Le acrobate sono tre "donnine" di terra cotta, del II secolo a.C., chiuse in una teca nel Museo Nazionale di Taranto o raffigurate in una cartolina spedita e dimenticata.
Esse sono anche tre donne, in carne e ossa, legate da un filo invisibile che intreccia le loro vite. Sono acrobate tra i sentimenti e le distanze.
Attraverso questi volti Silvio Soldini (regista) ci racconta una favola, la prima, poi verranno Pane e tulipani (nastro d’argento per la miglior regia, 2000) e Agata e la tempesta (2004), che ha per protagonista Licia Maglietta (nel film, Elena).
In tutti questi lungometraggi Soldini mette in scena con poesia semplice e toccante le vite di donne comuni e complesse, determinate e mai arrese.
Accarezza temi consueti quali l’amore, la famiglia, la ricerca di un lavoro, nuovi incontri. Spesso la chiave di volta dei suoi film è il viaggio che sia di pochi chilometri, da nord a sud o viceversa, o in un paese lontano, un viaggio pieno di curiosità e incertezza (in Pane e tulipani) o pieno di speranza e aspettative (ne Le acrobate e in Agata e la tempesta).
Al termine di ognuno di questi film ci si sente felici, si sorride. Sono film che non hanno bisogno di effetti speciali perché, per stupire, usano la magia del quotidiano.
"Le acrobate" è diviso in capitoli (che prendono nome dalle protagoniste) contaminati continuamente fra loro: Elena, Anita, Maria, Il viaggio di Teresa (la figlia di Maria, la quarta acrobata, ancora in erba).
Ruolo fondamentale è rivestito dalla colonna sonora, curata da Giovanni Venosta, che lega e sottolinea le emozioni delle protagoniste e degli spettatori attraverso echi di strumenti e voci (che sembrano) sussurrate da benevoli spiriti.
Elena è un chimico che lavora presso una casa di prodotti di bellezza di Treviso, vive una vita agiata ed è alla ricerca di un appartamento caldo, mai soddisfatta da quelli che le vengono proposti dall’(ormai esasperata) agente immobiliare. E’ separata, non ha figli.
Si scontra in una sera di pioggia con Anita (Mira Sardoc), anziana e burbera signora (di origini balcaniche) che vive in povertà; Elena per poco non la investe e, molto scossa, per rimediare all’accaduto, si offre di aiutarla, ma la vecchia, sprezzante, rifiuta le sue attenzioni fino alla morte di Zaccaria, il suo gatto, unico caro che le è rimasto.
È necessario seppellire Zaccaria lontano dalle case ed Elena ha la macchina con cui è possibile cercare un luogo adatto (in campo incolto ai piedi di un albero). Per ringraziarla dell’aiuto Anita regala ad Elena una martiniza (uno degli oggetti "magici" del film, gli altri sono un dentino, la montagna, le acrobate stesse), un piccolo ciondolo di lana, bianco e rosso, "da legare al ramo di un albero quando si vede passare la prima cicogna se si vuole che la terra dia frutti generosi". Nasce tra loro legame tacito ma forte.
Improvvisamente Anita muore ed Elena si occupa del funerale e della casa della donna che deve essere sgomberata. Ma vuole cercare anche qualcuno a cui comunicare e con cui condividere la morte di una persona così "insignificante" per la società e importante allo stesso tempo, per farlo si immerge nell’appartamento dell’anziana pienissimo di mobili e ricordi.
Trova una traccia che porta a Taranto (alcune cartoline e una lettera con allegati una foto e un dentino; è quello di Teresa).
Elena parte per il "Sud", lontano e di nascosto da tutti, solo per portare la notizia della morte di Anita a persone sconosciute.
Qui incontra prima la piccola Teresa e poi Maria (Valeria Golino), che inizialmente rifiuta bruscamente la visita di Elena dicendo di aver incontrato Anita solo in un’occasione diversi anni prima (anche a lei aveva donato una martiniza in una notte che avevano passato insonne, in traghetto, a causa dei continui pianti di Teresa che stava mettendo i dentini, e da quel momento ogni anno le scriveva una lettera).
Elena delusa dall’inutilità dei suoi sforzi, va via, prima però riconsegna la lettera,che aveva trovato, a Maria.
Questo inaspettato incontro rimane nella mente della donna che d’un tratto inizia a trovare nuove speranze per il suo futuro, la sua famiglia, la sua Teresa.
Il suo sguardo triste, fra i dubbi, sembra essere rasserenato dall’apparente determinazione e sicurezza di Elena.
Maria lavora in un supermercato e vive in un "palazzone" alla periferia di Taranto, è forte ma a volte crede di non riuscire a risolvere i suoi contrasti col marito, tutto preso da se stesso, non molto partecipe della vita della figlia.
Cerca di lottare contro il "Sud". Cerca di crescere da sola, la piccola, molto sveglia e sempre intenta nei suoi mille esperimenti (forse, da grande, diventerà una scienziata); Teresa è molto affascinata dalla "signora del nord" che le ha riportato il suo dentino che ora ha bisogno di una nuova sistemazione.
Maria è confusa ma non rimane ferma, sfrutta la forza scaturita in lei in seguito all’incontro con Elena, per portare una maggiore chiarezza nella sua vita, cercando, infine, di contattarla con una lettera.
Le due donne, ora, possono condividere piccoli pezzi delle loro esistenze, lontane migliaia di chilometri eppure unite dal ricordo di Anita, una sorta di "spirito guida" discreto ma costante. Alla fine Maria e Teresa (complici) scappano a nord (una fuga quasi adolescenziale alla ricerca di un luogo accogliente dove essere comprese) e, in una notte, in treno, raggiungono Elena a Treviso.
Dovrebbe essere una breve visita. Ma Teresa non vuole fermarsi lì, è ambiziosa e vuole raggiungere il punto più alto, il Monte Bianco, il Nord. "un posto speciale", ideale, dove nascondere il suo dentino…accanto al Dente del Gigante.
"……..e pensavo dondolando dal vagone, cara amica il tempo prende il tempo dà…
noi corriamo sempre in una direzione, ma quale sia e che senso abbia chi lo sa…
restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento, le luci nel buio di case intraviste da un treno,
siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno…".
Incontro, Francesco Guccin
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