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Aurora. “Don’t be afraid of me!”

3 Ott 12

Di Giuseppe-Riefolo

Alla fine del film ricorderemo le immagini iniziali e scopriremo che come nella pergamena di Melquiades tutto era già scritto sin dall’inizio: treni che corrono, che si incontrano e si incrociano alle stazioni; le immagini che in dissolvenze esplicite annunciano che nessun confine è più sostenibile e che ogni immagine può diluirsi nell’altra creandone una nuova che la città frenetica, per forza, si insinua nel ritmo lento della quiete della campagna. Credo che l’icona di questo film sia il treno, i binari, l’eccitante sensazione di non avere confini, di potersi affidare e farsi risucchiare da reciproche tensioni che ti permettono la paura delle nuove situazioni sconosciute: "don’t be afraid of me!". Il film all’inizio ci avvisa che stiamo assistendo ad una specie di favola e che quindi ci riguarda tutti: "queste canzoni possono essere in ogni luogo ed in ogni tempo"

Il giorno che ho visto il film, al servizio c’era stato il gruppo di pazienti psicotici che da alcuni anni conduciamo io e Giuliana.. Elisa era angosciata: "avevo confessato ad una mia amica il fatto che avevo l’impulso continuo a telefonare a Luca a cui non pensavo più, ma era più forte di me ed avevo paura che se l’avesse saputo Cristiano avrei rovinato tutto. Ma io sto bene con Cristiano… mi capisce… ha lasciato una famiglia per me… è la persona con cui mi trovo meglio. La mia amica l’ha detto al suo ragazzo e questi l’ha detto a Cristiano! Lui non me ne ha parlato subito… mi ha fatto delle domande su Luca… io ho capito ed ora ho paura che possa finire tutto… tutto per colpa mia…"

Durante la seduta, la paura di Elisa può essere capovolta e si connota come tentativo di presentare pensieri di se che poteva temere terribili e impresentabili. La paura era che il cambiamento potesse essere una catastrofe e privarla di tutto.

Sullo schermo vedevo l’uomo vinto dalla seduzione per la donna della città, quella che fuma sigarette che fanno un gran fumo e che ha la sensualità a mille: . "… la chiamavo Voluptas, la figlia di Psiche. Per i romani, la personificazione del piacere dei sensi" (Ph. Roth).

Ho pensato ad un mio paziente di analisi che è diventato anche un bravo avvocato, ma continua a raccontarmi che da bambino il suo mondo era diviso fra "quelli della città" e "quelli della campagna" e lui, come in Nuovo cinema Paradiso, era sempre con Michelino, il capo dei braccianti. Michelino aveva le mani grandi e gli raccontava che le donne di "quelli della città" non erano vergini e mettevano le corna ai mariti. Quando imparò le prime parole di inglese Michelino esclamò che era assurdo che il figlio di un contadino provasse a parlare inglese! Il mio paziente mi dice — ed io penso di sapere cosa voglia dire — che per lui quell’episodio non è mai stato una ferita, ma una zona in cui si è concentrata già allora una profonda commozione. In quel momento (forse dopo, ma si sa come sono i ricordi in analisi…) capì che Michelino non sarebbe mai cambiato, mentre lui era destinato a cambiare e questo Michelino lo sapeva.

Il film procede e la donna della città propone che il cambiamento debba essere netto: la campagna, la moglie, il figlio contro la città. Ma da dove partono i treni quando li vediamo entrare nelle stazioni? A me capita alcune volte di pensare che il cartello appeso sulla fiancata del treno è lo stesso che ha attraversato mille paesaggi, che ieri si trovava a Milano o a Venezia ed è lo stesso che adesso è nella stazione da dove sto partendo. Capisco meglio quello di cui mi parla il mio paziente: quello che per Michelino era stato un tradimento per lui è sempre stata la cifra del cambiamento: si poteva andare dalla campagna alla città senza che Michelino dovesse morire: "l’individuo ha bisogno di attraversare più e più volte l’ambiguità e la paura suscitata da questa dialettica per poter sviluppare le sue risorse di partecipazione differenziata al lavoro condiviso" (Gaburri, Ambrosiano).

L’uomo del film si muove come sdoppiato fra queste due appartenenze. Uno spirito cieco lo spinge alla gita in barca con la moglie ed è questa a temere che possa essere impossibile, alcune volte, che le storie, come le dissolvenze, passino le une nelle altre, e che mille binari possano intersecarsi e che i treni quando arrivano nella città sono passati per mille campagne. Allora: "don’t be afraid of me!" è un bellissimo incitamento a cambiare. E’ quello che Elisa sogna gli possa dire Cristiano quando lei riesce (secondo le contorte, ma efficaci vie dell’inconscio) a presentargli la sua competenza a poter cambiare e forse è quello che il mio paziente riesce a dire a Michelino il quale teme a vederlo partire per sempre verso la città.

