Il velivolo che perde quota e potenza; il passaggio rasente e incontrollato sopra le strade e i tetti di New York; le urla disperate dei passeggeri; gli sms d’addio; l’ultimo messaggio d’amore consegnato alla memoria della scatola nera e infine, inesorabile, lo schianto devastante contro il grattacielo di Manhattan.
E’ con lo svelamento dell’irricomponibile ferita dell’11 settembre che inizia Sully; ultimo film di Clint Eastwood presentato in anteprima nazionale al Torino Film Festival e adesso in programmazione nelle sale italiane.
E’ il 15 gennaio 2009. L’US Airways 1549 partito dall’aeroporto LaGuardia e diretto nel Nord Carolina è appena decollato quando entra in collisione con uno storno di uccelli.
I volatili, risucchiati nelle due fusoliere, mettono fuori uso entrambi i reattori e il comandante Sully-Sullemberger, con il suo assistente Skiles, devono rapidamente trovare una quasi impossibile soluzione per mettere in salvo i 155 passeggeri.
Considerato troppo rischioso rientrare sullo scalo di partenza o virare verso quello più vicino del New Jersey, Sully opta per un ammaraggio di emergenza sul fiume Hudson, improvvisa ed improbabile pista di atterraggio che gli si offre davanti agli occhi.
E’ una manovra tecnicamente prevista, ma quasi irrimediabilmente condannata ad un esito disastroso. Invece Sully, quarant’anni di volo, molti di pilotaggio nell’aviazione militare, la compie con successo, trasformando lui: uomo comune, nel nuovo eroe americano, conteso dai più seguiti talk show nazionali e corteggiato da sindaci e governatori dello Stato.
A non rendergli omaggio resta solo la Commissione d’Indagine della compagnia aerea che, un po’ per prosaiche convenienze finanziarie, un po’ per un’incrollabile fede nella codificazione delle proprie procedure, non pare disponibile a riconoscergli il merito della scelta.
Per i commissari, a contestare la bontà della decisione di Sully, deporrebbero gli algoritmi predisposti dagli ingegneri e le prove di simulazione realizzate in laboratorio.
Sarà però nella seduta decisiva della Commissione che i rappresentanti della compagnia aerea dovranno riconoscere gli argomenti del comandante Sully, ammettere il loro errore e finalmente rappacificarsi con il resto del paese e, insieme a quello, tributargli gli opportuni onori.
Mai sopito il dolore per la scoperta della propria vulnerabilità e ancora non risolto il conflitto con una tecnologia improvvisamente rivelatasi nemica e possibile arma di distruzione di massa, l’America di Eastwood –in questo “Sully”- prova a ritrovare il proprio orgoglio smarrito nel sigillo di una nuova intesa tra l’uomo della strada, l’establishment grigio ed ottuso e un eroe per caso che nessuno, meglio di Tom Hanks, poteva interpretare.
Certo, è un’America che non vola e che prova –al momento- soltanto a salvarsi.
Ma d’altronde “make America great again” è il sogno di cartapesta regalato da Trump agli statunitensi.
E quello ha tutta l’aria di poter non essere un buon film.
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