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TRA PSICOLOGIA E PSICOTERAPIA: APPUNTI DI GESTALT

10 Ott 12

Di Giuseppe-Cannella e Marco-Filoni e Fabio-Sambataro e annamariapacilli

– Introduzione

Il termine tedesco “Gestalt“ appare per la prima volta nella traduzione della Sacra Bibbia (1523) del principale artefice della lingua tedesca moderna, cioè Lutero. Per questa traduzione Lutero, in una Germania frantumata da centinaia di stati e dialetti, creò un nuovo linguaggio ancorato al dialetto della Germania centrale ed arricchito dal linguaggio popolare. Così nasce anche il termine “Gestalt“, formato dal participio passato “von Augen gestellt“, cioè “posto davanti agli occhi“, o “esposto agli sguardi“ (Ginger, 1990).

Nei dizionari di uso comune la voce “Gestalt“ è citata a tutt'oggi prevalentemente nell'accezione originaria di “psicologia della Gestalt“, teoria secondo la quale il nostro campo percettivo si organizza spontaneamente sotto forma di “buone forme“, “figure organizzate“, “configurazioni unitarie“, “insiemi significativi“ (Zerbetto, 1998).

«In realtà questo termine è fondamentalmente legato a due filoni di ricerca, nati in periodi diversi e con obiettivi diversi: la Gestaltpsychologie o psicologia della Forma, una scuola teorica tedesca che negli Anni Venti ha studiato la percezione, e la Gestalt Therapy o psicoterapia della Gestalt, una scuola clinica post analitica, sviluppatasi negli USA negli Anni Cinquanta, nell'ambito delle psicoterapie umanistiche» (Spagnuolo Lobb, 1997).

Tuttavia il fatto che queste due scuole siano accomunate dal nome “Gestalt“ non è assolutamente casuale: diversi autori della psicologia della Forma hanno influenzato, come vedremo, il pensiero di Fritz Perls, principale fondatore della psicoterapia della Gestalt (Salonia, 1991).

 

 

2 – La Gestaltpsychologie: la percezione come “configurazione unitaria“

La Gestaltpsychologie è una corrente della psicologia contemporanea sorta in Germania nel 1912 attorno alla rivista «Psychologische Forschung» fondata da Max Wertheimer, Kurt Koffka e Wolfang K�hler (Reuchlin, 1996).

I primi psicologi della Forma mettono in evidenza come l'atto percettivo, in particolare quello visivo, cui elettivamente dedicarono le iniziali ricerche, rappresenta un'operazione assai complessa che non può ricondursi alla semplice sommatoria dei singoli dati sensoriali acquisiti, ma evidenzia al contrario un'attitudine ad organizzare la miriade delle sensazioni elementari in figure emergenti da uno sfondo che, per vari motivi e in un dato momento, risultano per il soggetto particolarmente pregnanti e cariche di energia (Galimberti, 1992).

Il risultato di questa attitudine è la percezione di una figura viva e dai contorni precisi (gestalt), che spicca su uno sfondo indifferenziato (Polster, Polster, 1986). Non è possibile distinguere una figura senza uno sfondo. Una gestalt si evidenzia dallo sfondo, “esiste“, e la relazione della figura con il suo sfondo è ciò che chiamiamo “significato“; se questa relazione è tenue o non-esistente o se, per qualsiasi ragione, non siamo in grado di riconoscerla e capirla, c'è assenza di significato, assurdità (Posner, 1990).

Gli psicologi della Forma, opponendosi alle tradizionali scuole dell'elementarismo, del sensazionismo di e dell'associazionismo, teorizzarono che il soggetto che percepisce non è semplicemente un bersaglio passivo del bombardamento sensoriale proveniente dal suo ambiente: egli, grazie ad un processo percettivo unitario denominato inizialmente “phi“, tende a strutturare e a dare ordine alle proprie percezioni. Non sarebbero infatti gli stimoli elementari ad essere colti dall'organismo che percepisce, ma le stesse “configurazioni unitarie“: in altre parole, per l'organismo che percepisce “l'insieme significativo“ è lo stimolo (Beardeslee, Wertheimer, 1959).

