla base del cinema d’animazione. Si tratti di cartoon, pupazzi, decoupage, computer grafica, schermo a spilli, esseri umani filmati a passo uno (con la cosiddetta tecnica della "pixillation"), o di qualunque altro materiale inerte (sabbia, plastilina, lana, etc.) filmato per l’occasione, la vita animata sullo schermo è solo un’illusione ottica, generata dalla rapida sequenza di immagini fisse.

L’intervento compie un rapido excursus su storia e tecniche dell’animazione, sottolineando come i caratteri più vivi e "umani" della storia del cartooning finiscano con l’essere oggetti, come la lampada Luxo di "Luxo Jr." e i giocattoli di "Toy Story" e animali più o meno antropomorfizzati, dalla cagnolina Betty Boop, presto diventata provocante soubrette, ai pesci di "Finding Nemo".

Perché, come diceva Norman McLaren (1914 — 1987): "Ciò che conta in un film d’animazione non è ciò che sta in un fotogramma, ma ciò che sta tra un fotogramma e l’altro: vale a dire il movimento. L’animazione non è l’arte dei disegni in movimento, ma dei movimenti disegnati. Quel che avviene tra un’inquadratura e l’altra è molto più importante di quel che esiste nella singola inquadratura. L’animazione è dunque l’arte di manipolare gli interstizi invisibili tra ogni inquadratura".

 

I gechi e le nanotecnologie – di Rossella Castelnuovo

   Molti di noi indossano indumenti di pile: tessuto morbido come lana, caldo come il cachemere ma non così costoso. Sembra uno dei tanti prodotti ottenuto da fibre naturali. Mentre il pile, in realtà, si ottiene dal riciclaggio delle bottiglie di plastica, vero e proprio simbolo del mondo artificiale.

  Anche il cane è un prodotto "artificiale" — in natura ci sono solo lupi — così come prodotti umani sono le colline senesi e tanti altri paesaggi che ci allietano occhi e mente.

   Al contrario radioattività e ogm (organismi geneticamente modificati) appartengono alla natura e ai suoi processi spontanei molto più di quel che generalmente si pensa. Le tecnologie più recenti, inoltre, intrecciano manipolazioni e processi spontanei in modo sempre più raffinato, rinnovando la sfida a chi vuol trovare il limite tra naturale e artificiale si rinnova.

 

Lo sconvolgimento del confine. Biotecnologie, modelli identitari e nuove forme di 'governo della vita' – di Monica Toraldo di Francia

Nella mia relazione vorrei prendere in considerazione due diversi piani della riflessione odierna sull’impatto della 'rivoluzione biotecnologica' sulle nostre vite, piani che non di rado rischiano di rimanere irrelati perché indagati da prospettive diverse e non sempre interagenti:

i. il piano socio-culturale degli immaginari e dei modelli di soggettività e di rapporto col corpo che questa ‘rivoluzione’ contribuisce a promuovere e che, in forma diversa, possono rivelarsi congeniali a più specifici imperativi politico-economici — vuoi di ‘flessibilità’, vuoi di smantellamento dei programmi democratici di protezione sociale — inerenti alla nuova ‘costellazione postnazionale’ ;

i.i. quello della riflessione che entra più direttamente nel merito degli aspetti ‘critici’ delle nuove pratiche mediche connesse agli sviluppi della genetica umana e della biologia molecolare, con particolare attenzione per le ricadute problematiche del rapido imporsi di quel settore della medicina che va sotto il nome di ‘medicina predittiva’ o 'presintomatica'.

Il filo conduttore è costituito dall'idea che, se ci interroghiamo sull’impatto del progresso biotecnologico sui processi di ridefinizione-ridescrizione del rapporto del soggetto con la propria materialità corporea, si coglie una sconcertante specularità fra due tendenze, in tensione fra loro, che, unitariamente considerate, possono essere lette come proiezioni di una più profonda ambivalenza nei confronti del potere della nuova biologia di ‘abbattere antichi limiti e dissolvere categorie acquisite’: mi riferisco per un verso alla tendenza – alimentata dalla cultura di consumo e dai suoi modelli mediatici, ma anche da alcuni filoni del pensiero postmoderno e del neofemminismo angloamericano- a promuovere un modello di soggettività multiforme e proteica, non più vincolata ai limiti imposti da un corpo ‘naturalmente’ dato (il 'corpo plastico', il corpo 'tabula rasa'); per l’altro alla tendenza, di segno opposto, ad arretrare invece su una visione ‘essenzialistica’ e biologistica del nucleo ‘duro’ dell’ identità individuale.

In altri termini, se la ‘rivoluzione’ biotecnologica in atto tende a promuovere l’immagine di una soggettività svincolata dal ‘peso’ del corpo e in continuo mutamento, per altro verso sono proprio le nuove scoperte e applicazioni della genetica umana a suscitare anche un insieme di atteggiamenti e di risposte emozionali, di segno opposto e speculare, che finiscono per rafforzare, nelle rappresentazioni pubbliche della nuova biologia, la tendenza a una sopravvalutazione del ruolo dei ‘geni’ nello sviluppo della personalità e della biografia individuale. Questa seconda tendenza, in cui confluiscono timori profondi nei confronti delle potenzialità della nuova ‘ingegneria riproduttiva’ — che trovano espressione nel monito a ‘non giocare a fare Dio’ —, ma anche istanze ideologiche variamente declinate, si presenta sotto un duplice profilo:

1. come un fronte di resistenza nei confronti del progressivo spostamento della linea di confine fra caso e scelta, fra ciò che è ‘naturalmente dato’ e ciò che viene invece a ricadere nell’ambito dell’agire intenzionale e, segnatamente, nei riguardi della destrutturazione delle nostre più radicate convinzioni circa l’ascrizione di responsabilità, individuali e collettive, e circa la demarcazione fra 'sfortuna' e ingiustizia;

2. ma anche come una rinnovata e più potente forma di riduzionismo biologico le cui ricadute sul modo di percepire e di trattare gli individui stanno producendo nuove e forse più insidiose forme di discriminazione sociale.

 

"Finzioni, interpretazioni e artifici nella teoria e nella clinica" – di Fausto Petrella

Una traccia possibile potrebbe essere la seguente:

La costruzione dell’esperienza e della conoscenza richiede la mobilitazione di momenti "artificiali" e di simulazione di vario genere: ipotesi, modelli, analogie, figure, narrazioni. L’intervento si propone di esaminare e discutere il ruolo –  in particolare nell’opera di Freud, nella teoria psicoanalitica e nel lavoro clinico –  dei vari aspetti finzionali citati.

La natura e la naturalezza, per essere raggiunte, hanno bisogno degli artifici della tecnica e dell’invenzione, piegati alla creazione della verità dell’esperienza, come insegnano le arti.

Fausto Petrella è nato a Milano, dove si è laureato in Medicina e Chirurgia e quindi specializzato in Psichiatria. Professore ordinario di Psichiatria all'Università degli Studi di Pavia, dal 1997 al 2000 è stato presidente della Società Psicoanalitica Italiana. E’ autore di numerose pubblicazioni su riviste specialistiche in ambito psichiatrico e psicoanalitico. 

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