Percorso: Home 9 Recensioni cinematografiche 9 Ferro 3: le case sono vuote?

Ferro 3: le case sono vuote?

3 Ott 12

Di Giuseppe-Riefolo

"l’interiorità del luogo parlava alla sua immaginazione,

rendendo possibile sognare in un luogo"

(Hilmann, 94)

Perché doveremmo entrare in una casa vuota se non vogliamo prendere nulla?: "sei anche laureato in ingegneria!, ma allora perché entri in quelle case?". Il film sembra suggerire che si possa entrare in una casa vuota solo per entrarci, per conoscere ed usare un luogo che prima non sapevamo esistere se non dall’esterno. Si può entrare per prendersi cura di ciò che è dentro: "il corpo è stato avvolto con cura in un abito funebre meglio che se fosse stato fatto da un figlio!". Dall’esterno siamo i padroni della situazione e possiamo controllare le case che sono tutte uguali: una porta chiusa a cui attaccare una finta segnalazione pubblicitaria la cui persistenza, al nostro ritorno, ci segnalerà che quella casa, ora, non è abitata. Da fuori bisogna esplorare dov’è il vuoto perché entrare in quella casa è una operazione delicata ed il passo dovrà essere lieve. Subito oltre la porta di ingresso si aprono mondi insospettati. Piano piano si comincia a capire il linguaggio dei luoghi sconosciuti: la segreteria telefonica ti accoglie e quel messaggio anonimo presto si collega immediatamente con le foto appese al muro e traccia la cornice, lo sfondo dello spazio che stai usando ed attraversando: i luoghi sono sempre di qualcuno e, stranamente, hanno sempre qualcosa di familiare. In una casa vuota forse vogliamo entrarci proprio perché c’è qualcuno. Non esiste una casa vuota. Il problema è che spesso nessuno ti fa entrare e, in qualche modo tu sei atteso da una casa che altri hanno appena lasciato e , nel vuoto, attende che un nuovo ospite ponga il suo passo. Finché — senza saperlo – capita di fare male i tuoi calcoli. Finalmente! perché qualcosa ti prometteva che prima o poi ti saresti sbagliato: "Era una coincidenza? Naturale che lo fosse, ma sul momento mi sentii come se avessi fortissimamente voluto che si presentasse" (Auster, 59).

In una casa che pensavi disabitata incontri una persona sola: "dottore, ma perché lei viene a trovarmi sempre in clinica? Qual è il suo interesse?" Effettivamente non ci sono parole per rispondere. Quella volta provai una risposta già data mille volte, di quelle risposte che non hanno senso perché tutti le sanno e tutti se l’aspettano. In una casa vuota entri perché c’è una forma di attesa che tu stesso non conosci e che ti incuriosisce. Avrei dovuto rispondere: "perché sono curioso! Di lei!", ma non lo dissi perché pensavo di farlo perché era il mio mestiere. Ma la paziente da quel vertice scavato nella solitudine conosceva bene il mondo perché lo studiava continuamente: "Ma io non l’ho mai chiamata! Forse lo fa perché è venuta la polizia a casa per ricoverarmi? Ma qui ci sono tanti altri pazienti che stanno veramente male: perché non si occupa di loro? Io la ringrazio, ma non ho nessuna voglia di incontrarla!". Non c’era dubbio: aveva ragione! ed io non conoscevo un modo per dirle che nonostante avesse ragione, in un certo senso mi aveva chiamato esponendo un piccolo segnale sulla sua porta e, per questo io ero entrato. Una volta dentro io potevo solo sapere che era stato giusto, ma non sapevo nient’altro:"di fatto non so ancora quale linguaggio usare quando cerco di comunicare con qualcuno che non sia io stesso" (Bion, Seminari, 231).

