"L'incapacità di tollerare uno spazio vuoto limita la quantità di spazio disponibile"
(Bion, Cogitations)
Sommario: Due pazienti che tentano di auto descrivere ciò che avvertono accadere nelle loro menti: per poi consegnare ciò che hanno colto a noi. Perché? Esiste in loro un bisogno inconscio di sollecitare il nostro "sogno della veglia" per dare un senso a ciò che avvertono accadere dentro di loro?
Tentativo d'introduzione
Ho chiamato "frammenti" due brevi momenti di contatto verbale fra pazienti psicotici e operatori.
Frammenti perché definiti dall'affiorare, prendere forma (sia pure con un greve alone di indeterminatezza) di elementi psichici che propongono all'ascoltatore un movimento, o quanto meno progetti di movimento, tuttavia non inseriti tra un luogo mentale riconoscibile di partenza ed un intuibile arrivo.
Frammenti dispersi di una smarrita coerenza immaginativa e auto-osservativa e per questa ragione inconfondibilmente psicotici: ovvero, paradossalmente, e assolutamente riconoscibili come elementi del pensiero della psicosi e in sé apparentemente inconoscibili in quanto a progetto di senso.
Azioni della mente che potrebbero alludere ad una intenzionalità storico-narrativa che non viene esplicitata, forse affidata alla creatività dei "sogni della veglia" dell'ascoltatore.
Nel presentare il lavoro affido ai "sogni della veglia" del gruppo la prosecuzione del percorso che ho con difficoltà abbozzato.
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Udire con gli occhi
Sono stato stimolato a riflettere su un dialogo avvenuto tra una donna di 55 anni, accolta in una Comunità Terapeutica dopo 25 anni di vita manicomiale per "Parafrenia" e una Educatrice che sta compiendo un percorso di rialfabetizzazione con alcuni ospiti.
Innanzi tutto riporto il dialogo.
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P: Non mi lasciano sognare!!
E: Ci sono i sogni della notte quando dormiamo e quelli del giorno quando sogniamo a occhi aperti. Di quali sogni parla?
P: Voglio sognare anch'io, che sono P., e appena si potrà, voglio anch'io, che sono P, che si vedano i miei occhi di nuovo.
E: I tuoi occhi parlano per te, io vedo quando sei triste, quando stai bene, se sei arrabbiata o se sei contenta.
P: Anche i tuoi, maestra L., parlano di te? E' il tuo lavoro far vedere con gli occhi?
E: In un certo senso, si.
P: Anch'io, che sono P. , per disgrazia ho gli occhi ammalati: hai il tuo territorio curativo in tasca, te lo ricordi?
E: Ricordo la "pietra che cura"..
P: Tutti i mali passano soltanto dopo aver lavorato nei territori delle cure curative.
E: Fammi un esempio di territorio curativo.
P: Aver lavorato nel territorio curativo vuol dire di nuovo malata. Quando ero malata, io, che sono P., non capivo niente.
E: Cosa auguri agli ospiti della C.T.?
P: Lunga vita e che ci facciano passare i nostri mali e che si veda di nuovo negli occhi con gli occhi, sono la dottoressa P.
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Alla prima lettura, accompagnata dentro di me dalla sensazione, ancora confusa, di trovarmi di fronte ad una piccola chiave di una grande stanza, quella dove è alloggiato il mondo psicotico, in una immagine che per me è quella di un roteare slegato di panorami in penombra o di un gran buio da cui fuoriescono, per poi rientrarvi, brandelli di rappresentazioni, di simboli incompiuti e di frasi raccolte da parole apparentemente inidonee a colmare i significati possibili, mi sono trovato a collegarmi immediatamente alle parole di BION che ora trascrivo.
