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THE VILLAGE di M. Night Shyamalan

3 Ott 12

Di Alberto Sibilla

Spesso film di fantascienza o di horror, definiti frettolosamente minori, riescono a dare rappresentazioni illuminanti sulle paure della "gente" in tempi incerti come i nostri. In più il film "The village" ha come regista l’indiano ( dell’India) M. Night Shyamalan, per certi versi enfant prodige holliwoodiano, apprezzato come un buon sceneggiatore per l’uso sapiente di tempi lenti e di una sorpresa finale, il "twist in the end" che getta nuova luce sulla storia precedente e tende a sconcertare lo spettatore. Non ostante questi pregi M. Night Shyamalan non ha avuto successo al box office con "The village", film che è stato pubblicizzato come un mix di fantascienza e horror; forse questa definizione sostanzialmente errata ha fatto si che negli USA non avesse consenso di un pubblico essenzialmente giovanile, abituato a spettacoli di horror carichi di strabilianti effetti speciale e sangue a catinelle.

Questo è invece un film misurato e importante. Il regista dovrebbe essere già noto agli psichiatri perché nel suo film di maggior successo (" Il sesto senso" 1999) ci aveva offerto, caso più unico che raro una seconda chance a quelli di noi che con un atteggiamento duro e non comprensivo di fronte a pazienti sofferenti, provocano conseguenze drammatiche per loro e per noi. Speriamo che sia stato visto anche dalle associazioni dei familiari.

Per due motivi questo film mi ha colpito: perché è la metafora più riuscita di quanto sta passando la gente comune degli Stati Uniti dopo le Twin Towers e l’11 settembre e perché può essere letto in chiave psicopatologica, come una eccezionale rappresentazione della paranoia. Le due letture sono collegabili in un insieme sicuramente inquietante.

Ho visto il film pochi giorni prima delle elezioni americane, convinto che Kerry con tutti suoi limiti era nettamente più preparato e competente e avrebbe vinto. Mi sembrava impossibile che una persona rozza, superficiale e spesso bugiarda come Bush potesse avere seguito in un paese così vivo come gli USA. Uscendo dal cinema, per motivi che cercherò di spiegare, ho avuto un attimo di straniamento e di perplessità ( … forse il perturbante di freudiana memoria) e ho pensato che la realtà non è governata dal sapere e nelle votazioni e nel pensiero delle persone contano altri valori ad esempio la paura e la perdita.

E’ andata come è andata e a distanza di un po’ di tempo si può riflettere su quanto è successo e questo film può aiutare.

Ne faccio un breve riassunto, senza raccontare del tutto la storia del film: il "villaggio" è una comunità agricola in un epoca indefinita, che comunque il regista ha voluto collocare prima della industrializzazione: "il momento immediatamente prima della nascita dell’individualismo egoistico". Piccole famiglie vivono in una bellissima valle circondata da boschi, dove è pericoloso avventurarsi per la presenza di "coloro di cui non parliamo". La comunità e delimitata da un recinto con torri di guardia che tengono sotto controllo il mondo di fuori. Le creature minacciose non sono ben definite se uomini, animali o mostri; la loro minaccia ha indotto gli anziani a redigere un codice comportamentale che ha valore di legge. Il giovane Lucius incomincia ad opporsi a queste regole in nome della sete di conoscenza.
Quando la voglia di uscire diventa troppo forte arrivano messaggi molto precisi da parte delle creature innominabili che provocano panico e impongono a tutti a non lasciare il villaggio. Gli anziani sembrano rassegnati e tristi di fronte a questa situazione. La situazione però precipita e non sarà il desiderio di nuovi mondi, il motivo che spingerà la giovane cieca Ivy ad uscire dal villaggio, ma l’amore. Il padre di Ivy crede infatti che l’amore e la speranza rendano la figlia invincibile e inarrestabile; le imprese audaci si fanno con il cuore e non con la vista (la conoscenza). Ivy riesce a uscire dal villaggio e il suo amore salva il suo ragazzo Lucius, animato invece dalla sete di sapere cosa c’è al di la del villaggio. Nei minuti finali verrà svelata la motivazione e la natura del villaggio, ma tutto resta immutato.

