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RECENSIONE A “PLAN 75”

24 Mag 23

Di Redazione Psychiatry On Line Italia
Non esiste la vecchiaia; c’è soltanto la tristezza”

(Edith Wharton, Uno sguardo indietro, 1934)

 

Per affrontare l’invecchiamento della popolazione e l’insostenibilità del welfare, il governo giapponese lancia un piano che invita, sotto una buona ricompensa economica, ad una dolce ed assistita morte la popolazione che supera i settantacinque anni. Il piano, nella sua sconcertante semplicità, prende il nome di Plan 75. La filosofia che lo sottende, apparentemente ragionevole, consisterebbe nel favorire i giovani e il loro accesso al mercato del lavoro, liberando la società da una generazione diventata improduttiva e inutile. Fantascienza? No: l’opera prima della regista Chie Hayakawa, presentato a Cannes e al Torino Film Festival, si limita a collocare in una cornice leggermente distopica un’ipotesi socio-economica per ora remota, ma non impossibile.

Il pubblico italiano non può non restarne coinvolto essendo l’Italia, insieme al Giappone (e alla Germania), il Paese con il più alto tasso di invecchiamento al mondo e la più bassa natalità; pur con tutte le profonde differenze culturali tra i due Paesi, non ci si sente in un territorio straniero guardando il film.

Questo risultato di profonda partecipazione è raggiunto grazie alla cifra narrativa poetica, che esclude ogni cedimento al fantasy e che con la malinconica grazia ed eleganza tipiche del cinema giapponese riesce, più attraverso i silenzi che con le parole, a rendere efficace ciò che vuole raccontare, senza enfasi né sentimentalismi, e tuttavia con silenziosa passione e sentimento.

Una piccolissima rosa di personaggi abita la vicenda: l’anziana Michi (Cheiko Baisho, attrice molto nota in Giappone), il giovane solerte impiegato del Plan 75, una giovane infermiera filippina arrivata lì per lavorare e perciò separata dalla sua bambina.

Michi, settantotto anni, è senza pensione, cerca lavoro e sta per perdere la casa, ma sulle prime non si rivolge al Plan 75. Il giovane impiegato, inizialmente inconsapevole della portata emotiva del lavoro, finisce per incontrare uno zio tra gli anziani che scelgono la morte, e alla ragazza filippina spetta il compito di svuotare le borsette delle donne morte, un gesto burocratico che il più anziano collega svolge indifferente mentre lei, invece, avverte un sottile disagio.

Ecco che l’idea folle di Plan 75 non può funzionare: saranno proprio i più giovani, coloro che teoricamente avrebbero dovuto essere “salvati” dalla morte volontaria degli anziani, a stabilire con loro un tenue, a volte tacito, inaspettato legame.

In una società capitalista che, pur sorretta da antiche tradizioni e da rigorosi codici di buone maniere, si è piegata alla logica del profitto e fa fuori la cospicua parte di popolazione che sembra non servire più a nulla, se non a rappresentare un costo, avviene un piccolo miracolo. Ai giovanissimi impiegati, il cui mandato paradossale è di stabilire un legame con l’anziano per seguirne l’iter burocratico ma non affezionarvisi, e ad anziani votati alla rinuncia, ecco che invece, tra queste due generazioni ai due poli opposti del vivere, qualcosa si muove dentro la cecità della macchina burocratica.

In fondo sono simili, si comprendono per empatia: entrambe condividono precarietà economica e solitudine.

Non grandi rivoluzioni, ma piccoli, carsici, eppure intensi movimenti.

Michi troverà piacere nelle conservazioni con l’impiegata Yoko, tra gli anziani anonimi un vecchio zio viene ritrovato; isole silenziose di dignità, riconoscimento reciproco, svelano la crisi e l’umana impossibilità dell’aberrante progetto, della distopica “soluzione finale” in guanti bianchi.

Ragazzi senza genitori e senza nonni, e vecchi senza figli e senza nipoti, in una società che sembra aver dissipato legami amicali e familiari, e abolito la gratitudine e la consolazione sostituendola con vuota e cerimoniosa educazione, instaurano invece veri attimi di presenza. La bellissima scena sul finale dei due giovani che si aggirano tra i letti bianchi dei morenti come se solo allora si fossero resi conto, sembra rappresentare l’irruzione di una consapevolezza silenziosa, eppure potente.

Sentimento senza sentimentalismo, poetica essenziale, atmosfera insatura e un certo senso del magico. Un piccolo film quasi perfetto.

 

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