Il nuovo, magistrale “notturno” newyorkese di Martin Scorsese (dopo “Taxi Driver” e “Fuori orario”) mette in scena una figura paradigmatica di professional helper, Frank (l'ottimo Nicholas Cage) un infermiere di pronto soccorso notturno (dotato di competenze e abilità pari a quelle di un nostro medico specialista !) che va a portare il primo soccorso al popolo dei nottambuli e degli emarginati sui marciapiedi, le strade e i bassifondi della New York primi anni '90: figure e personaggi di malati e di prassi professionali, appena un po' troppo caratterizzati, che chiunque lavori in ospedale riconosce bene (oltre alle urgenze mediche, lo psicotico, il tossico, l'alcoolista, lo psicopatico etc.).
Ciò che più interessa dal lato psicologico è la partecipazione e i riflessi psicologici del protagonista di fronte agli esiti non sempre felici dei suoi interventi: una partecipazione ingenua, al limite della professionalità, simile a quella di tutti coloro che si coinvolgono spontaneamente in attività di volontariato. Frank evidenzia infatti una sproporzione disarmante tra le competenze tecniche e quelle personologiche e per questo finisce per soffrire, per vivere nelle tre notti in cui si svolgono le azioni del film (ma quale operatore lavora tre notti di fila?) in una posizione psicologica al limite tra chi soccorre e chi ha bisogno di soccorso ed anzi in certi momenti di particolare stanchezza o stress emotivo presenta chiari sintomi depressivi ed anche allucinazioni acustiche e illusioni visive su base affettiva.
Nella memoria resta scolpita la sequenza oniroide che Frank vive sotto l'effetto di stupefacenti, nella quale si vede letteralmente sollevare dal terreno, resuscitare a metà i morti che normalmente (purtroppo) restano al suolo: una sequenza che ci tocca tutti nel profondo in quanto ogni professionista della salute mentale, in fondo, per mantenersi vivo, non fa che opporsi alla morte (o la minaccia della morte) psichica dei suoi pazienti.
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