Cosa c’entra con l’11 di settembre. Eccome se c’entra. L’ideologia dei padri fondatori del villaggio è nata in seguito a un lutto, una ferita che hanno subito e all’impotenza a ribellarsi a un mondo sempre più violento che colpisce a caso. Ci aiuta il regista che afferma di non seguire la politica, ma di interessarsi di quanto succede nel mondo in riferimento ai sentimenti della gente.
La paura può portare all’autoreclusione se questa viene vissuta come tranquillizzante rispetto alla minaccia alla integrità di sé. Io non penso che Bush usi solo la paura come strumento di controllo, ma che sia un portavoce attendibile dal punto di vista di persone "normali" nel senso di strumenti culturali semplici ( chissà però se i laureati non lo votano e non provano paura ?), di un sentimento di minaccia che colpisce le persone sottoposte a una violenza che può distruggere, sia che arrivi dai terroristi che dalla delinquenza metropolitana. I padri fondatori del villaggio non sono persone particolarmente minacciose, anzi hanno l’espressione sofferente e in fondo anche rassicurante di William Hurt e Sigourney Weaver. Quando viene svelato il mistero che è dietro "quelli che non si possono nominare" il sentimento degli spettatori è di comprensione, non di condanna.

La seconda chiave di lettura e psicopatologica e individua l’organizzazione paranoicale del villaggio. Citerò quelle che Pancheri ha individuato come le caratteristiche basali del disturbo delirante o meglio la vecchia paranoia:

  • presenza di un delirio cronico con i caratteri della "non bizzarria" (plausibilità, comprensibilità, derivabilità);
  • scarsità o comunque marginalità delle allucinazioni;
  • assenza di psicopatologia se non collegata in via secondaria al delirio. In particolare assenza dei sintomi caratteristici
  • della Schizofrenia (disorganizzazione del pensiero, sintomi negativi, disturbi dell’affettività);
  • relativa integrità delle capacità di funzionamento psicosociale

Questi criteri sono presenti nell’organizzazione del villaggio e queste sono le leggi

    • Non andare oltre il bosco, li vivono le creature innominabili
    • Non indossare il colore del male ( rosso) che attira le creature
    • Al suono della campana tutti in riparo
    • Rispetta i divieti e non varcare il confine

Le allucinazioni sono rare: le creature sono talora intraviste, ma la loro visione è del tutto secondaria alla storia. Il villaggio funziona bene, anzi da un senso alla quotidianità degli abitanti che vedono concretamente il frutto del loro lavoro e hanno riscoperto sentimenti differenti dalla competitività.

Però la struttura e l’organizzazione della comunità ha caratteristiche di un delirio e si vedrà bene alla fine del film la "follia" che pervade la gente . Nelle recenti teorizzazioni della paranoia e per certi versi anche della schizofrenia a mio parer si fa un errore evidenziando troppo la alterazione cognitiva dimenticandosi dell’angoscia. Anni fa si parlava di breackdown psicotico come momento iniziale dello scompenso a cui seguiva una elaborazione cognitiva, appunto il delirio. Spesso nei nostri pazienti vediamo il risultato finale dell’elaborazione cognitiva dell’angoscia, sistema rigido, incomprensibile e difeso da torri di guardia simili a quelle che vediamo nel film. Le leggi che reggono il delirio sono spesso incomprensibili come quelle che proteggono gli abitanti del villaggio dalle creature. Ma dietro c’è sempre una angoscia di frammentazione e la paura di un nuovo breackdown. E con queste considerazioni posso azzardare un legame tra discorso politico e psicopatologico e smettere di guardare Bush con sufficienza e da psichiatra sottolineare l’importanza della sicurezza e di un sé stabile e coerente. Nel villaggio non vince l’amore, ma trionfa la paranoia, che blocca qualsiasi desiderio di conoscenza e rinforza un sistema chiuso e difeso.

Poche considerazioni sul film, che diventerà un cult nel corso degli anni. Accurato, giustamente sotto tono dal punto di vista cromatico per far risaltare il rosso del male. L’andamento è lento con angoscia e suspence che procede nel corso della storia con attori misurati e credibili.

La critica lo ha snobbato, considerando M. Night Shyamalan un talento sprecato sulla fantascienza e aspettandosi da lui un salto di qualità. Ma questo non è un film di genere è una metafora riuscita, intensa e credibile dei nostri tempi.

 

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