Il film dice che non esiste il vuoto, ma che cerchi sempre qualcuno nascosto dietro la porta che da un tempo infinito ti sta aspettando. Quando entri in una casa vuota subito si ribaltano i ruoli: gli oggetti, le foto, la segreteria telefonica, il frigo stranamente colmo di cibo, la vasca e il letto cominciano ad osservarti perché appartengono all’altro che cerchi; e poi — se le cose vanno bene – sarai osservato proprio da quello che quel vuoto ha creato. Cosa vuole sapere quello che abita una casa resa vuota?. Vuole conoscere il tuo passo, il tuo modo di guardarti allo specchio, il tuo modo di immergerti nella sua vasca… vuole conoscere il tuo peso… se ha lo stesso registro del suo. Vuole vedere come dormi e se in quella casa lussuosa, ma spenta, qualcun altro sa vivere e se per caso sa ancora eccitarsi e sa portare l’amore che, visibilmente, in tutte quelle case manca.

L’incontro fra chi è dentro, rinchiuso, e chi, in silenzio e con leggerezza, si introduce nella casa, avviene su un campo paritario: lui non regge di essere osservato a sua volta e lascia il posto a quelli che già c’erano e posseggono la casa. Andrà via in un primo tempo, ma poi si renderà conto che chi possiede la casa non ne è l’anima e, per questo tornerà e la donna, inevitabilmente, andrà con lui. Infatti, quando abiti una casa perché ogni momento la devi possedere, puoi solo sapere che hai un prezzo inestinguibile da pagare (perché è inestinguibile il tuo bisogno). Il marito della donna che era sola e ferita in quel luogo entra in quella casa per ribadirne il possesso e il proprio bisogno, ma senza esito: "Come pensi posso fare per farti vivere nel lusso? … Mentre eri via ho mandato un po’ di soldi alla tua famiglia… Non mi resistere, ti prego…!"

Come per le parti sconosciute e delicate – quelle che gli analisti nel loro lavoro cercano e sperano di incontrare – o come per quei pazienti che ti offrono un piccolo spiraglio solo dopo lunghi tentativi di introdurti nel loro spazio, i due che si sono incontrati nella casa di lei, dove lei viveva sola, si conoscono piano piano e, ovviamente, non sanno affatto come procedere: . "poiché i due si sono incontrati, possono decidere di arrangiarsi alla meno peggio" (Bion, Seminari, 238). Lui inventerà una propria immagine per lei in cui lei è vestita di rosa; gliela porgerà col timore di poter sbagliare e rimanendo in attesa della sua risposta Il gioco degli incontri è cominciato e, d’ora in avanti, accadrà sempre con il sottofondo della stessa musica della prima volta: "ciò che accade una sola volta è come se non fosse mai accaduto" (Kundera, 228). Nel percorso, comunque asimmetrico, in cui lei ha bisogno di lui, ma lui non può saper in che modo può stare con lei, i contatti procedono lievi, ma decisi: è la regola! Dapprima è la contiguità, poi l’imitazione, poi la curiosità, poi l’affetto: lui lentamente le pone il braccio sulla spalla perché finalmente, dopo tanto tempo, si è creato il posto per quell’abbraccio e lei, da parte sua, mentre lui vorrebbe allontanarsi dopo averle rimboccato le coperte, gli tiene il braccio perché ora c’è posto per quel braccio intorno al suo corpo. Ora potrà addormentarsi rannicchiata al calore del suo petto. La volta in cui forse faranno l’amore sarà su quel divano rosso dove lei, in seguito, rimasta sola tornerà a dormire (a trovare lo spirito di lui): l’amore sarà annunciato dal lieve contatto dei loro piedi sotto il divano. Quando ci sei stato in una casa vuota e ne hai incontrato lo spirito, quell’esperienza rimane, e mille volte ci tornerai per recuperare la serenità che quella volta hai imparato: la ragazza ritorna alla casa del divanetto rosso; saluta il proprietario che in un certo modo capisce che lei è gia stata lì e lascia che si ridistenda su quel divano: "Ma chi è quella?"; "lasciala…lasciala riposare". Poi lei si ridesta e, silenziosa saluta e va via.

