Nell'aldiqua sono inafferrabile.
Abito bene con i morti
come con i non nati.
Sono più vicino al cuore della creazione.
Eppure non abbastanza.
Sono calore o gelo? Al di là
di ogni fervore questo è inspiegabile.
Alla distanza sono il più devoto.
Nell'aldiqua talvolta sadicamente felice.
Sono solo sfumature di quella cosa.
Sono poco devoti per vedere,
si irritano appena, preti e farisei.
Paul Klee, 1920
La trama: I Promessi Sposi o La bella addormentata nel bosco?
Battere di mani, voci che intonano l'Osanna, siamo ad un matrimonio religioso, ma il ritmo e l'entusiasmo del canto sono così accesi da ricordare quelli di un rito tribale.
Un uomo scruta la scena dall'ultima fila. Sembra distaccato, velatamente scocciato, ha la compostezza di chi nasconde il proprio disprezzo per chi lo circonda.
Una donna si volta verso di lui e lo prega di riprendere la scena con una telecamera; dopo un'iniziale reticenza l'uomo accetta. Non appena prende in mano la macchina cambia espressione, diventa concentrato, sicuro, quasi rapito dal suo punto d'osservazione privilegiato.
L'uomo avanza fino ad arrivare a pochi centimetri dalla sposa, sul suo volto crede di vedere una smorfia e le solleva il velo, interrompendo la cerimonia.
Scopriamo che è il padre della sposa, Franco Elica, un famoso regista.
Poco dopo, negli uffici della sua produzione, si stanno svolgendo i provini per le parti femminili de 'I Promessi Sposi'. Una ragazza molto intimidita e scura in volto chiede di parlare con il regista, ma viene indirizzata ad un factotum che le consiglia di offrire a Franco una prestazione sessuale per accelerare le pratiche. La ragazza però viene messa in fuga da due uomini che inspiegabilmente irrompono nell'ufficio per cercarla.
Qualche ora dopo, la produzione è messa sotto sequestro per una denuncia di molestia, rispetto alla quale Franco è completamente estraneo, forse vittima di un boicottaggio o dell'idiozia del suo assistente. Questo inconveniente, e forse la sensazione di fallimento di fronte ad un film che non vuole e al matrimonio della figlia in cui non crede, lo spingono a fuggire.
Franco prende il treno e si allontana senza una meta precisa, finendo per caso a Cefalù.
Mentre sta guardando il mare, seduto sulla sabbia, s'imbatte in una scena abbastanza ridicola: un regista dilettante, tale Enzo Baiocco, sta girando un filmino per due novelli sposi, costringendoli a correre e a fare acrobazie sulla spiaggia.
Bellocchio racconta di essere stato ispirato da un'esperienza diretta: "Ho assistito ad un matrimonio di una giovane coppia a Scilla in Calabria e c'era un regista che filmava l'evento. Mi ha colpito l'obbedienza che i due sposi hanno messo in atto facendo tutto ciò che gli si chiedeva di fare. Ecco, questa obbedienza, senza fare domande, in due giovanissimi che hanno tutta la vita davanti a sé mi ha fatto riflettere: la vita è fatta anche, per fortuna, di rifiuti, di disobbedienza, di ribellioni all'ordine costituito, perché loro la accettavano come fosse stata già preordinata? Come una resa definita, incondizionata, come se entrassero con il matrimonio nel mondo obbediente e razionale dei padri, e dei padri dei padri, che prima di loro si erano sposati".
Rielaborando il filmino sulla spiaggia, Franco aiuta Enzo a girare un cortometraggio completamente diverso dalle sue intenzioni iniziali, un film originale, anticonformista, che trasgredisce i comuni tabù sessuali e che ha un potente effetto tragicomico. In cambio Enzo lo ospita a casa sua, dove incontra per la prima volta il principe Ferdinando Gravina; il nobile decaduto, dopo aver visto la pellicola girata da Franco, gli chiede di realizzare il film del matrimonio della figlia Bona (salvo passare attraverso un piccolo lapsus.. "vorrei che lei girasse il funerale di mia figlia".. rattoppato con un banale "in fondo il matrimonio è la tomba dell'amore"). Franco viene così a conoscenza della triste vicenda della ragazza che, per risanare i debiti del padre, è obbligata a sposare un avvocato repellente ma ricchissimo.
Franco s'innamora immediatamente di questa storia e senza molte difficoltà anche della ragazza, non appena la conosce.
Bona gli racconta della sua adolescenza infelice, all'ombra di una madre malata a cui leggeva ogni sera I Promessi Sposi, e delle sue fantasie romantiche: identificandosi in Lucia sognava l'amore non già del noioso Renzo, ma del ben più affascinante Innominato, "un uomo maturo, d'esperienza".
Queste poche parole bastano per intrappolare Franco nel ruolo di eroe che in cuor suo desiderava recitare da tempo. Non più regista di film altrui, ma attore del suo proprio film; questo passaggio è reso anche visivamente da una trovata geniale di Bellocchio. Il principe, che ha scoperto l'interesse di Franco per la figlia, gli fa cucire una minitelecamera nella giacca in modo da spiarlo e farlo seguire dai suoi scagnozzi.
