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Antropologia della vulnerabilità

9 Apr 13

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L'autore in questo ricco e articolato testo, ricostruisce prendendo spunto dall'analisi del concetto di vulnerabilità – e cioè uno degli organizzatori forti delle attuali conoscenze psichiatriche – il percorso e l'evoluzione della psichiatria antropologica. Come spiega nell'introduzione, mentre nel primo capitolo tratta estesamente della nozione clinica di vulnerabilità, nei capitoli successivi analizza le varie ramificazioni teoriche delle psichiatrie antropologiche. Tra queste quella che si protende maggiormente nello spazio dell'antropologia filosofica è l'opera di sulla persona dello schizofrenico. La nozione di persona (focus dell'indagine di Wyrsch sulle schizofrenie e oggetto del sesto capitolo) è esplicitamente mutuata da Max Scheler (1928): la persona è dunque "Il centro dal quale l'uomo esegue gli atti attraverso i quali oggettiva il mondo, il proprio corpo, la propria psiche". La persona ordina corpo, mondo e psiche e dirige gli istinti, traendo la propria dynamis dalla sublimazione delle istanze pulsionali stesse. L' antropologia di Scheler trova la propria continuazione filosofica anche in Plessner e Gehlen. Il primo pone con enfasi al centro del proprio discorso la metafora della posizionalità e conseguentemente l'eccentricità come determinazione fondamentale dell'uomo.
"L'uomo, il singolo, non è mai interamente ciò che è", ed è in questo scarto tra l'uomo e il suo centro che si inserisce una dialettica che culmina nella conoscenza e nel possesso di sé, ovvero nell'operazione autoriflessiva della coscienza nel "dover prendere posizione rispetto a sé stesso" (Gehlen, 1944) che segna la condizione esistenziale dell'uomo gettato nel mondo. L'autore poi, sottolineando i limiti della speculazione fenomenologica, che da una posizione di aristocratico distacco dalla contemporaneità – pervasa da un riduzionismo ontologico oltre che
metodologico – rischia di naufragare nell'atteggiamento di un anacronistico ascetismo, prende in esame un elemento cruciale della psicopatologia antropologica: l'idea di continuum sintomatologico e sindromico rispetto al concetto di vulnerabilità.
Il concetto di continuum fa riferimento all'ipotesi secondo la quale i fenomeni psicopatologici sono meglio descrivibili come tipi pregnanti lungo i gradienti quantitativi, piuttosto che come entità discrete. Già nel1969 J. S. Strauss pubblicò un originale lavoro dimostrando che allucinazioni e deliri erano assai meglio documentabili facendo uso di un modello dimensionale piuttosto che discreto-categoriale; sui rilievi empirici di questo tipo di ricerca ha successivamente cercato di edificare una "nuova psichiatriadinamica". Il continuum sintomatologico e i principi che regolano le transizioni lungo un percorso psicotico sono in definitiva due aspetti della medesima impostazione teorica: infatti se esistono transizioni fluide tra i sintomi e non cesure tra momenti successivi del percorso psicopatologico individuale è perché c'è un soggetto – la persona appunto – che media e costituisce modellando in forme diverse un soggiacente disturbo unitario. I principi della continuità e delle transizioni tra sintomi e sindromi sono congruenti con l'idea di una psichiatria antropologica: anzi ne costituiscono il presupposto clinico-empirico fondamentale, dando il giusto rilievo al ruolo della persona che si confronta con la matrice soggettiva della vulnerabilità.

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