Da queste teorizzazioni nasce la legge gestaltica, anticipata nel 1890 dallo psicologo viennese Christian von Ehrenfels con la pubblicazione di «Ueber Gestaltsqualitaten», secondo la quale il tutto viene prima delle parti e la percezione di una configurazione non può ridursi alla semplice somma degli stimoli percepiti proprio in quanto il tutto è diverso dalla somma delle singole parti (Koffka, 1935; Ehrenfels von, 1979). Così se la configurazione unitaria è scomposta in parti, interrotta o comunque deficitaria, il soggetto tende a vedere in ogni caso un insieme unitario o a muoversi, ad agire al fine di completare ciò che manca; se fallisce in questo obiettivo, sperimenta tensione e frustrazione (K�hler, 1940).

Per i primi psicologi della Forma la “figura organizzata“ (gestalt), diventava pertanto una sorta di unità di misura della percezione e ad essa la ricerca doveva essere indirizzata. Fu così individuata una serie quasi infinita di “leggi“ sul funzionamento delle gestalt percettive, la più importante delle quali è la legge della pregnanza: ciò che viene percepito contiene una forma organizzata che è la migliore possibile in date condizioni ambientali, ossia risponde ad un principio di economia dell'organizzazione – al fine cioè di ottenere il massimo dell'informazione nella struttura più semplice (Beardeslee, Wertheimer, 1959).

«Gli psicologi della Forma si impegnarono in ricerche approfondite che potessero validare le loro intuizioni sul processo percettivo e, in questo percorso, il loro modello si spostò gradualmente verso un' accentuazione dei fattori interni all'organismo nella formazione delle gestalt, allontanandosi dalla prospettiva originaria di Wertheimer sulla eventuale possibilità di quantificare oggettivamente, nell'ambiente, le buone forme» (Spagnuolo Lobb, 1997), e cioè quelle gestalt che, a livello percettivo, si tendono a privilegiare rispetto ad altre.

La Gestaltpsycologie progressivamente estese il suo interesse anche allo studio della memoria, dell'intelligenza e della relazione individuo/ambiente diffondendosi rapidamente in Europa e in America negli stessi anni in cui si stava affermando il comportamentismo di cui rappresenta, per molti versi, l'esatta antitesi (Galimberti, 1992).

 

 

3 – L'autoregolazione organismica e l'istinto all'autorealizzazione

Un'elaborazione della psicologia della Forma dal punto di vista dello sviluppo di una teoria della personalità fu il contributo del neurologo Kurt Goldstein, del quale fu assistente di laboratorio per un breve periodo di tempo Fritz Perls, che poi avrebbe fondato la psicoterapia della Gestalt.

Goldstein fu al fronte durante la Prima Guerra Mondiale e molte delle sue ricerche furono condotte su ex-combattenti con danni cerebrali. Egli osservò che un danno al Sistema Nervoso Centrale non produce una menomazione localizzata ma comporta una modificazione complessa che coinvolge l'intero organismo, la struttura della sua personalità e i suoi rapporti con l'ambiente (Goldstein, 1939).

Una concezione di tipo atomistico cedeva il posto ad una di tipo“olistico“ in cui funzioni biologiche, psicologiche, e di relazione non sono che aspetti di un'unica dimensione composta da livelli interagenti e non separabili. E' pertanto nella dinamica intrinseca dell'individuo colpito che avviene il processo di riorganizzazione delle proprie funzioni seppure a livelli inferiori a quelli posseduti anteriormente al trauma (Freedman, Kaplan, Sadock, 1984).

Tale concezione suggerì a Goldstein un'impostazione terapeutica definita “organismica“, tesa cioè a favorire l'auto-regolazione dell'individuo a partire dall'acquisizione delle risorse reali disponibili da armonizzare in una strategia che ne consenta una complessiva ottimizzazione. Tale concetto implica una continua “negoziazione“ tra individuo ed ambiente, tendente alla attualizzazione delle risorse potenziali disponibili ed al raggiungimento di una situazione ottimale dal punto di vista del riequilibrio energetico attraverso le fasi dell'accumulazione, distribuzione e scarica dell'energia stessa (Zerbetto, 1998).