Ho pensato, successivamente, di essere ricorso immediatamente a chi poteva darmi un riscontro significativo di ciò che avevo ascoltato con curiosità viva anche se smarrita. Ovvero ho trovato conferma all'ipotesi che il pensiero tenta di nascere da un'esperienza emotiva, quella che sperimentavo dentro di me, avvertita come stupore e meraviglia per le parole della paziente: tuttavia il suo nascere non mi pare possa prescindere dalla sensazione di un pensiero (sogno) che è occultato dentro di noi in attesa di un passaggio in un contenitore-pensatore (noi stessi, un collega, l'analista) che lo trasformi, grazie all'attivazione della funzione-alfa, in "materiale idoneo al pensiero della veglia" (Cogitations, p.235).
BION (Cogitations, p.57):
"Il paziente non è in grado di sognare, perché è nel sogno che le posizioni vengono negoziate…Deve sognare; la cosa importante qui non è il contenuto del sogno, ma il suo dover "sognare", un atto transitivo positivo per il quale è necessario un verbo transitivo…Forse il paziente che continua a "non riuscire a capire" non sta semplicemente resistendo, ma sta invece resistendo in un modo particolare.
Anzi, può darsi che stia qui la differenza essenziale tra la RESISTENZA, intesa come qualcosa che è peculiare al nevrotico ed al suo relegare nell'inconscio e la distruzione psicotica degli strumenti della comprensione, che si accompagna ad una consapevolezza apparentemente piena di ciò che è ordinariamente la mobilia dell'inconscio."Non capisco", oppure "Non so perché" ecc. possono essere presi come una dichiarazione affermativa della INCAPACITA' a sognare, sia come un'asserzione di sfida della capacità di NON SOGNARE. Se le cose stanno così, l' uso psicoanalitico del sogno come metodo attraverso cui l'inconscio viene reso conscio è un impiego che capovolge ciò che in natura è il meccanismo impiegato nella trasformazione del conscio in materiale idoneo all'immagazzinamento dell'incoscio. In altre parole, il lavoro onirico che conosciamo è soltanto un piccolo aspetto del sognare vero e proprio: quest'ultimo, essendo un processo continuo, che appartiene alla vita della VEGLIA e che è in azione durante tutte le ore di veglia, ma che di solito non è osservabile in quel periodo se non nel paziente psicotico….
Può essere talmente spaventato da produrre un ARTEFATTO che non è un SOGNO ma un'ALLUCINAZIONE, ma poi non può farne nessun buon uso, perché da un'allucinazione non può cavar nulla, proprio come non può cavar latte da un SENO IMMAGINARIO".
La lettura di Bion mi riavvicina al suo modo di leggere le demolizioni e le deficienze di cui lo psicotico sarebbe in una volta autore e portatore: sempre in "Cogitations", p.41:
"….il conglomerato di frammenti che fa la personalità del paziente può soltanto essere considerato come la prova che è avvenuto un disastro? La discussione di un caso di questo tipo è difficile perché abbiamo a che fare non con le normali strutture della personalità umana per la quale Freud ha introdotto termini come Io, Es, Superio ma con i pezzi di questa struttura, che sono stati rimessi assieme ma non riarticolati tra loro."
Nella conversazione con P. certamente possono trovar conferma alcune delle notazioni bioniane.
La paziente è INCAPACE a sognare (e, curiosamente, qui sta un punto fondamentale di discussione) se ne lamenta.
Possiamo leggere la sua INCAPACITA' come il risultato di un progetto difensivo in cui era per lei indispensabile APPRENDERE A NON SOGNARE.
L'ARTEFATTO di cui parla Bion e che sta al posto del SOGNARE è la FUNZIONE DELIRANTE- ALLUCINATORIA, ben presente in P.
Ferro (" Nella stanza d'analisi", 1999, p.79 e seg.) riprende il discorso soffermandosi non solo sul valore distruttivo della INCAPACITA' di SOGNARE-PENSARE (riferendosi specie ai sogni inconsci della VEGLIA) ma anche sul fatto positivo che ALLUCINARE- DELIRARE consente agli intollerabili elementi BETA di essere evacuati.
