Quotidianamente Jean Marc Leblanc deve fare 20 minuti di macchina in coda, 45 minuti di treno, 25 minuti di metro per raggiungere il Ministero del Quebec, dove, come semplice impiegato dell'ufficio dei reclami, è costretto ad ascoltare tutto il giorno persone "più sfigate di lui" e a sopportare i rimproveri del suo superiore.
Vive come un estraneo nella sua famiglia, dove regna l'indifferenza e l'incomunicabilità: la moglie Sylvie è un agente immobiliare dedicata esclusivamente all'emergente carriera e le sue due figlie vivono assorbite dall'ipod e dai videogiochi.
Questo non è altro che lo specchio della società occidentale che viene denunciata, durante tutto il film, parallelamente alla descrizione della grigia e triste vita del protagonista.
L'unica via di fuga di Jean Marc è la fantasia, dove si rifugia sognando di essere un attore, uno scrittore, un politico, di avere al proprio fianco un'attrice bella, famosa e soprattutto sempre disposta ad ascoltarlo e sostenerlo… di avere, cioè, tutto ciò che la realtà gli nega.
Aggrappato a questa sola ancora di salvezza, sopravvive giorno dopo giorno, fino a quando un evento inaspettato quanto inevitabile lo scuote: dietro la maschera di un viaggio di lavoro a Toronto della moglie si nasconde la separazione.
Inizia così il suo lento risveglio. Ad uno "speed date" incontra Beatrix, che gli dà la possibilità di fuggire in un nuovo modo dalla realtà, partecipando ad una rievocazione storica medioevale organizzata da persone che, alienate dalla vita quotidiana, hanno bisogno di evadere. In questa occasione si sveste dei panni anonimi di impiegato per indossare quelli di valoroso cavaliere che si batte per la mano della donna amata.
Anche questa nuova esperienza lo lascia insoddisfatto pur dandogli la forza di capire che l'unica soluzione è affrontare la realtà.
Apre definitivamente gli occhi e decide di lasciare la moglie e il lavoro, rifugiandosi in una solitaria casa immersa nella natura.
La vita semplice, lontana dal caos cittadino gli permette la rinascita a una nuova vita, in cui non ha più necessità di nascondersi dietro alla fantasia.
Il film si chiude con la scena di Jean Marc intento a sbucciare un cesto di mele, che lentamente si trasfigura in un' opera di Cezanne, forse ad indicare che l'arte rappresenti l'unico motivo di piacere.
Il regista offre spunti interessanti che non vengono mantenuti nello svolgersi del film, "scadendo" in un finale banale. Fornisce però una dettagliata e ironica visione della realtà occidentale che il titolo originale, L'Age des tenebres, descrive ancora meglio, lasciandoci un quesito: la "nostra età" è più barbarica di quella medioevale?
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