Goldstein elaborò così una “teoria globale“ dell'organismo in relazione con l'ambiente (auto-regolazione organismica), rifiutando ogni dicotomia tra psichico e biologico. Chiamò istinto all'auto-realizzazione l'impulso primario ad interagire con l'ambiente: è tale istinto che organizza in maniera gerarchica tutti gli altri (pseudo)impulsi e comportamenti dell'organismo (Goldstein, 1940).

 

 

4 – Il bisogno organizza il campo: la figura e lo sfondo

Il tema dell'interazione tra individuo e ambiente costituì un altro dei fondamenti della psicologia della Gestalt grazie ai contributi di Goldstein e soprattutto di Kurt Lewin. Quest'ultimo, in particolare, utilizzando le ricerche che sul versante della fisica delle forze elettromagnetiche andavano sviluppando Faraday, Hertz, Einstein e Maxwell, sviluppò quel modello interpretativo delle relazioni individuo/ambiente noto come Teoria del Campo. Secondo questa impostazione ogni oggetto non può intendersi che in relazione al contesto totale nel quale è incluso (Zerbetto, 1998).

«Il contributo di Lewin portò la psicologia della Gestalt fuori dal laboratorio, nella realtà molto più complessa della vita quotidiana, che egli considerò come “il campo“ in cui l'individuo si muove per raggiungere i propri obiettivi. II campo percettivo è per Lewin una sorta di sfondo, di mappa mentale da cui emergono di volta in volta figure nuove, che poi ritornano nello sfondo per lasciare il posto ad altre figure, percepite dall'organismo come rilevanti per il raggiungimento dei propri scopi. Ciò implica che uno stesso oggetto può essere percepito con significati diversi a seconda degli obiettivi o del bisogno che l'individuo avverte in quel momento, così come essi interagiscono con il contesto situazionale in cui sono inseriti»(Spagnuolo Lobb, 1997).

In altre parole, per Lewin è il bisogno che organizza il campo.

«Ogni cosa percepita nel campo è considerata dal soggetto come più o meno significativa a seconda del bisogno da cui è spinto e pertanto può essere investita di energia, di valore positivo o negativo in relazione a quanto importante viene percepita per la soddisfazione di quel bisogno» (Spagnuolo Lobb, 1997).

Obiettivi e figure sussidiarie sono dunque organizzate dal soggetto in base agli obiettivi di rango più alto, di una “topologia“ risultante dall'elaborazione di quel campo (Lewin, 1935).

«Una importante implicazione del modello gestaltico di Kurt Lewin è dunque che il paradigma di tutta l'attività cognitiva del soggetto – inclusa la percezione – è improntata sul problem solving. Anche quello che potrebbe sembrare il semplice processo visivo di percepire delle forme o di valutare un colore è in effetti una complessa elaborazione risultante da un processo che può dare luogo a diverse soluzioni. La percezione è selettiva ed è organizzata in base al bisogno attuale del soggetto e al modo in cui esso interagisce con le condizioni ambientali. Possiamo allora dire che il problem solving, come modalità percettiva di base dell'organismo, esplicita la legge della pregnanza di Wertheimer colmando, con il concetto di soddisfazione del bisogno, quel vuoto lasciato nel criterio per individuare la forma “buona“ nella precedente formulazione»(Spagnuolo Lobb, 1997).

Queste intuizioni di Lewin diedero il via a tutta una serie di ricerche sul problem solving e sul concetto correlato di insight, così importante per la psicoterapia, nonché sul “carattere di richiesta“ delle situazioni incompiute (Zeigarnik, 1927).

A tal proposito Bluma Zeigarnik, psicologa gestaltista tedesca, estese le sue ricerche sui bisogni non soddisfatti e sui compiti interrotti durante lo svolgimento. L'autrice assimilò la persistenza della tensione così creata ad un quasi bisogno di terminare il compito, di chiudere la gestalt incompleta: le situazioni interrotte persistevano fastidiosamente nella memoria e quindi non venivano dimenticate. Oggi l'effetto Zeigarnik� viene largamente utilizzato sia in pedagogia che in pubblicità (Ginger, 1990).

