Lacan, il 25 aprile 1969, tenne una conferenza al Grande Oriente di Francia.1 E di che parla?

Credo che l'assemblea dei Frammassoni francesi sia rimasta di stucco come qualche anno prima l'assemblea dei Cattolici riuniti a Bruxelles: Lacan parla della sua versione dell'"ama il prossimo tuo come te stesso", come conclusione – conclusione anche politica – dell'esperienza analitica.

Ai Frammassoni dice: "Egli [il soggetto] si soddisfa di questo vuoto [prodotto dall'operazione analitica] dove può amare il prossimo suo, poiché è là che trova questo vuoto come se stesso, e che può amarlo solo così".

Ai Cattolici aveva detto: "Sono almeno riuscito a far passare nella vostra mente le catene di quella topologia che pone al centro di ciascuno di noi quel luogo beante da cui il niente ci interroga sul nostro sesso e la nostra esistenza? È questo il luogo dove dobbiamo amare il prossimo come noi stessi, poiché in lui questo vuoto è lo stesso".2

A questi due interlocutori, l'assemblea dei Frammassoni e quella dei Cattolici, occorre aggiungerne un terzo, a questo riguardo non citato ma implicito nel discorso di Lacan: Freud.

Freud considerava il comandamento dell'amore "la più grandiosa dichiarazione"3 del cristianesimo – dimenticando di menzionare che è innanzitutto un passo dell'Antico Testamento. Per Freud si tratta di un comandamento assurdo, poiché equivale ad amare il proprio nemico, lo straniero, colui che mi è estraneo.

Eppure è stato proprio Freud a orientare Lacan. Tramite das Ding Freud fornisce a Lacan il modo di cogliere l' extime, quell'estraneo che alloggia nel più intimo del soggetto. L'elaborazione effettuata da Lacan sull'oggetto a permette di cogliere sia ciò che in quel luogo vi funzioni da tappo, sia ciò che il tappo ricopre: una faglia beante di cui nulla può essere detto.

Il rapporto di soddisfazione del parlessere con questo vuoto segna lo spostamento dalla posizione analizzante all'analista, proprio perché a causa di questo vuoto appare il desiderio in una versione inedita e che Lacan chiamerà desiderio dell'analista.

Il desiderio dell'analista è il motore della cura. Ma non potrebbe essere il motore di una sovversione sociale, anche nel suo aspetto politico?

Per farlo, occorre che lo psicoanalista dia testimonianza del suo essere stato analizzante. E Lacan, con pazienza, inizia il suo intervento enumerando i passaggi che, in logica, portano lo psicoanalizzante alla posizione che permette di occupare la funzione di psicoanalista.

Innanzitutto, rispetto all'analizzante, lo psicoanalista non deve puntare a ottenere un qualche successo. Deve invece mettere a nudo nell'analizzante quel desiderio di cui l'inconscio fornisce la traccia. Ma in che modo allora il desiderio inconscio permette al soggetto di realizzarsi? Forse quando il soggetto si compiace in un oggetto desiderato, vale a dire investito dalla libido? Una qualunque psicoterapia è all'altezza di ottenere questo risultato. Al contrario, in psicoanalisi, il risultato lo si ottiene in seguito alla deflazione del desiderio, ossia quando l'oggetto del desiderio è disinvestito dalla libido. A questo punto il risultato è il resto di un'operazione di divisione in cui il soggetto si realizza solo in perdita. Perdita preziosa, in realtà, se gli permette di restituire questo resto all'Altro da cui proviene. A questo punto il soggetto non ha più bisogno della domanda dell'Altro per sostenersi nel desiderio, e finalmente per scrollarsi di dosso il desiderio dell'Altro, poiché ormai sa che il suo desiderio inconscio altro non è che ciò che si è formato a partire dalla zona che fa da barriera al godimento.

È questo vuoto a dare accesso alla soddisfazione e a permettere di riconoscere e di amare il prossimo poiché anche lui è fatto di quel medesimo vuoto.

