Intervista a Brigitte Allain-Duprè

10 Ott 12

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D:L'importanza della funzione di reverie nella sua pratica clinica:

R:Per un analista è importante avere un bel impegno nella riflessione teorica ma è come essere nutrito di qualcosa che si deve digerire. Per me essere capace di raggiungere questo stato di reverie è una cosa molto importante. In termini Junghiani diciamo "lascia venire". È uno stato del pensiero ed emotivo dell'analista che non è più nel pensiero maschile, è un modo di pensare e lasciare andare nello stesso tempo. Per me è una cosa importante perché ho scoperto che non è una cosa così facile per l'analista. Io lavoro molto con madri e bambini ed anche neonati. Quando si ascolta cosa dice la madre al neonato , quando la cambia etc., lei parla in un modo con il quale non parla altrove o con qualcun altro. È un modo simile ad una filastrocca, ad una canzone; un modo in cui lo stato d'animo della madre è molto libero; lei dice delle parole che hanno anche a che vedere con l'amore. Per me questo modo di parlare e di essere dell'analista è un modo non di prendere il paziente e metterlo nelle sue categorie teoriche ma di andare col paziente nei luoghi, nei posti, nei topos interiori dove non c'è stato nessuno, non ci sono rappresentazioni, forse ci sono solo sensazioni ma senza parole. Io penso che sia i bambini che con gli adulti, che abbiamo oggi in analisi o in terapia, abbiano dei problemi molto precoci (madre fredda, madre troppo calda etc.). Ci sono esperienze molto precoci che non sono state vissute in relazione con l'altro. È un modo di raggiungere la psiche del paziente sia bambino che adulto, una umanizzazione. Non è una cosa che faccio volontariamente, a volte mi prende di essere in questa voce che chiamo "voce off". Con pazienti adulti questo provoca emozioni grandi che fa venire qualcosa che non era mai capitato e la gente dice "non mi ricordo più di che cosa avete parlato ma mi ricordo della sua voce, della tonalità". Qualcosa che ha toccato un luogo chiuso, doloroso. Mi chiedo sempre come fanno gli analisti uomini per raggiungere questo tipo di pensiero della reverie. Ma penso che anche loro hanno questa capacità.

Noi Junghiani siamo abituati ad andare dentro le immagini, in un modo che Jung chiamava l'immaginazione attiva. Ma per me è una cosa differente dalla reverie. Forse siamo troppo abituati ad andare nelle immagini. Mi sembra che ci siano dei pazienti che non hanno ancora le immagini, non hanno ancora la figurabiltà. Si deve andare con loro dentro la loro psiche dove vi sono soltanto delle percezioni, delle impressioni. La sensorialità è piuttosto del corpo che della psiche. Per esempio una donna molto difesa, con difese molto intellettuali diceva che lei sognava di avere una famiglia con il marito, i bambini, il sole sul tavolo della colazione al mattino e tutta la famiglia gioiosa (una cosa che lei non ha mai avuto). Io mi dicevo "questa immagine è uno standar di pubblicità, non sento niente". Ho incominciato a chiederle di parlarmi del calore del sole sulla sua pelle quando lei sta in questa situazione. Pensavo di aver dentro di me un tipo di critica verso quest'immagine molto banale, che può far sognare come un sogno da tre soldi. Ho pensato di provare a non entrare nell'immagine ma entrare nella sensorialità. La paziente ha incominciato a parlarmi della sensazione del sole sulla pelle quando lei era bambina e quando la madre non c'era per far sentire la sua pelle come bella e dolce. È importante entrare nell'immagine ma per la porta della sensorialità.

D:Nella sua relazione ha parlato di integrazione tra parti maschili e femminili, quale può essere la tecnica per far favorire nel paziente questa integrazione?

R:Ho citato Francesco, Don Francesco perchè diceva una cosa un po' misteriosa che non ho sviluppato nella mia relazione. Lui diceva che questo maschile o femminile integrati o insieme o in coppia sarebbe piuttosto importante che il terapeuta li abbia dentro di sé. Per esempio io sono una donna e quando ricevo un bambino è come se lui sapesse che il marito della donna sta anche lui qui. Ho citato Winnicott sulla madre abbastanza buona. Perché la madre sufficientemente buona è quella che sa di non esser completa, di non essere ideale, di non essere madre e padre insieme. Questa integrazione del maschile e del femminile, a mio avviso è una cosa paradossale. Io in quanto terapeuta di bambini e in quanto donna so che questi piccoli pazienti che vengono da me sono in maggior parte allevati da donne: la maestra di scuola, quello che fa la piscina, la nonna ed io sono una donna in più. Ma forse il mio essere abbastanza buona è di essere dentro di me molto vicina a quello che mi manca ma non in modo deficitario come per il bambino ma in modo equilibrato. La mia castrazione non è più una ferita per me. Allora dentro il bambino l'esperienza della mancanza del maschile è una perdita, una mancanza che ferisce ed è un tradimento. E dentro di me è una mancanza che non mi ferisce, che mi fa andare verso il maschile per essere più completa.

Io penso che nel nostro discorso Junghiano siamo molto vicini ai Kleiniani con l'identificazione proiettiva. Ma i Kleiniani la considerano solo da parte del paziente verso il terapeuta, ma noi Jughiani non parliamo di tranfert-controtransfert ma della relazione di transfert che prende ambedue. Allora io penso che il mio stato di integrazione di questo maschile che non mi manca nel senso di perdita ma nel senso di integrazione del mio femminile è anche questo nutrimento della relazione col bambino. Il mio nome è Brigitte Allain-Duprè. Allain è un nome di uomo. Ci sono dei bambini che mi dicono giochiamo al papà-mamma: "tu sei il babbo che si chiama Allain e sei anche la mamma che si chiama Brigitte". Ed allora io faccio una coppia. Mi piace molto perché fa vedere anche che questo padre assente che non c'è si deve nominare come una presenza-assenza.

Sono molto attenta a questi temi del maschile che incontra il femminile nei giochi dei bambini. Per esempio il bambino, di cui ho parlato nella relazione, era molto violento ed aggressivo. In questa seduta era la prima volta che con questa calma qualcosa succedeva. Ed io ero molta attenta a seguirlo nella sua intuizione. Aveva bisogno di me ma scrivendo ed ho provato a dire che questo scrivere è un modo maschile. Io era una madre non troppo incestuosa, non troppo calda ed occupata a mettere in simboli.

Ieri non ho detto una cosa perchè pensavo che desse un senso di miracolo. Il padre aveva lasciato la madre quando lei era incinta. Quando abbiamo continuato la terapia del bambino, ho in cominciato a dire alla madre "ma adesso che Lorenzo sta meglio forse sarebbe interessante per lui sapere che lei sta in ricerca di quest'uomo". Lei ha fatto un lavoro sulla sua voglia di far conoscere quest'ultimo al bambino, uomo che aveva amato ma poi qualcosa era successo tra di loro. Due o tre anni dopo la fine della terapia del bambino sono venuti a rivedermi la madre ed il bambino per dirmi una cosa bellissima per loro. Lorenzo aveva incontrato il padre ed il padre era molto contento di rincontrare il figlio. E non so perché ma ho chiesto che cosa faceva di mestiere il padre? Mi risposero lo scrittore (scriveva pezzi di teatro). Il bambino non conosceva niente del padre ed anche la madre non lo sapeva. Su questo tipo di cose non voglio fare grandi discorsi perché sembra un miracolo. Lorenzo aveva bisogno di uno scrittore.

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