 

 

5 – La Psicoterapia della Gestalt, un “tutto“ diverso dalla somma delle singole parti

La Gestalt Therapy o psicoterapia della Gestalt (PdG) si riconosce nell'alveo della psicologia umanistica. La psicologia umanistica nasce negli anni 50 negli Stati Uniti attorno a Maslow, May, Rogers, Allport, Sutich, autori notevolmente inflenzati dalla corrente esistenzialista europea, soprattutto da quella tedesca e francese (Heidegger, Buber, Binswanger, Sartre). Questo movimento si proponeva di ricollocare l'uomo al centro della psicologia, diventata sempre più scientifica, fredda e disumanizzata. L'obiettivo era quello di creare una sorta di terza via alternativa alla psicoanalisi classica ed al comportamentismo, accusati di essere troppo inclini agli accadimenti intrapsichici e allo studio obiettivante dei comportamenti agiti e di trattare l'uomo come prodotto della sua biochimica cellulare e del suo ambiente familiare e sociale, riducendolo ad oggetto di studi, piuttosto che riconoscergli lo status di soggetto responsabile delle proprie scelte e della propria crescita (Sarteschi, Maggini, 1996).

La PdG nasce a New York, nel 1951, dalle intuizioni del tedesco Fritz Perls, medico psicoanalista ebreo, emigrato negli Anni Quaranta per motivi razziali in Sudafrica e poi negli USA, e per opera di un gruppo di intellettuali statunitensi, che elaborò le intuizioni di Perls: di questo gruppo facevano parte anche Paul Goodman, poeta e scrittore anarchico, Isadore From, studioso di Fenomenologia ed Esistenzialismo, Paul Weisz, esperto in filosofie orientali e Zen, Ralph Hefferline, docente universitario di psichiatria (Ginger, 1990; Zerbetto, 1998).

Appare corretto parlare non di un “solo“ fondatore ma un gruppo di fondatori: e come vedremo si può anche affermare, gestalticamente, che da un incontro di intellettuali di diversa provenienza culturale è nato un “tutto“ che è diverso dalla somma delle singole parti (Naranjo, 1991).

Mentre l'attenzione degli psicologi della Forma si era principalmente rivolta alle caratteristiche delle funzioni percettive, fu merito di Perls innestare, in maniera originale, alcuni di questi contributi sul terreno della psicoanalisi seguendo un'impostazione fenomenologico-esistenziale (Freedman, Kaplan, Sadock, 1984).

Oltre alla psicologia della Gestalt, di cui Fritz Perls aveva avuto esperienza diretta quando era stato assistente di Goldstein a Francoforte, e alla psicoanalisi naturalmente, contribuirono alla formulazione del suo pensiero le esperienze di terapia individuale con Wilhelm Reich e Karen Horney; la teoria di Otto Rank e ancora l'Olismo di Jean Smuts, la Fenomenologia e l'Esistenzialismo di Husserl e di Heidegger, il pensiero differenziale di Friedlaender, lo Psicodramma di Moreno e la Semantica Generale di Korzybsky (Salonia, 1991; Zerbetto, 1998). Si intuì subito che questa terapia non era inquadrabile come giustapposizione di approcci o semplicemente come approccio eclettico: colpiva l'unicità della sintesi piuttosto che il riconoscimento delle sue componenti (Naranjo, 1991).

In un primo tempo Perls e il suo gruppo avevano pensato di denominare il nuovo approccio Terapia Esistenziale, ma questa scelta venne subito scartata in quanto negli USA la filosofia di Heidegger e di Sartre veniva subito accostata a correnti nichiliste del pensiero europeo. Si pensò successivamente di battezzarlo col nome di Terapia della Concentrazione per mettere in rilievo l'importanza del metodo della concentrazione per sentire “nel qui ed ora“ l'esperienza corporea, emozionale e cognitiva (Ginger, 1990).

Alla fine Perls suggerì di utilizzare il nome Terapia della Gestalt, scontrandosi con i colleghi del suo gruppo ma soprattutto con gli psicologi gestaltisti emigrati negli USA che protestarono veementemente: secondo Koffka, Goldstein e Lewin questa nuova terapia non aveva nessun legame con la psicologia della Gestalt. Non era vero…

 

 

6 – “L'Io, la fame, l'aggressività“

Fritz Perls, in maniera originale, diede importanza al tema dell'istinto alimentare vedendo nell'incorporazione del cibo il paradigma di base di futuri modelli di relazione con l'ambiente (Zerbetto, 1998). Contestando la teoria freudiana dell'Io, intuì che «l'introiezione termina il proprio compito evolutivo fondamentale molto prima di quanto avesse teorizzato Freud e indicò nello sviluppo dei denti (fase dentale) l'evidenza fisiologica di tutto ciò» (Spagnuolo Lobb, 1997).