A pag. 86, parlando della ALLUCINAZIONE afferma che si tratta di una maniera di evacuare " massicciamente in immagini prive di significato condivisibile e bizzarro , angosce senza nome (elementi BETA)".
A me pare convincente, data l'incapacità degli elementi BETA ad essere utilizzati per costruire "Mobilia di sogni", l'ipotesi di Ferro (p. 83), ovvero che lo psicotico si trovi ad usare elementi BALFA, ovvero una predominanza di elementi BETA in piccola parte digeriti in elementi ALFA.
In questo modo si descrive lo psicotico come un soggetto preda di un odio violento verso la REALTA' INTERNA ed ESTERNA e che pertanto demolisce gli strumenti, ovvero i pensieri e l'apparato per pensarli.
Per far questo è costretto ad attaccare e mutilare i legami con gli oggetti, e con la funzione percettiva: entrambi spezzettati, frammentati, infine espulsi.
In conseguenza di tali operazioni, non solo Bion ma la stessa Klein e la Segal tendono a pensare in maniera più o meno decisa che la condizione mentale psicotica (schizofrenica) non è in grado di utilizzare l'attività simbolica.
Tuttavia mi pare che lo stato emotivo che ho avvertito leggendo le affermazioni di P. mi abbia indotto a pensare ad una presenza psicotica che tenta un legame con un contenitore al quale (modello della Réverie, credo) chiede di produrre quei pensieri che lei stessa non è in grado di produrre. Come se P. , lamentandosi della sua incapacità a sognare- pensare, di cui è evidentemente CONSCIA, ci comunica che è portatrice di un progetto che, un tempo abbandonato, ora si riaffaccia in lei.
Ovvero l'esigenza (PRECONCEZIONE specie-specifica) di rintracciare appunto una mente a cui legarsi per riapprendere la funzione del pensare i pensieri, ovvero la umana esigenza di passare dalla dimensione CONSCIA a quella CONSAPEVOLE.
Perdonatemi se cito ancora Bion:
"Si potrebbero assimilare i pensatori ad oggetti sensibili a certe lunghezze d'onda del pensiero, così come l'occhio o il radiotelescopio sono sensibili ad una gamma specifica d'onde elettromagnetiche. Pensatori di questo tipo possono essere invasi da pensieri troppo potenti in rapporto alla sensibilità dell'apparato ricevente, O i pensieri possono non trarre la possibilità di corrispondere con un pensatore che li reciprochi (op.cit. p. 306)".
E' evidente che la possibilità di dare significato allo scambio dipende dalla sensibile recettività del contenitore, in sequenza l'educatrice, io stesso, voi in contatto ora con le parole di P.
Indubbiamente, per quello che ho avvertito, l'educatrice ha iniziato (inconsapevolmente) a comprendere, svolgendo la funzione contenitrice e permettendo la prosecuzione del contatto, che poi mi/ci ha consegnato.
Ripenso in particolare alle sue parole, quando introduce il concetto del " sognare a occhi aperti".
Ferro (1999, p. 61 ) scrive: "L'onirico in seduta è uno dei pilastri del pensiero di Bion: anche da svegli vi è un sognare che è ciò che consente di formare elementi ALFA, di formare la barriera di contatto, di discriminare Conscio da Inconscio".
Mi pare assai poco probabile che l'educatrice abbia fatto riferimento a Bion, (come poi ho appurato) quanto al fantasticare che ricorda il modo in cui il filosofo francese Bachelard parla di REVERIE, ovvero del lasciarsi andare al flusso della fantasia, del ricordo, del pensiero non controllato.
