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RECENSIONE DE “IL CLIENTE”

7 Gen 17

Di Redazione Psychiatry On Line Italia
Pluripremiato a Cannes (migliore sceneggiatura e migliore interpretazione maschile) e tra i titoli più accreditati per la statuetta di miglior film straniero nel prossimo galà hollywoodiano, giunge sugli schermi italiani Il Cliente di Asghar Farhadi, ultimo Re Mida della straordinaria cinematografia iraniana; già un Oscar con Una Separazione e un Orso d'Argento con quel About Elly che l'ha reso noto ed amato anche alle nostre latitudini.
Cantore minimalista della middle class colta e democratica teheraniana, Farhadi torna a fissare il proprio obiettivo nell'attimo della dissoluzione della coppia; predilezione poetica dell'autore già epifanicamente svelata in quel letto matrimoniale vuoto e sfatto che si mostra allo spettatore fin dai titoli di testa.
Emad e Raana sono due attori del teatro off iraniano, alle prese con la messa in scena del Commesso di Miller e l'ottusità della censura del loro paese.
Costretti a trovarsi un nuovo appartamento, finiscono con l'acquattarsi in un alloggio messo loro a disposizione da un collega della compagnia.
La coppia non sa, però, che quella casa è stata prima il ricovero e il luogo di incontro di una prostituta; scoprendolo tragicamente la sera che un uomo vi irrompe e trovata Raana sola, nell'atto di sopraffarla, la ferisce.
Per Emad e Raana è il momento dei tragici interrogativi. Denunciare l'aggressione esponendosi allo scandalo e alle allusioni degli investigatori? Nascondere l'accaduto pure agli amici? Mettersi alla difficile ricerca di un altro appartamento e serrarsi la porta alle spalle nel vano tentativo di dimenticare il tutto? Oppure -come finalmente farà Emad; senza alcuna approvazione della compagna-, inventarsi detective e mettersi sulle orme dell'aggressore; avviando una personalissima caccia all'uomo più mutuata dalla rovinosa caduta del monicelliano borghese piccolo, piccolo che dalle eroiche e acrobatiche performance degli eroi del thriller d'oltre Oceano?
Sarà di fronte all'aggressore (non il giovane arrogante e prepotente fino allora immaginato, ma piuttosto il vecchio debole e malato, indentikit -questo sì- di tutto l'universo maschile) che Emad e Raana misureranno la distanza tra loro raggiunta.
Se Emad persegue la vendetta come strumento per ribadire la titolarità sul corpo dell'altra (“non intrometterti”, intimerà alla compagna, sottraendole persino il ruolo di vittima); per Raana -il supplizio cui Emad costringe il vecchio- non risarcisce la violenza patita,  ma piuttosto la rinnova e la rende indelebile; come la cicatrice sulla fronte che -nella scena finale- il truccatore non riesce proprio a celare.
Nella rigida grammatica patriarcale, per Farhadi, si informa la soggettività maschile; senza distinguere per linee anagrafiche, sociali o ideologiche.
Non ci conforti a noi maschi dell'Ovest la nazionalità dell'autore; il cinema di Farhadi è universale.
E, infatti, lo si apprezza ovunque.

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