Come nella Chiesa, anche nella psicoanalisi gli psicoanalisti si comportano come i cristiani, "i quali hanno orrore di quanto è stato loro rivelato".4

Il riferimento alla Chiesa permette a Lacan di mettere le cose in chiaro rispetto al desiderio di Freud. Egli aveva pensato il suo movimento come una Chiesa. E se non si vuole che la psicoanalisi sia vedova, come lo è diventata la Chiesa, occorre che la psicoanalisi si muova in un altro regime. Non già quello della doppia verità, dove una verità può servire da alibi a un'altra e viceversa, ma il regime dove ci porta la struttura dell'inconscio: quello in cui la verità che si confina nell'inconscio è condizionata dalle esigenze del sapere.

Forse i Fratelli Massoni si saranno compiaciuti dell'invettiva di Lacan sulla Chiesa. Ma non si aspettavano di diventare essi stessi il nuovo bersaglio. Se si erano sbarazzati del Dio cristiano, e se perfino erano ormai esentati dal dover credere nel Dio dei filosofi, si sbagliavano di grosso se pensavano che vada meglio per chi crede di non credere. Anche i liberi-pensatori credono che ci sia un senso a tutto ciò che si dice e gli intellettuali-di-sinistra che ci siano degli ideali capaci di vegliare al progresso del bene.

Del resto la scienza stessa funziona supponendo un soggetto che sappia far funzionare l'universo, cosa che permette a Lacan di dire che esiste una teologia della scienza. E che dire allora del soggetto-supposto-sapere, fulcro del funzionamento del transfert? Certo, anche la psicoanalisi potrebbe essere nient'altro che una psicoteologia se il soggetto-supposto-sapere fosse il perno di un transfert la cui funzione sarebbe quella di effettuare il ritorno del senso. Si può fare a meno del soggetto-supposto-sapere. Se ne può fare a meno a condizione di servirsene.

Come comprendere allora la caduta di senso? Addirittura lo stesso insegnamento di Lacan può mascherare il fatto che il pensiero è solo censura e che impedisce l'accesso al sapere inconscio. Questo avviene perché le parole comuni che Lacan ha usato sono utilizzate per un ennesimo alibi che egli chiama lacanesimo. Anche qui si tratta di parole che tutti usano ma che in fondo servono a mascherare la porta di accesso al sapere inconscio.

Lacan equivoca qui tra pensiero (pensée) e censura (censure), tra senso (sens) e censo (cens, in francese omofono di sens). Lacan qui riprende quello che aveva detto nel suo Da un Altro all'altro nel corso della lezione del 23 aprile, dove si chiariscono i termini dell'invettiva contro i saggi e dell'incitamento rivolto ai giovani. La lezione seguente, quella del 30 aprile, rivela in modo inequivocabile la sua posizione: "Un vero ateismo, l'unico a meritare questo nome, è quello che risulterebbe dalla messa in discussione del soggetto-supposto-sapere".5

In questo numero della rivista La Psicoanalisi il lettore troverà la seconda parte del commento di Jacques-Alain Miller sul Seminario Da un Altro all'altro di Lacan, e tanti altri testi.

 

 

 

 

 

1 J. Lacan, "La psychanalyse en ce temps", in La Cause du désir. L'événement, c'est demain!, École de la Cause Freudienne, Paris, 2018, pp. 37-40.

2 J. Lacan, "Discorso ai cattolici" (1960), in Dei Nomi-del-Padre seguito da Il trionfo della religione, Einaudi, Torino, 2006, p. 88.

3 S. Freud, "Il disagio della civiltà", Opere, vol. 10, Boringhieri, Torino, 1978, p. 597.

4 J. Lacan, Il seminario. Libro XX. Ancora, Einaudi, Torino, 2011, p. 109.

5 J. Lacan, Il seminario. Libro XVI. Da un Altro all'altro, Einaudi, Torino, 2019, p. 279.

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