Infatti, se la suzione del latte materno da parte del neonato crea e sostiene la capacità umana – a livello fisiologico come psicologico – di introiettare, lo sviluppo dentale deve pure creare (e sostenere) una capacità fisiologica e psicologica del bambino, ovvero quella di destrutturare sia il cibo che la realtà, di aggredirli per poterli poi assimilare (se nutrienti), o rifiutare (se nocivi o non nutrienti). La capacità di masticare e di mordere che nasce nell'organismo con lo sviluppo dentale dà assoluto rilievo all'aggressività in un momento evolutivo significativamente anteriore a quello teorizzato da Freud (Spagnuolo Lobb; Salonia, 1995).

Inoltre, l'aggressività (etimologicamente andare verso qualcuno o qualcosa, e quindi interagire con l'altro o con l'ambiente) venne intesa da Perls in termini positivi, di sopravvivenza e di crescita fisica ed esistenziale dell'organismo: non quindi come pulsione di morte ma come il naturale attualizzarsi della spinta all'autorealizzazione di cui avevano parlato gli psicologi della Forma (Spagnuolo Lobb; Salonia, 1995).

La prospettiva positiva dell'istinto all'auto-realizzazione di Goldstein (inteso come impulso primario ad interagire con l'ambiente) influenzò in maniera fondamentale Perls, che non accettava il dualismo presente nella metapsicologia freudiana tra impulsi dell'individuo e necessità dell'organizzazione sociale. Infatti secondo Perls e il suo gruppo, dal momento che l'individuo è soggetto che destruttura e ristruttura, gli si apre la possibilità concreta di vivere nel proprio mondo con pienezza (Franta, 1995; Spagnuolo Lobb,1997).

«Le tre parole-chiave del titolo del primo libro di Perls, scritto nel 1945, prima ancora della fondazione della psicoterapia della Gestalt – l'Io, la fame, l'aggressività – sintetizzano la sua critica alla teoria freudiana sulla natura umana: non aver dato il giusto e fondamentale rilievo alla capacità dell'Io di soddisfare i propri bisogni (la fame) attraverso un'attività autoaffermativa (l'aggressività), che gli consente di assimilare o rifiutare l'ambiente, a seconda che esso gli si presenti come nutriente o nocivo» (Spagnuolo Lobb, 1997). La pubblicazione di questo libro, dedicato a Wertheimer, rappresenta il punto di rottura con la psicoanalisi ortodossa e lo stesso Perls nella prefazione parla di Kohler e Lewin e si mostra particolarmente interessato ai lavori sulle situazioni inconcluse o gestalt incompiute.

Già alla fine degli anni Venti Bluma Zeigarnik, psicologa della Forma, aveva sperimentalmente dimostrato come una situazione incompleta polarizza una carica di energia destinata a completarla rendendo la stessa energia indisponibile per altri tipi di esperienza. Il mancato completamento della situazione precedente comporta un ripresentarsi ripetitivo della situazione stessa anche in luoghi e tempi successivi interferendo quindi con la possibilità dell'individuo di entrare efficacemente in contatto con i contesti in cui di volta in volta verrà a trovarsi (Ginger, 1990).

L'elemento innovativo introdotto da Perls fu quello di estrapolare questo principio dall'ambito delle leggi della percezione applicandolo ad una dimensione esistenziale ed evolutiva dell'individuo e quindi alla sua possibilità di utilizzazione in psicoterapia: in PdG il disagio mentale è strettamente legato ad un “accumulo“ di esigenze e di bisogni non soddisfatti (gestalt incompiute) e il lavoro terapeutico, tra l'altro, si propone di farli emergere per identificare gli elementi di interruzione e favorirne la naturale evoluzione (Zerbetto, 1998).