Mi sento spinto a ritornare sul "SOGNO DELLA VEGLIA" come produttore di Elementi ALFA (a cui le parole di Bion che ho citato all'inizio facevano riferimento): forse le frasi di P., che hanno destato in me insieme ad un vivo senso di curiosità anche un certo turbamento per quel tanto di incomprensibile che contengono, hanno animato una sorta di rapido transito (nei due sensi, PSß —à D)
di elementi persecutori e di intuizioni di significato, affidati all'attività di REVERIE che ho cercato di promuovere in me.
A mia volta, come avete visto, ho affidato i miei pensieri non pensati alle capacità di REVERIE che tentavo di rintracciare nei pochi scritti a cui mi sono affidato ( e fidato) come se alle mie domande potessero essere già state date risposte o tracce su cui avviarmi.
A volte sono ritornato a farmi "contenere" da ciò che mi era noto e perciò rassicurante, ad esempio Ferro (p.62, op.cit.):
"Sappiamo che Bion postula la continua formazione di elementi ALFA nella veglia.
Questi elementi VISIVI (maiuscolo mio) vengono formati di continuo e in sequenza essi non sono direttamente conoscibili, se non in due situazioni, quella del flash visivo o della reverie ( e del sogno della notte, naturalmente).
….Questo "apparato per sognare i sogni", che necessariamente attinge agli elementi ALFA raccolti, lo chiamerei "capacità narrativa della mente nel sogno", una sorta di funzione di regia."
Penso che P. stia chiedendo che il suo frammento narrativo venga accolto e fornito della "capacità narrativa" che qualcun altro esprimerebbe per lei.
Il progetto è grandioso e meravigliante, riprendere contatto con le funzioni della propria mente, affrontare i rischi del passaggio da Ps a D.
P. vuole vedere gli elementi che costituiscono il "pittogramma" del sogno, ovvero abbandonare l'evacuazione allucinatoria e sostituirla con la capacità di "udire con gli occhi"(M.Khan, "Lo spazio privato del Se", 1979,p. 237), guarendo "gli occhi ammalati" con la "pietra che cura" della sua Educatrice e così potendo ascoltare e riprendere a capire, quando prima "non capivo niente".
Affermo che le parole frammentate di P. tendono a chiedere questo, e questa diventa allora la "mia/sua capacità narrativa della mente nel sogno della veglia": o, almeno, una bella fiaba.
Qualche pensiero in più
Recentemente Correale ( con l'apporto dell'ex Comitato per la Patologia Grave: vedi, tra tutto, "A. Correale, ‘ Psicoanalisi e psicosi: fino a che punto indagare l'area traumatica?' Riv.Psicoanalisi, 4, 2000") ha presentato un rinnovato punto di vista sulla sofferenza schizofrenica e sul senso degli interventi psicoanaliticamente orientati (non rifiutando gli apporti della Fenomenologia e della Psicologia del Se).
La catastrofe schizofrenica (il termine psicosi usato da molta psicoanalisi non tiene molto conto dei disturbi maniaco-depressivi) viene intesa come una voragine agonica in cui lo SPESSORE DELLA REALTA' PSICHICA (in cui l'esterno si presenta all'interno con tutta la ingenua vitalità della EVIDENZA NATURALE ( Blankenburg, 1998) tende inesorabilmente a smarrirsi (caratteristica della schizofrenia pauci-sintomatica) come PERDITA di tale evidenza.
La psicopatologia italiana usa il termine "DEPERSONALIZZAZIONE" e ad esso è ricorso Correale, per definire l'essenza della dimensione schizofrenica, il senso di sbalordita estraneità che precede (CONRAD) o segue la caduta del Sé nell'angoscia di annullamento e che di fatto ci riporta, da osservatori partecipi, all'enigmaticità con cui il paziente si pone di fronte al mondo e pone noi di fronte a lui proponendoci quello che RUMKE ha chiamato "il sentimento del precoce".
Ho pensato che il tentativo d'avvicinarmi al dialogo di P. , come ho iniziato a fare
rileggendo Bion, ha per me, analista, una caratteristica che credo informi ogni "campo" analitico, ovvero la ricerca di significati da cogliere e restituire.
