Lee Chandler, una vita devastata dal dolore e dal senso di colpa, ha lasciato il suo paese affacciato sull’Oceano, andandosi a rintanare in un sottoscala di un sobborgo bostoniano agghindato come una prigione.
Lì, custode di alcuni palazzi; indisponibile a qualsiasi contatto umano e men che meno a qualunque profferta sessuale lo raggiunga; graziato –per lui incomprensibilmente- dalla giustizia degli uomini; soddisfa il proprio desiderio di sofferenza degradandosi nei lavori più umili e sopportando le angherie di persone viziate e volgari.
L’improvvisa, ma non inattesa, morte del fratello cardiopatico, lo costringe a far ritorno nella propria città.
Con l’attenzione e la freddezza di uno zelante funzionario, si occupa delle ferali pratiche; ignorando però che la novità che gli scompaginerà un’altra volta la vita, offrendogli –nel contempo- una prova d’appello, è contenuta nelle ultime volontà dettate dal fratello al notaio: la tutela del nipote adolescente Patrick.
Nel perenne inverno di Manchester-by-the-sea che impedisce persino di dare sepoltura al fratello morto, Lee è costretto dunque ad una supplenza paterna che non desidera e di cui non si ritiene degno.
In una galleria di padri che mancano (quello della giovane fidanzatina di Patrick); di padri surrogati (il nuovo compagno della madre, piuttosto che quello dell’ex moglie di Lee); di padri scomparsi (quello dell’allenatore di hockey piuttosto di quello del cliente che ricorda della notte quando il suo svanì nel mare); Lee sa che ad impedirgli di rispettare il desiderio del fratello è il peso irremovibile della propria tragedia.
Il dolore –Lee ne è consapevole- non si esorcizza; e disperato è –piuttosto- chi prova a farlo, come dimostra la sua ex moglie.
Il dolore –Lee lo sa- si porta addosso; fosse pure l’unico fardello da tirarsi dietro, come fa lui avvolgendo in una coperta, suo unico bagaglio, le tre foto da cui gli è impossibile staccarsi.
La sofferta rinuncia alla tutela del nipote; la decisione di accettarne l’adozione da parte di altri; non impedirà però a Lee e Patrick di fare sopravvivere la loro relazione. Potrà anzi farsi più solida domani, se il nipote mai deciderà di frequentare il college a Boston; e certamente conservarsi già oggi, magari per il tempo di una gita in barca, come accadeva quando ancora –tra loro- esisteva l’illusione della felicità.
Pellicola tragica, ma non disperata quella di Manchester by the sea. Un film che, in tempi di narrazione accennata, minimalista, ha il coraggio di esaltare l’importanza del grande racconto. Un testo che guarda senz’altro –come è stato osservato- al Redford degli esordi di Ordinary People, ma che dimostra di non ignorare neppure la grande tragedia come Polinice.
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In una stagione cinematografica già generosa, segnata dal ritorno di grandi vecchi come Eastwood e Scorsese, piuttosto che dall’esplosione di sicuri predestinati quali Ade e Chazelle, il rischio che questo bellissimo film potesse sfuggire all’attenzione del pubblico e dei giurati non era trascurabile.
Noi che non amiamo granchè i premi siamo dunque contenti che l’Academy si sia questa volta ricordata di Lonergan per la sceneggiatura e di Affleck per un incontestabile interpretazione protagonista.
Chi, adesso, vorrà vederlo ne trarrà giovamento.
Temi importanti di questa
Temi importanti di questa meraviglia commovente sono certamente il lutto, l’eredità e il senso di colpa.
Ciò che colpisce da un lato è la sua declinazione quotidiana in una dimensione di tragedia della Gente Comune che certo riecheggia il film di Redford ma con una dimensione polifonica che la rende davvero universale e vicina alla realtà del nostro operare quotidiano all’interno delle nostre professioni nel campo della Salute Mentale.
In Machester by the sea non vi sono cupi castelli di Elsinore ad affacciarsi nella baia eppure la dimensione tragica si declina con un coinvolgimento emotivo profondo dello spettatore.
In questo mondo senza padri l’eredità dell’unico padre che scopriamo esistere nella storia , il fratello del protagonista, dal solido cuore ammalato, passa attraverso l’amore e la testimonianza che un rapporto affettivo vero è possibile.
Non è un caso che il film, perfetto, si apra e si chiuda con una scena di pesca dove al posto del superficiale gioco iniziale tra zio, Lee, e nipote, Patrick, si sostituisce la silenziosa complicità di un’intesa finalmente profonda.
Lee, senza dimenticare o negare il suo dolore inconsolabile come il suo senso di colpa, va oltre ritrovandosi, chissà, pronto finalmente, un po’ come accade con la salma del fratello che alla fine del grande freddo può essere finalmente tumulata, a volere di nuovo bene per davvero.