Il risultato cinematografico è un continuo alternarsi di immagini 'reali' – come le vede Franco – e immagini 'filmate' – come le vede il principe attraverso il monitor. Sguardo nello sguardo, cinema nel cinema, in un gioco di specchi che rimanda anche al finale nel finale della storia, come scopriremo più avanti.
Franco riesce a vedere Bona durante le riprese delle prove generali del matrimonio e in quell'occasione le dichiara apertamente di voler essere il suo salvatore: "Pensa alla tua Lucia! Perché devi rinunciare ai tuoi sogni? Perché non può esistere [anche per te] un Innominato?"
A dire il vero, la parte che Franco decide inconsapevolmente di recitare, più che all' Innominato, si avvicina ad un comune Lancillotto. Franco è sì convertito da una freddezza glaciale e cinica ad un amore appassionato e senza riserve, come l'Innominato è convertito alla fede, ma non lascia che sia l'amata a decidere del proprio destino. La incalza con le parole che lei aveva sognato, la bacia e prevedibilmente lei risulta vinta. Se all'inizio Bona aveva abbozzato un timido tentativo di prendere in mano la sua vita, decidendo di fare il provino, ora non riesce più a resistere alla seduzione favolistica di Franco.
Proprio come in una favola la Bella viene rinchiusa in un convento, fino al giorno del matrimonio, ma il nostro eroe non si arrende e, dopo aver superato più o meno vittoriosamente diverse prove, Franco arriva alla stanza della fanciulla, la libera e la piazza sul primo treno per farla fuggire.
Sarà la vera conclusione o solo uno dei finali possibili? Bellocchio propone un doppio happy ending con un matrimonio tra Bona e il brutto avvocato che finisce nel tragicomico con il principe che spara al novello sposo subito dopo il sì. O forse questa è solo la fine di un sogno che Franco aveva fatto la notte prima?
Nell'ultima scena i tre protagonisti della recita nella recita sorridono guardando fuori camera: prima il principe, poi Franco e infine Bona, che chiude il film con un enigmatico sguardo amaro.
I personaggi: eroi o antieroi?
Franco è il regista maestro, un artista disincantato, dichiaratamente ateo, molto freddo nella vita privata che vive senza mai esprimere un coinvolgimento emotivo, traducendo i suoi desideri in azioni troppo spudorate per essere davvero coraggiose, azioni che sembrano piuttosto degli affronti, delle provocazioni (rappresentativa la citazione che fa durante i provini: "La compassione è come la paura, se uno la subisce non è un uomo"). Ha dei tratti schizoidi che però non prendono il sopravvento. Franco guarda il mondo attraverso la telecamera, ma lo guarda attentamente, si lancia contro gli altri e in situazioni pericolose con eccessiva veemenza, ma sente la necessità di una qualche forma di contatto. Fugge da una realtà che lo opprime, ma poi cerca di uscire dallo stallo re-inventando se stesso, appassionandosi ad un amore avventuroso.
Indossa la maschera dell'eroe, salvo poi rivelarsi un antieroe in diversi momenti della storia.
Entra nel palazzo della principessa quasi per gioco e, una volta attaccato dai rottweiler, decide di seguirli fin dentro il salone principale, più per il gusto di vedere come va a finire che per una reale motivazione. Parla con i cani in tedesco chiedendo loro di portarlo da Bona, come se stesse improvvisando la scena di un film, come se si trovasse davanti ad una telecamera. Fugge dai suoi inseguitori sfruttando un amico venditore ambulante. Fugge dal collega che poco dopo si suicida senza far nulla per impedirglielo (lo insegue solo per curiosità). Passa attraverso una processione e si mette a cantare con il coro per noia, poi attraversa una corsa nei sacchi e si lascia colpire quasi apposta. Rincorre la sua bella senza troppa motivazione, incappando nella strada giusta solo per caso, dopo uno svogliato girovagare. Lo stesso Bellocchio, parlando del suo eroe-antieroe, dice: "poiché non è un eroe nato sbanderà spesso in questo pericoloso percorso e quasi volontariamente come se avesse paura di vincere, di conquistare la donna amata e di essere felice con lei. A un passo dalla vittoria rischierà di perdere tutto come se sbagliasse apposta per rimandarla continuamente''.
Bona è la principessa triste e sensuale che dopo la morte della madre si "addormenta", forse cade in depressione; poi cerca di uscire dall'inerzia gettandosi in un film a cui si sente affettivamente legata. Ma è un'intraprendenza labile e infondata, in realtà cerca un regista che la diriga, non solo cinematograficamente. Lo trova in Franco e a quel punto usa tutta la sua seduttività per spingerlo verso il ruolo di salvatore, in un gioco di manipolazione reciproca che resta sullo sfondo della passione accesa tra i due.