Il film forse dice che è impossibile dimenticare l’appartenenza: bisogna per forza farci i conti, altrimenti è la paralisi o la malattia. Quindi l’uomo e la donna possono entrare insieme nella città e godere della nuova stazione.Si trasformano, lui goffamente per mano di un parrucchiere e lei forse perché respira l’aria eccitante della città che le toglie la maschera di bambola di pezza. La città temuta li rende vivi. Sono in gioco: "non avevo potuto fare marcia indietro mentre attraversavo la superficie ghiacciata del lago ed ora non potevo voltarmi e fuggire.. Il coraggio non c’entrava. Non c’entravano la ragione né la logica. Lui era lì. Ecco l’unica cosa che contava. Quella e la mia paura." (Ph. Roth).

In Nuovo cinema Paradiso, Totò finché non torna indietro non riuscirà mai a trovare l’amore (al ritorno la vecchia madre gli confessa che nella voce di tutte le donne che sente al telefono si accorge che non c’è amore per di lui…). Il mio paziente ha dovuto pagare un prezzo alla paura di Michelino: ha sempre portato con sé il fantasma che avrebbe potuto comportarsi come il protagonista della sceneggiata napoletana "O’ Zappatore", quello che, diventato avvocato, "s’ scord a’ mamm!". Elisa insiste perché dopo la seduta, "al di là dei discorsi del gruppo…" io possa parlare con Cristiano per spiegargli quello che lei non riesce a dirgli e cioè che non si può cambiare solo facendo finta che Luca possa sparire magicamente lasciando il posto ad una nuova vita. Durante la seduta io penso che dovrò fare in modo che sia Elisa stessa a dire a Cristiano: "don’t be afraid of me!". Nel film accade la stessa cosa. La campagna si sente sostituita dalla città e tradita dai due protagonisti. Si vendica, perché il ritorno è doloroso e se sei diventato avvocato sicuramente non ritroverai più la madre di un tempo: "è una tempesta invisibile.. le onde spesso arrivano fino a fuori… Non è possibile essere un analista, più di quanto non sia possibile essere un marinaio o un soldato, senza conoscere questo tumulto, questa tempesta che infuria. Nonostante la calma apparente, sappiamo che costui, dall’alto della sua superiorità da cui osserva l’analista, ha paura" (Bion).

Come per Totò di Nuovo cinema Paradiso o per Pirandello nell’ultimo episodio di Kaos dei fratelli Taviani, il ritorno è il riconoscimento di un lutto. Bisogna andare a incontrare qualcuno che è morto proprio lì dove l’avevamo lasciato e scoprire che per tutto il tempo che è vissuto, ci ha voluto nella città dove lui non era mai riuscito ad andare. Comunque vadano le cose, sostanzialmente i figli vivono per i padri e le madri, per quello che questi non hanno mai conosciuto e sono impegnati a saturare gli elementi β che generazioni precedenti hanno consegnato loro. Per tutti la vita si compie nel viaggio che nessuno ha mai fatto prima perché "ciò che abbiamo di meglio non lo possiamo trasmettere ai nostri figli" (Goethe).

Nel film è come quando le cose vanno bene. E’ proprio la paura e la vendetta della campagna, lo scampato pericolo, a sostenere la coesione del gruppo e la riammissione di quelli che vedevano una nuova vita nella fuga. L’uomo e la donna per essere riaccolti hanno bisogno delle capacità speciali del gruppo di appartenenza e delle sue cure. Come per ogni cambiamento è stata sfiorata la catastrofe ed è uguale alla stessa paura di Elisa la quale forse proprio per questa paura mi chiede di intervenire concretamente. Io, nel gruppo mi sento imbarazzato: so che se non succede niente durante la seduta che resta sarà difficile evitare di parlare con Cristiano, ma questo sarebbe grave per Elisa. Evidentemente anche durante le seduta abbiamo paura di spostarci e di lasciare la campagna. C’è, quindi il sogno di Annalisa: "C’era mio padre che era vivo. Io avevo una stanza tutta mia; non ero più nella casa famiglia e sapevo che in quella stanza avrei potuto finalmente ospitare mio figlio."

Nel film la donna della città viene respinta e smascherata nella sua diabolica seduzione. Ma questa è la soluzione maniacale che non ha mai storia. Ciò che conta è che l’uomo e la sua donna hanno potuto conoscere la città e ne sono tornati trasformati; Elisa alla fine del gruppo si affanna a cercare che Cristiano venga a parlare con me, ma per una felice occasione non riesce a contattarlo e ci saluta: "speriamo che vada bene, dottore!".

"devo e dovrò la continuità della mia esistenza alla mia capacità di temere un ‘disastro incombente," (Bion).

(*) pubblicato anche su www.istitutoricci.it

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