Da questo punto di vista la fenomenologia si muove alleggerita rispetto al procedere analitico, in quanto, come ricorda Blankenburg, se è vero che da Bleuer in poi è alla ricerca del "sintoma fondamentale", tale ricerca esclude il CHE COSA (WAS) e anche il PERCHE' (WODURCH).
In questa sorta di inseguimento al "sintoma fondamentale" Conrad ha parlato di perdita di potenziale, Janzarik di defekt iniziale, osservando come la possibilità di davvero cogliere il "sintoma fondamentale" non sta certo nella floridità dei deliri e delle allucinazioni quanto appunto in ciò che residua, nella bleuleriana schizofrenia simplex, nella difettualità impoverita della sindrome ebefrenia processuale.
Nel pensiero di Correale e dei colleghi, l'ipotesi teorica (che si risolve naturalmente in un'ipotesi di tecnica psicoterapeutica) è che l'essenza della schizofrenia, come ho detto, può essere colta come abisso DEPERSONALIZZANTE, come ESPERIENZA DI MORTE PSICHICA (penso anche al concetto di AGONIA psichica di Winnicott)
Da questa esperienza traumatica, di cui il paziente, al suo uscirne, non ha memoria se non a brandelli,e soprattutto memoria di una insopportabilità del panico in cui è stato immerso, lo schizofrenico organizza stili di vita, sintomi, rapporti terapeutici che gli consentano per l'intera vita di EVITARE la possibilità di doverla riaffrontare.
Di questa confusa ma così sconvolgente, mortifera esperienza che ha travolto il Sé, il paziente conserva tracce profondissime (un paziente al termine di una psicoterapia psicoanalitica ha mostrato al terapeuta in un quadro quello di cui parlo: un monte, pieno d'alberi e fiori che lasciavano però intravedere un orrido, un burrone, nascosto ma ancora ben presente).
Burrone che equivale nel nostro pensiero alla definizione astrofisica dei "buchi neri", ovvero ancora a certe esperienze vissute dallo psicotico condannate a non divenire mai ricordi (Correale), proponibili da noi forse come un mare confuso d'angoscia che lascia il soggetto in preda a sensazioni di irrealtà, di irriconoscibilità, di disordine delle coordinate spazio —temporali, (l'area traumatica) ed a cui il soggetto, ove gli è possibile sostituisce una sorta di compensativo ORDINE DELIRANTE o di INCAPSULAMENTO DIFETTUALE o di soluzioni PERVERSO-TOSSICOFILICHE.
In tali soluzioni due sono allora le progettualità del terapeuta: lavorare consentendo al paziente di evitare la "Area Traumatica" e poi di mettere in piedi sistemi di risveglio (Correale) che RIVITALIZZINO il Sé del paziente.
Non potrebbe essere proprio questo che cerca P. nel suo breve dialogo, ovvero che qualcuno le permetta di riapprendere a "udire con gli occhi", a ridare cioè VITALITA' ad un Sé che chiede di uscir fuori dall'AREA TRAUMATICA per ridar senso alle nuove vitali esperienze di contatto?
In quanto analisti ci dovremmo qui soffermare sul valore dell'immedesimazione EMPATICA (quella tanto usata dagli educatori capaci all'interno delle C.T.), lavorando con essa ai bordi dell'area traumatica, attenti a che non si ripetano quei fenomeni esperienziali la cui presenza o mancanza hanno fatto precipitare il paziente nella AREA TRAUMATICA, dissolvendo la coesività e le fondamenta vitali dell'esperienza del sé.
A questo proposito ritorno alle parole della paziente P.
Ella parla degli occhi, della capacità di vedere e di essere vista o non vista.
Vuole suggerire qualcosa all'educatrice? Sta evocando esperienze vissute che alludono a quelle che l'hanno fatta precipitare nell'area traumatica?