Lentamente il frequentatore di case diventa l’essenza di quelle case e diventerà leggero ed invisibile: "maledetto fantasma!" Forse era un fantasma già prima e già prima le abitava tutte avendole poi lasciate in preda al vuoto. Le case hanno bisogno di essere abitate dai fantasmi per rimanere vive come Vesta, "null’altro che un fuoco vivo" (Ovidio), che abita i luoghi: "si diventa pagani come i Celti, gli Indiani, perché ci si accorge che tutto è vivo. Tutto comincia a ‘parlare’ un po’. Non si è più anestetizzati" (Hilmann, 2004, 104). Come fantasma ritornerà dove era già stato ed in quei luoghi, finalmente, bisognerà fare i conti con la sua presenza (essenza): "c’è qualcuno che ci guarda… ne sono sicuro!" Per tutti rimarrà un fantasma sconosciuto; una di quelle esperienze passate che abbiamo bisogno di collocare in qualcosa che testimoni che il tempo dei luoghi è più antico del nostro tempo e che quel tempo ci sopravvive ed abiterà i nostri luoghi prima e oltre noi.

Ma la ragazza ha conosciuto quell’ombra e, solo quando l’ombra tornerà, lei potrà risentirsi felice; al marito incredulo, potrà dirgli: "ti amo!" In realtà è vero; quando si ama si sempre in tre; questo lo dicono da sempre solo gli analisti; dobbiamo amare e sentirci amati dalle felici esperienze che ci hanno preceduti per cogliere l’amore che ci viene incontro, altrimenti , finché saremo soli, fuggiremo perché solo Edipo ha amato da solo: "… quello che non conosco, lo ignorerò fino a che le mie tenebre non diventeranno nel tuo volto come un meriggio" (Agostino, 386).

Le storie della vita ci seguono e rimangono per sempre nella nostra casa; ci permettono di sapere che le porte, alla fine sono aperte: "Come mai in questa casa ci sono tutte le porte aperte?". Le storie della vita abitano i nostri luoghi anche quando noi abbandoniamo quei luoghi: "… non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato" (Calvino, 1972, 10). Infatti in ogni casa in cui i due protagonisti vanno sono attesi: c’è sempre un frigo pieno per loro e le foto parlano sempre di loro. Ovunque, la segreteria telefonica dà il benvenuto e segna il periodo della visita.

Alla fine, prima dei titoli di coda, il regista pone finalmente il quesito che per tutto il film ha costruito: "Non sappiamo se il mondo in cui viviamo è una realtà o è un sogno".

Io so che il mondo in cui viviamo non è realtà, ma è un sogno: non è una affermazione evocativa! Io ci credo davvero! A che servirebbe vivere una realtà? Come compiere ogni giorno gli stessi gesti e tornare ogni sera nella stessa casa! Io so che torniamo solo a ritrovare quello che siamo stati insieme a qualcosa che non siamo stati mai. Anche se il bisogno di ripetere sempre quello che siamo stati è forte, per fortuna fallisce e noi continuiamo a dover entrare sempre in nuove stanze dove troviamo una ragazza rinchiusa ed invisibile insieme al fantasma che ci ha amato e ci amerà sempre.

Ora so che alla mia paziente avrei dovuto rispondere che per entrare in una casa vuota non si possono usare le chiavi, né possiamo imporre la nostra presenza, ma si può solo scivolare leggeri come lo spirito che ha trovato casa e che abiterà quei luoghi potendola poi lasciare, ma lasciando per sempre la sua traccia. (*)

 

"perché l’amore significa rinunciare alla forza"

(Kundera, 118).

 

(*) pubblicato anche su www.istitutoricci.it

Loading

Autore

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Caffè & Psichiatria

Ogni mattina alle 8 e 30, in collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria in diretta sul Canale Tematico YouTube di Psychiatry on line Italia