Ma chi traduce i titoli dei film in lingua inglese? Come si fa a tradurre "Lost in translation" con "l’amore tradotto"? La frase da cui è tratto il titolo fa parte di una poesia di David Frost che recita testualmente "poetry is what gets lost in translation "( la poesia è ciò che si perde nella traduzione); e questo è uno dei significati del film di Sofia Coppola: la perdita non solo della poesia, ma più in generale dei sentimenti, nella traduzione o forse soltanto nello svolgersi della storia. Il tema della traduzione è importante e complicato: la teoria letteraria, la linguistica e la semeiotica se ne occupano da lungo tempo. Ma nel film, non si parla solo di perdita, ma in maniera consistente anche di acquisizione, di scoperta, di conoscenza.
Forse bisogna iniziare la riflessione sul film da note biografici della Coppola, legati alla storia della regista, che sin da bambina ha avuto un rapporto quasi simbiotico con il cinema e con il padre, in una famiglia patriarcale, di spessore italoamericano. Il film narra la storia di un amore non consumato tra un uomo alle soglie del declino e una ragazza alle soglie della vita. L’uomo, Bob Harris, un Bill Murray, bravissimo quando è triste e sincero quando è un po’ sopra le righe, è venuto in Giappone per girare uno spot milionario per un whisky del sol levante: il massimo dello squallore della globalizzazione ( "è anche un whisky buono" dice Bob sconsolato …). Alle spalle ha paternità difficili e una moglie iperefficiente e analitica sulle moquette.
A partire dall’ingresso in albergo viene scaraventato in un mondo contemporaneo giapponese fatto di formalità, di precisione, di linguaggi visivi, di tempi rapidi, di etichette che sono ripetizioni asettiche del passato. E’ l’impero del karaoke e dei videogiochi: di un passato e di un futuro tutto visivo, scarsamente modificabile e per molti versi incomprensibile. Anche la sessualità è visiva con consumo dei fumetti erotici, i famosi manga, di contorsioni negli spettacoli dei night e di rituali incomprensibili delle compiacenti accompagnatrici (lost in translation).
Lei Charlotte, una piccola e spontanea Scarlett Johansson, appena laureata in filosofia, si è sposata da poco a un fotografo totalmente preso delle immagini e da una fretta che sembra afinalistica; ha capito che il suo è un matrimonio tentennante e destinato al fallimento. Vorrebbe fare la scrittrice, ma non riesce a dare una forma ai suoi racconti. Questa incapacità in una ragazza di talento, sembra la conferma della fine della parola scritta a favore dell’immagine. Abita nel medesimo albergo di Bob, anche lei è proiettata in un mondo tutto frenesie e cerimoniali, che forse le è maggiormente vicino, ma che cerca di rallentare con la vista ai templi di Kyoto. Li unisce la tristezza e l’insonnia. Due persone così vicine con una visione del mondo complementare, sarebbero destinate a una storia d’amore, non ostante la differenza di età. Ma nel rapporto a due come dice Bob "le cose si complicano, quando nascono i figli ". Il problema del rapporto genitore/figlio aleggia quindi nel film e nella relazione tra i due.
Ricollegandoci alla storia personale di Sofia Coppola possiamo avere maggiori lumi. L’inizio della carriera cinematografica è incredibilmente precoce e inizia a un anno, come nipote del padrino e ha attraversato poco per volta tutti i ruoli, da attrice, a sceneggiatrice, a disegnatrice di costumi per approdare in questi ultimi anni alla regia. La sua ascesa al centro del cinema, è accompagnata non dal declino del padre, ma sicuramente da un sua minor peso nel panorama holliwoodiano. Non è tuttavia riuscita a liberarsi del nome del padre. Questo è il suo secondo film, il più difficile, perché è quello in cui ci si gioca la maturità, cioè l’espressione di sé come individuo e non come la figlia del grande Coppola. In fondo fino ad ora anche lei come la protagonista è una giovane talentuosa, ma che deve ancora affrancarsi dal padre. Il mito di Edipo ( o Elettra ) non sembra poi così distante, anche se attualmente viene visto come una perversa elucubrazione della psicoanalisi. E’ di questi giorni una rappresentazione teatrale di Gioele Dix che ironizza sull’Edipo e lo tratta come un problema di Freud, da rinviare al mittente con buona pace di tutti i nevrotici. Ma forse Edipo scacciato dalla cultura letteraria e dalla psichiatria contemporanea "scientifica" e ridicolmente biologica, rientra dalla finestra. La storia tra Bob e Charlotte inizia come un rapporto potenzialmente sessuale, ma che lentamente si desessualizza, non per differenze intergenerazionali, ma per raggiungere un differente livello di conoscenza di se stesso e con l’altro-. O forse come direbbe Freud la sublimazione porta alla nascita delle cultura.
Bob e Charlotte non riescono a fare l’amore: non è un problema di impotenza di Bob, come il film ci fa vedere. Forse è meno chiaro il rapporto con il sesso per Charlotte che ci viene mostrata con rapporti platonici con il marito, preso da un rapporto fotografico con la realtà e attratto da attrici anoressiche. Non sarà il vecchio caro Edipo che impedisce una storia sessualizzata.
Il film ci mostra la bellezza del rapporto e la comprensione tra due persone sole, ma poi ribadisce la impossibilità di un rapporto sessuale. Ma la mancanza di sesso sembra far crescere i due protagonisti, che finiscono più sereni e Charlotte supera la sua fase di impotenza culturale e lavorativa e riuscirà a metter a frutto i suoi talenti. Più incerto sembra il destino di Bob, ma questa è un’altra storia…. Il rapporto raccontato nel film più che intergenerazionale è edipico, con tutte le sfumature dell’ambiguità dal sesso alla comprensione, la storia della Coppola entra nell’animo degli spettatori di tutto il mondo. Osservando l’ultima scena in cui Bob parla nell’orecchio di Charlotte, si prova inizialmente un moto di ribellione: la solita happy end dei film americani. Ma le parole non sono avvertibili e quello che passa tra i due protagonisti è un abbraccio carico di tenerezza. Non sarà la conferma che in tutto il film il significato non è immediatamente percepibile e il rapporto tra i due è di tipo genitoriale e ciò che rende calda e viva la relazione non sono i contenuti dei discorsi, ma l’affetto e l’abbraccio ( empatia … empatia …). Chissà cosa ne pensa mio figlio ( e i miei pazienti …)?
Un ultimo interrogativo. Il Giappone sarà proprio come quello del film e gli alberghi saranno così rituali e incomprensibili. Chi ci è stato ultimamente afferma che niente è esagerato nella rappresentazione cinematografica. Leggeremo anche noi i manga ? Forse , ma speriamo che ci resti il karaoke.
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