L'Io, la fame, l'aggressività diventarono quindi gli elementi chiave di questo nuovo modello di psicoterapia, i cui fondamenti sono contenuti nell'opera di Perls, Hefferline e Goodman, «Gestalt Therapy: Excitement and Growth in the Human Personality», pubblicata nel 1951.

 

 

7 – Il Sé e il “confine di contatto“ come " dimensione terza“

L'esistenza umana non è solo un-essere-nel-mondo ma anche un-essere-con-gli-altri; un io isolato non è mai dato poichè, in maniera originaria e costitutiva, l'esistenza è apertura verso il mondo e verso gli altri (Heidegger, 1969).

Tutte le esperienze non possono che avvenire al confine di contatto tra organismo animale umano e ambiente: il confine di contatto è il luogo dove risiede l'interazione e il rapporto (Cavaleri, 2001). La PdG appare interessata non tanto all'Io e/o al Tu-ambiente ma soprattutto al Noi, studiando la “dimensione terza“ e cioè, la “traità“, ciò che sta in mezzo, la reciprocità (Buber, 1958; Salonia, 1989).

«Il focus della novità di Perls sta innanzitutto qui: in una prospettiva gestaltica, secondo la quale Io e Tu-ambiente, individuo e società, non sono più visti come entità a sé, ma come parti di una stessa unità in reciproca interazione. La “tensione“ che può esistere tra di essi non è pertanto vista come insolubile “conflitto“ , ma quale necessario movimento all'interno di un campo che tende all'integrazione e alla crescita» (Spagnuolo Lobb, Salonia; Sichera, 1996).

Tutti gli eventi psicologici si verificano in questo confine di contatto: ciò che avviene in questo luogo è disponibile alla nostra osservazione e quindi all'eventuale intervento terapeutico. Viene così superato il paradigma intrapsichico freudiano per rilanciare, in modo originale, quello relazionale (Dell'Agli, 2000).

Il confine di contatto, da un punto di vista fenomenologico, è anche il luogo dove opera il Sé; il Sé gestaltico è quella funzione dell'organismo umano che ne esprime la capacità/abilità di entrare in contatto con il proprio ambiente e di ritirarsi da esso (Salonia, 1989). Il Sé non è un'entità fissa, né una istanza psichica bensì una funzione specifica per ciascuna persona e che ne caratterizza la maniera tipica di reagire, in un dato momento e in un dato campo, in funzione del proprio “stile“ personale: è il suo modo-di-essere-nel-mondo, variabile a seconda delle situazioni (Binswanger, 1973; Ginger, 1990).

Il Sé funziona in tre modi: la funzione es del Sé (concernente le pulsioni interne, i bisogni vitali e in particolare la loro traduzione corporea: così l'Es indica il �cosa sento� e cioè che ho fame, che soffoco etc), la funzione personalità del Sé (indica il �chi sono� in base alle esperienze vissute; è quindi la rappresentazione che il soggetto fa di se stesso) e la funzione Io del Sé indicante il “cosa voglio“ e cioè la funzione decisionale di scelta/rifiuto in risposta all'emergere di richieste e pulsioni provenienti dal mondo interno o esterno (Spagnuolo Lobb, 2001).

Il Sé quindi non può considerarsi come un “qualcosa“ di determinato, fisso ed atemporale, ma solo in relazione al campo (Lewin, 1935), all'ambiente o sistema al quale appartiene o con il quale interagisce in un dato momento: a questa interazione viene anche dato il termine di contatto (Zerbetto, 1998). Il contatto tra l'organismo umano e il suo ambiente, consente all'individuo di imparare ad orientarsi nel mondo e ad agire su di esso al fine �auto-conservativo� di assimilare la novità – il diverso da sé – e di crescere (Salonia, 1989; Franta, 1995).

Il confine di contatto è pertanto il luogo in cui è possibile mettere insieme la creatività (che esprime l'unicità dell'individuo) con l'adattamento (che esprime la reciprocità necessaria al vivere sociale). Durante un'esperienza di contatto (ciclo di contatto) l'individuo sano identifica, senza sforzo, il bisogno dominante del momento (che può essere organico, psicologico, sociale, spirituale�), sa operare delle scelte per soddisfarlo (aggredendo l'ambiente) e si trova così disponibile al momento in cui emerge un nuovo bisogno; egli è dunque sotto l'effetto di un flusso permanente di informazioni e successive dissoluzioni di“gestalt“, movimento legato alla gerarchia dei bisogni dell'individuo, di fronte all'apparizione di “figure“ in primo piano sullo sfondo della sua personalità (Dell'Agli, 2000).