A proposito di Bona, Castellitto e Bellocchio esprimono due idee differenti; il primo difende il personaggio – "Se c'è qualcuno che nella storia, compie una vera rivoluzione è questa vergine siciliana, che a poche ore dal matrimonio bacia un altro uomo e accetta di fuggire con lui" – mentre il regista confessa lo scarso spessore della protagonista femminile: "Lo ammetto, sono in difficoltà con le donne, ma che mi interessino, posso garantirlo…".
Orazio Smamma è il regista fantasma. Vera storia nella storia. Per vincere il David (di Michelangelo nel film, di Donatello nella realtà) ha inscenato la sua morte in un incidente.
Incontra Franco in riva al mare, mentre tenta il suicidio; suicidio che poi realizzerà buttandosi da una torre sotto lo sguardo stupito, ma in fondo distaccato di Franco.
Questo personaggio ci aiuta a capire il punto di vista di Bellocchio sul cinema e più in generale sulla cultura italiana. Smamma spiega a Franco che ha dovuto ricorrere ad uno stratagemma tanto assurdo perché "In Italia comandano i morti" (stessa frase usata dal principe per commentare la scelta della figlia di aderire alla volontà materna sul punto di morte). Comandano i morti, ma anche le parrocchie degli intellettuali che decidono chi affossare e chi premiare non in base al talento ma all'opportunità.
Tuttavia anche gli artisti hanno le loro colpe: "Io e te siamo falliti perché non siamo capaci di vivere e quindi di raccontare la vita che ci circonda". Questa frase ci permette anche di intravedere quale destino potrebbe incombere sul futuro di Franco. Questo amore per la principessa triste lo salverà dalla fuga ultima? Forse sì, e se non basterà ci sarà qualcos'altro che fungerà da argine. Smamma esprime una disgregazione molto più lacerante di quella di Franco, anche se sulla stessa linea, sembra completamente frammentato quando salendo le scale della torre ripete ossessivamente di essere un pazzo patentato. Un' immagine un po’ caricaturale che forse vuole essere più che altro metafora, un rimando alla riflessione sul rapporto tra artista e realtà.
Il gioco stilistico: generi cinematografici, citazioni cinefile e simboli
"Io credo fortemente nella rivendicazione della forma e nel primato dell'immagine".
Molti critici e semplici spettatori hanno confermato questa dichiarazione di intenti di Bellocchio sottolineando il suo talento visionario, la sua capacità di descrivere una storia e di suggerire emozioni puntando sull'immagine e sul gesto piuttosto che sulle parole.
Effettivamente la recitazione mai sopra le righe, l'attenzione ai particolari, l'uso calibrato dei silenzi e della mimica danno al film una qualità superiore allo standard del cinema italiano recente. Sembra quasi di vedere un film straniero "d'autore" e le citazioni felliniane e bunueliane aumentano questa fascinazione.
Citazioni che ricorrono nell'atmosfera onirica, nel montaggio che crea un effetto di sospensione, oltre che di suspance, nella critica giocosa e trasgressiva ai vizi della borghesia ottusa (geniale il filmino degli sposini sulla spiaggia), nella spudoratezza del protagonista che alcuni hanno voluto comparare al Mastroianni girovago e irrisolto della Dolce vita (ora non esageriamo..).
Si sprecano anche i simboli (si sprecano perché nella confusione della storia lo spettatore non ha il tempo di soffermarsi su certi particolari che emergono solo ad una seconda visione): gli orologi del palazzo che segnano ognuno un'ora diversa prima dell'incontro tra Franco e il principe e che poi risultano perfettamente sincroni alla fine della storia a celebrare l'happy ending; i dialoghi spesso mediati da barriere semi-trasparenti come finestre che deformano i visi, veli e velette, monitor che trasmettono immagini in bianco e nero; i cani rottweiler dell'inizio e i cagnoni paciocconi del finale; l'incastro meta-cinematografico della storia nella storia e del finale aperto.
Commento simbolico e di grande impatto filmico è infine la colonna sonora composta da Riccardo Giagni e Carlo Crivelli. Il tema di Bona, un pianoforte alla Chopin, che ricorre dolcemente a sottolineare i momenti di contatto tra i due amanti; un tema onirico-tribale, un po’ alla 'Picnic ad Hanging Rock' quando emerge il lato orfico; un tema da classico del thriller nei momenti di suspance; le trombe ironiche del filmino sulla spiaggia e delle prove generali del matrimonio. Infine una scelta accurata e originale dei pezzi "d'autore": la marcetta di Satie scritta per l'Entr’acte di Clair, la Cavalleria Rusticana di Mascagni e brani di Saint Saëns, Ortolani, Kancheli, Agricantus.
Geniale la scelta della canzone di chiusura, "In cerca di te" nella versione di Arbore e Melato, che accompagna la malinconica leggerezza degli ultimi sorrisi dei protagonisti.
Quasi impossibile non canticchiarla all'uscita del cinema.
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