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SERIE TELEVISIVA NETFLIX “OZARK”

8 Apr 22

Di Redazione Psychiatry On Line Italia
In una fondamentale opera pubblicata originariamente nel 1963, La banalità del male, una filosofa contemporanea, Hannah Arendt argomenta sull’intrinseca debolezza della cosiddetta, aristotelica, “vita buona”; sempre assediata dall’incertezza della sorte e dalla prepotenza di fattori che esulano dalla ragione. Ella, più che riflettere sulla costitutiva caducità del bene, si sofferma sulle qualità semplici e banali del male e quindi sulla inesplicabilità del medesimo. Fragilità del bene e banalità del male sono due aspetti che si integrano l’uno con l’altro. 

In primo luogo, ciò che chiamiamo bene e ciò che definiamo male non si manifestano in forme “assolute”, non si esprimono univocamente. Essi risultano piuttosto da una miscela, da un impasto nel quale si fondono elementi diversi. Illusorio pensare che possa realizzarsi compiutamente la “vita buona”; troppo numerosi e condizionanti sono gli impedimenti che ad essa oppongono la sorte e le passioni. 

Non meno infondato – questo è il messaggio essenziale della serie Ozark – è credere di poter individuare l’origine specifica del male e di riuscire a distinguerlo infallibilmente da altri moventi. Se ciò fosse possibile, se potessimo riconoscere con sicurezza il male, lo potremmo anche isolare e magari estromettere dalla vita sociale. 

La narrazione di Ozark si concentra, apparentemente, su uno schema tipico e ben noto agli amanti del genere noir. Un uomo qualunque, a prima vista conforme alle regole sociali del vivere comune è inghiottito dal gorgo nero del crimine e del malaffare. Marty Byrde, un mite consulente finanziario, si trasforma progressivamente in uno stratega del male, immerso in un mondo criminale fatto di cartelli della droga, casinò, soldi da riciclare e partite di sostanza stupefacente da piazzare sul mercato. Con Marty, l’intera sua famiglia è risucchiata in una fuga vorticosa che costringerà i singoli membri a modificare bruscamente abitudini, relazioni e prospettive. 

Nella narrazione, la coppia sta attraversando una forte crisi, che il rocambolesco cambio di vita finirà invece col risolvere positivamente. È un esempio di come anche un evento definibile come “traumatico”, cioè lo sconvolgimento della vita personale e familiare, possa esser foriero di esiti molto diversi. Quando abbiamo a che fare con le persone, è importante non pensare mai in modo lineare. A differenza dei pesi di cui si può calcolare la velocità di caduta conoscendo alcuni parametri fisici, noi umani sviluppiamo sistemi di relazioni, di credenze e di comportamenti che non risultano individualmente prevedibili. Fatte salve le statistiche, nessun evento personale può essere l’inizio di un percorso già determinato a priori dall’evento.


 

Nel genere noir c’è uno slittamento che sposta l’attenzione dalla trama, alla psicologia dei personaggi. Martin Byrde sembra mantenersi imperturbabile anche mentre sta crollando tutto l’impianto della sua vita: il matrimonio, la famiglia, il lavoro e la sopravvivenza stessa. Da una parte, il controllo che riesce mantenere di fronte al disfacimento della sua esistenza sembra rinviare a una certa atonìa emotiva, che lo rende poco sensibile rispetto al prezzo pagato, dagli altri, per le sue azioni improvvide e criminose. Appare imperturbabile di fronte alle sciagure, anche mortali che, per causa sua, come in uno schema fisso, colpiscono l’amante della moglie, il gestore di un night, un imprenditore immobiliare, la proprietaria di un locale e così via. 

D’altro lato, l’imperturbabilità di Byrde può essere interpretata come il tentativo di mantenere intatta una corazza intorno alle proprie angosce, affinché non siano compromessi gli spazi di 

un’unità familiare tenuta in piedi a fatica e ad ogni costo. Certo viene da chiedersi: che tipo di famiglia è quella di Byrde, dove anche la moglie diviene protagonista di misfatti criminali? Come è possibile fondare un patto familiare quando sono gli stessi genitori a custodire terribili scheletri nel loro armadio? Tuttavia, durante l’intera serie, la coppia non perde mai interesse per la propria funzione genitoriale. Assieme, i due cercano di fronteggiare, come meglio possono, i problemi psicologici del figlio preadolescente Jonah, che manifesta un insano fascino per le armi e le inquietudini della giovane figlia Charlotte, che appare sospesa fra la vecchia e la nuova vita. 

Martin, per salvarsi, deve riciclare denaro per un potente gruppo criminale; ma, simbolicamente, deve anch’egli “riciclarsi” e ciò è richiesto mutatis mutandis a tutti gli altri membri della famiglia, nonché ad alcuni personaggi minori.  

La ferocia dei meccanismi finanziari che presiedono ai ritmi della vita digitale del XXI secolo scandisce ugualmente sia l’organizzazione dell’economia legale, sia il rafforzamento dei circuiti criminali. Il riciclaggio di denaro è una potente metafora dell’adattamento richiesto ai singoli nell’era della precarizzazione dei legami, delle relazioni e delle stesse identità culturali. 

Il noir è un genere nevrotico. La patina di cinismo e pessimismo del protagonista, l’oscurità e la disillusione, sembrerebbero mal adattarsi, nonostante l’ottima sceneggiatura, alla longevità seriale. Ma, grazie a indovinate scelte di regia, il lato dark del sogno americano è ben espresso e in più sostenuto da una fotografia tutta virata su tinte scure, come l’anima dei protagonisti e dalla location. Campi lunghissimi dall’alto e vaste panoramiche conferiscono al paesaggio una chiave simbolica. Il ritmo compassato e l’ampio respiro della narrazione si sposano con i recessi cupi della provincia americana. Il lago Ozark, con le coste frastagliate, le acque blu scuro e i boschi maestosi, assurge al ruolo di coprotagonista degli eventi, connotandosi come spazio al limite tra il rilancio delle possibilità di sopravvivenza e l’espiazione per le colpe commesse. 

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