Parla di carenze dell'ambiente primario d'accudimento?
Ho pensato a Kohut, alla psicologia del Sé, alla risposta scarsamente empatica dell'oggetto-sé, alla privazione (qui sto davvero associando liberamente intorno ad un modello teorico) di uno sguardo che doveva rimandare alla della piccola P. RICONOSCIMENTO e soddisfazione.
Tuttavia, in quanto analisti, ripeto, non dobbiamo cessare di rifornire il paziente di strumenti (la formulazione interpretativa) che recuperi, come penso necessario, il significato del suo progetto esistenziale che lo collocherà lontano dalla AREA TRAUMATICA.
Non è certo mia intenzione in questo contributo allontanarmi oltre, sui sentieri dei diversi modelli analitici in questo territorio.
Fuggire dal pensiero
Presento ora una breve comunicazione di un secondo paziente, recuperata durante una mia supervisione in C.T.
G. non ha esperienza manicomiale, ventinove anni,diagnosticato dal Servizio di invio come sofferente di una forma di schizofrenia paranoide.
Ha vissuto per lungo tempo in una condizione di grave inibizione, ora trascorre (nella Comunità Terapeutica ove è da tre mesi) gran parte del tempo in un isolamento diffidente che si inserisce in un diffuso convincimento delirante di tipo persecutorio. Si presentano, con carattere di imprevedibilità, momenti di forte aggressività verbale e fisica specie verso altri ospiti, alcune volte verso operatori. E' assai probabile che l'aggressività sia accompagnata ( o preceduta) da fenomeni allucinatori.
Ecco quello che ha detto al medico durante un colloquio in cui l'impressione dell'operatore era di un certo contatto emotivo tra loro:
"Quando sono oppresso, angosciato dalle vostre parole (del medico o degli operatori) o da pensieri che mi riportano alla mia angoscia (si riferisce, ritiene il medico, alla spinta a ritornare a casa e alla sensazione di non essere in grado di farlo, emotivamente, o ancora da tormenti persecutori che non precisa ulteriormente), allora devo scappar via con la testa: ho imparato il modo, metto un disco di musica molto forte e il rumore si trasforma in parole che mi calmano, voci che mi consolano, mi annebbiano, mi confondono, mi ubriacano…"
Nuovamente mi sono trovato (in un certo senso) affascinato dalla rivelazione del paziente: egli sa come fuggire all'insostenibilità di un pensare che trascina rappresentazioni e emozioni insopportabili. Non sa come questo avvenga: ancora una volta si ripresenta la scissione tra CONSCIO e CONSAPEVOLE.
Scrive ancora Bion:
"La frustrazione, secondo Freud, porta necessariamente all'instaurarsi del principio di realtà. Ma lo psicotico, con il suo odio per la realtà, evita l'instaurarsi del principio di realtà.…..Lo psicotico distrugge la capacità di pensiero che è essenziale per agire nella realtà e che rende sopportabile la frustrazione. …Di conseguenza, egli è più che mai intollerante di una frustrazione che risulta più che mai intollerabile" (Cogitations, pag. 73).
Il paziente descrive la fenomenologia del suo proteggersi dal contatto con pensieri-emozioni troppo dolorosi per essere sopportabili. Sorprende la sua capacità di lucida (?) percezione degli accadimenti che lo proteggono (nella trasformazione-sostituzione allucinatoria dall'intollerabilità della sofferenza, a cui è allora preferibile l'ottundimento allucinatorio.Il medico che riporta le parole dello psicotico risponde che lo stato allucinatorio "provocato", a cui ha assistito in un'occasione, gli ha ricordato uno stato tossicomanico, una sorta di estatica, del tutto estraniante condizione mentale.
