A Seul nel 2000, Na Young e Hae Sung sono compagni di classe dodicenni attratti l’uno dall’altra. La famiglia di Na Young sceglie però di emigrare a Toronto, in Canada, e i due ragazzi perdono i contatti. Na Young occidentalizza poi il suo nome in Nora Moon e intraprende una nuova vita, mentre Hae Sung non riesce a rimarginare il lutto della perdita.
La lontananza fisica tra persone che condividono sentimenti importanti è un tema su cui ci sono diverse interessanti analisi. Nora e Hae Sung però perdono concretamente i contatti e la distanza che si crea tra loro non è solo nello spazio ma anche nel tempo. Nora è proiettata in un mondo nuovo che corre velocissimo, che le fornisce stimoli (tra cui un marito) ed occasioni di sviluppo. Hae Sung è invece bloccato in una dimensione personale di lutto e rimpianto, che non gli impedisce di avere una buona quotidianità, ma che lo lascia dolente e insoddisfatto. Quando dopo dodici anni Hae Sung ritrova casualmente Nora su internet, la distanza tra i due continenti impedisce loro di avvicinarsi, e Nora spaventata dai propri sentimenti e nell’impossibilità di trovare soluzioni, decide di chiudere i rapporti.
Dopo altri dodici anni c’è l’occasione dell’incontro materiale. Nora e suo marito Arthur sono sposati e vivono a Manhattan. Hae Sung, che non ha una relazione sentimentale, si reca in vacanza a New York per qualche giorno, per incontrare finalmente l’amica di infanzia. Dopo la commozione del primo incontro, vi è la necessità di capire cosa fare del loro rapporto. Arthur cerca di metabolizzare la sua preoccupazione per la presenza di Hae Sung, mentre lo stesso Hae Sung e Nora si scrutano e si interrogano con poche parole e molti sguardi per capire se la persona che hanno di fronte è la stessa di cui si erano invaghiti da piccoli. Nora si rende però conto che non vuole impostare una relazione, mentre Hae Sung è indeciso. Allora lei gli spiega che la bambina di un tempo non c’è più e che ora esiste una persona diversa.
Nora in particolare avverte la differenza culturale esistente tra la Corea del suo amico e la Manhattan in cui lei vive. Cerca di rassicurare il marito spiegando come Hae Sung sia ormai lontano dal suo modo di pensare in quanto “coreano-coreano”, cioè caratterizzato da stilemi che sono propri della Corea ed estranei agli Stati Uniti, tanto estranei da essere anche diversi da un “coreano-americano”. Io aggiungerei che la differenza non è solo tra due culture differenti, ma anche tra due persone che vivono a velocità diverse e che quindi o si allontanano dai loro primi incontri infantili rapidamente e quasi con una fuga liberatoria, come fa Nora, oppure lentamente, con difficoltà e con nostalgia, come accade a Hae Sung. Nora guarda in avanti per non sentire la ferita dell’eradicamento subito, Hae Sung guarda indietro per un lutto mai rimarginato.
Tutta la vicenda tra Nora e Hae Sung è poi intesa come un confronto tra due concezioni del destino, la prima corrispondente all’In-Yun, una parola che in coreano significa “destino” e che si riferisce ai rapporti tra le persone. Esso spiega che quando c’è qualcosa di magico tra due persone vuol dire che c’è stata una qualche forma di incontro ripetuto molte volte (almeno 8.000!) tra loro nelle vite passate, e questo può essere avvenuto in tanti modi diversi, da molto intenso a solo occasionale, come uno sfioramento inavvertito dei rispettivi vestiti. Centrale è quindi in questo concetto il ripetersi non casuale dei destini attraverso successive reincarnazioni che possono prefigurare anche incontri in vite successive, come Nora e Hae Sung forse si sussurrano alla fine. L’occidentalizzata Nora aveva peraltro cinicamente affermato poco prima che l’In-Yun è soltanto “un concetto che i coreani dicono per sedurre qualcuno”. In quest’ottica le “past lives” non sono quindi quelle dei due ragazzini di Seul innamorati, ma quelle delle loro vite passate in chissà quale forma di esistenza.
La seconda concezione è invece piuttosto occidentale e si riferisce alla casualità degli incontri tra le persone, un tema che corrisponde al concetto di serendipity. Questo tema emerge quando Arthur, gravato dall’insicurezza di vedere spuntare il rivale, chiede a Nora se in fondo il loro matrimonio sia puramente legato all’essersi casualmente incontrati, o forse anche alla necessità per Nora di acquisire la green card attraverso il matrimonio. Insomma Arthur si chiede quanta fragilità sia presente nel loro stare insieme. Nora gli risponde che “se è finita così è perché doveva finire così”, dando testimonianza ancora una volta di un estremo pragmatismo, che è a sua volta una forma di credo religioso.
In sintesi, questo film esplora i sentimenti attraverso le parole e gli sguardi (Hae Sung non è certo un campione di comunicazione), per riflettere su ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere ma che comunque ha generato conseguenze sul piano dei sentimenti. Ed anche la determinata Nora, apparentemente sicura nella sua decisione di lasciar andare Hae Sung, tornando al suo appartamento piange a dirotto tra le braccia di Arthur.
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