Il modo in cui l'individuo fa (o non fa) contatto con il proprio ambiente descrive la sua funzionalità psichica; le modalità disfunzionali di contatto, legate strettamente ad un accumulo di gestalt incomplete, diventano le categorie diagnostiche della Gestalt Therapy (Salonia, 1989). Il ciclo di contatto può allora patologicamente interrompersi o perturbarsi e uno degli obbiettivi della terapia è quello di individuare questi, bloccaggi, interruzioni o distorsioni (Ginger, 1990).

«All'adattamento creativo, inteso come meta dello sviluppo sano dell'individuo, possiamo ricondurre il concetto di maturità in psicoterapia della Gestalt. Esso non risponde a un modello univoco di salute, ma consente la modulazione individuale su parametri di auto-realizzazione e di accoglienza della novità portata dall'ambiente/altro» (Spagnuolo Lobb, 1997).

I bisogni individuali e quelli comunitari vengono “integrati“ senza il sacrificio “a priori“ di nessuno e quindi la crescita di una persona verso l'autonomia coincide con la sua capacità di “decidersi“ per l'incontro con l'altro, con il Tu (Rosenfeld, 1987).

«La Gestalt Therapy infatti affida la regolazione del bisogno all'incontro, alla relazione stessa» (Spagnuolo Lobb, 1997), perché è nel riconoscimento pieno di sé e dell'altro che i bisogni dei partners in interazione trovano sana espressione e risoluzione creativa (Dell'Agli, 2000).

 

 

8 – Considerazioni finali

Perls e il suo gruppo, di cui faceva parte anche la moglie Laura Posner specializzata in psicologia della Forma, furono senza dubbio influenzati da diversi lavori svolti, soprattutto in Germania, dagli psicologi gestaltisti.

In PdG appare evidente il riferimento all'organizzazione del campo percettivo in figura e sfondo, anche se Perls riconsiderò questo aspetto in maniera “olistica“ estendendolo al campo più globale del funzionamento della persona, vedendo ogni comportamento e sentimento in stretta relazione con uno sfondo di esperienze attuali.

L'effetto Zeigarnik, riguardante le gestalt inconcluse che persistono fastidiosamente nella memoria di chi percepisce, venne trasformato dal gruppo di Perls nel concetto dinamico di “unfinished business“ (fatto psicologico irrisolto) che disturba i residui dell'esperienza passata, la quale deve essere rivissuta e completata in modo tale che questi residui non persistano più e non “oscurino“ l'esperienza presente.

L'importanza data da Perls alla relazione e alla reciprocità organismo-ambiente risente molto della Teoria del Campo di Lewin; questo autore inoltre, con la sua originale teorizzazione secondo cui l'inconscio poteva essere semplicemente definito come ciò che non è figura adesso, influenzò notevolmente i fondatori della PdG.

L'impostazione metodologica della PdG basata sulla creatività e sulla positività è legata alla teoria di Goldstein per cui l'organismo ha in sé la capacità di auto-regolarsi, facendo di volta in volta le scelte “migliori“ per sé in quanto inserito in un dato contesto ambientale.

L'organismo umano è cioè in grado di scegliere le alternative comportamentali più funzionali per la sua esistenza: in questo senso nella Gestalt Therapy il sintomo è una sorta di soluzione che, in un dato momento, è risultata la migliore, la più funzionale e creativa possibile. Sono passati circa cinquanta anni da quando Perls decise di chiamare il suo approccio “Psicoterapia della Gestalt“ suscitando, all'epoca, discussioni tempestose: gli psicologi della Forma si mostrarono sdegnati e persino i suoi più stretti collaboratori protestarono vivacemente.

Solo Paul Goodman difese tale scelta ed ebbe anche il coraggio di affermare che il termine “gestalt“, nei successivi anni, sarebbe stato ricordato non tanto per la tradizionale psicologia della Gestalt ma per la nascita di questa nuova psicoterapia…

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