Nuovamente Bion:
Come ogni altra gratificazione allucinatoria, anche questa lascia il paziente insoddisfatto. Egli fa quindi ricorso in modo ingordo ad un rafforzamento della sua capacità di allucinare, ma, naturalmente, a questo non corrisponde alcun incremento del suo grado di soddisfacimento( Cogitations, pag. 51)….ingordigia, frustrazione ‘genera' allucinazione. Oppure: frustrazione, intolleranza ‘genera' allucinazione(pag. 69).
Da una serie di impressioni che ho ricevuto nel corso di questa supervisione ci siamo costruiti la convinzione che il paziente attraverso la provocazione dello stato allucinatorio (uno stato che sembra richiedere una intenzionalità e dinamismo) cerchi di opporsi a quelle tendenze distruttive, forse omicide (le stesse che si realizzano nelle esplosioni aggressive) e che potrebbero essere definite come l'ordine di un Super-io vendicativo (proprietario di "allucinazioni imperative"?).
"La paura del paziente psicotico di commettere un omicidio è dovuto in parte al fatto che egli pensa di averlo già commesso…. Può evitare di sentirsi in colpa e sentirsi invece perseguitato dall'oggetto distrutto. Dato che è in quello stato mentale che è dominato dall'intolleranza della frustrazione e da un impulso ad espellere immediatamente ogni sentimento penoso, ciò facilita la scarica allucinatoria che è sentita come sollevare la psiche da un peso, con l'aiuto di un'azione muscolare, come per esempio la smorfia della faccia" ( Joan e Neville Symington (1996) " Il pensiero clinico di Bion", Raffaello Cortina, Milano, 1998).
Cercando una conclusione
So che si potrebbe dire molto di più sulle due comunicazioni di personalità psicotiche.
Bion le avrebbe chiamate TROPISMI (op.cit., p.55), ovvero, ritengo movimenti della mente che possono essere inviati.
Bion ritiene che questi movimenti (e questa è la dimensione della psicosi) o sono troppo potenti per le modalità di trasmissione della persona, o non rintracciano un oggetto, un seno, in cui essere proiettati e accolti.
Se quest'oggetto non esiste, il risultato è un disastro, che alla fine si struttura in termini di perdita di contatto con la realtà, di apatia o maniacalità….le cui qualità essenziali sono l'aggressività e l'odio.
L'ipotesi bioniana è che il paziente che cerca aiuto analitico, cerca un oggetto con cui sia possibile l'identificazione proiettiva.
Come può accadere nell'incontro con il seno primitivo, Bion permette di pensare che anche con l'oggetto di cura può esservi una non accoglienza dell'identificazione proiettiva, ovvero un'intolleranza che può manifestarsi come ANGOSCIA PERSECUTORIA , ODIO e APATIA.
Questo è accaduto a P. e G, tempo fa, con il seno?
E se questo è accaduto e si è forse rinnovato più volte, cosa sta spingendo i loro "tropismi" a cercare ancora una volta un oggetto accogliente? Cosa permette loro di mettersi a rischio di rinnovate frustrazioni?
I tropismi sono la matrice da cui scaturisce la vita mentale. Perché sia possibile la maturazione devono essere evinti dal vuoto e comunicati.(Bion, op.cit.)
Ritengo che in P. e G. (come in altri pazienti), il conflitto di cui sto parlando sia tra la FIDUCIA e la SFIDUCIA, ma non ho dentro di me chiaro a cosa siano connesse queste due dimensioni.
L'ipotesi che il seno (pre-concezione, fantasia delirante?) continui, in qualche parte dello spazio (mentale) a sopravvivere con le sue capacità di accogliere i tropismi?
L'ipotesi, nel caso contrario, che ….il seno ' mentale' è sentito come distrutto, poiché il fatto che non ci sia nessun apparato per comprenderlo vuol dire che non c'è nessuna comprensione di esso e quindi nessun "esso" da comprendere (da amare) (Bion, op.cit. p.194)
E poi?
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