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Jacques Lacan, Altri Scritti, trad.it. a cura di A. Di Ciaccia

6 Ott 13

Di Fabio Milazzo
L’edizione italiana degli Autres écrits di Jacques Lacan giunge finalmente a colmare un vuoto editoriale italiano, quello relativo ai saggi, le introduzioni e agli articoli vergati di proprio pugno dallo psicoanalista francese per le più diverse occasioni e non raccolti nella precedente silloge, gli Écrits, pubblicati originariamente in Francia nel 1966. La raccolta appena pubblicata per Einaudi è un’opportunità che si offre al lettore italiano interessato a valutare lo “stile ellittico” di Lacan al di fuori dell’agone seminariale in cui lo abbiamo imparato a conoscere. I testi, pubblicati originariamente in Francia nel 2001 per  Seuil, sono stati selezionati e revisionati da Jacques-Alain Miller, al contempo “guardiano” di una certa ortodossia lacaniana e instancabile diffusore del pensiero di Lacan stesso anche attraverso le molteplici iniziative dell’Ecole De La Cause Freudienne.
Negli Scritti alcuni celebri testi, come L’istanza della lettera nell’inconscio (1957), avevano focalizzato l’attenzione sul Lacan “strutturalista”, quello che provava a decifrare l’inconscio alla luce delle geometrie del linguaggio e che sarebbe divenuto celebre con l’affermazione: «L’inconscio è strutturato come un linguaggio. E non si tratta di un’analogia, voglio proprio dire che la sua struttura è quella del linguaggio»[1]. Il contesto e la temperie culturale degli anni della contestazione studentesca hanno congelato l’immagine di Lacan -soprattutto per il lettore italiano- intorno al paradigma della “svolta linguistica” già tanto celebre in filosofia, e hanno obliato i successivi sviluppi incentrati intorno ai temi della “topologia”, in particolare la teoria dei nodi e dei “matemi”. Come spiegare questa torsione intrapresa da Lacan negli ultimi anni della sua produzione teorica,  ben rappresentata in diversi testi raccolti negli Altri scritti? Innanzitutto con un metodo, quello lacaniano, che, contrariamente alle perimetrazioni scolastiche delle tanti istituzioni che da subito hanno provato a richiamarsi ad una presunta dottrina “Lacan”, è un “laboratorio in divenire” che attraverso scarti, rimaneggiamenti, pieghe e accelerazioni prova a decifrare, anzi ad “inventare” ancora meglio la nozione di inconscio[2].
Dopo il Seminario VII, quello dedicato alla postura etica della psicoanalisi, Lacan pone ancora di più sotto i riflettori la nozione di jouissance, il godimento, e questa accelerazione rende le analitiche basate sull’equivalenza inconscio/linguaggio bisognose di ulteriori specificazioni: per questo la ricerca strutturalista viene piegata nella direzione dei “matemi”, un neologismo attraverso il quale Lacan identifica quell’insieme di formalizzazioni dall’aspetto algebrico, il cui esempio più famoso è il “nodo borromeo”. Questo è formato da una catena di anelli costituita da almeno tre tratti di corda: la sua peculiarità è di poter essere sciolto attraverso il taglio di uno solo dei tratti di corda che lo costituiscono.  La teoria dei nodi serve a Lacan per significare i tre registri -del Simbolico, dell’Immaginario e del Reale-, che costituiscono il dispositivo ermeneutico privilegiato  attraverso il quale viene descritta la logica dell’inconscio dopo la fase “strutturalista” . I tre ambiti, come i tre tratti di corda, sono interdipendenti e non possono essere analizzati autonomamente, poiché il loro “insistere” sull’esistenza del soggetto è condizione e conseguenza del rapporto con gli altri due. Tra gli “scritti” presenti nella raccolta c’è il celebre «Joyce il sintomo», frutto di un contributo per il quinto simposio internazionale che si svolge nel 1975 a Parigi, che può essere da noi utilizzato e attenzionato perché paradigmatico della “svolta” di cui questi Autres écrits sono espressione. Il testo, che contiene diversi “attrezzi concettuali” della tarda riflessione lacaniana, sarà l’occasione per ripensare il tema delle psicosi a partire da Joyce, la dissoluzione del linguaggio e la frantumazione anarchica del “significante” e, soprattutto, la riconfigurazione del “sintomo”, non più subordinato al registro simbolico. Per fare ciò Lacan inventerà un neologismo, «sinthome» che tra le altre cose strizza l’occhio al Tommaso mistico che conclude il proprio percorso esistenziale e concettuale con la nota affermazione: «Non posso più. Tutto ciò che ho scritto mi sembra paglia in confronto con quanto ho visto». Tommaso serve a Lacan per sottolineare l’indecifrabilità del “sintomo” che rimanda direttamente al Reale Impossibile, insignificabile, che sfugge sempre al linguaggio che prova a denotarlo di senso. Andiamo, però, con ordine. A differenza di quanto l’ortodossia freudiana prevedeva, il «sinthome» riconfigurato da Lacan si smarca dalla “cattura” del linguaggio e, più in generale, dai concatenamenti logici che regolano il registro simbolico. Il “sintomo” rimanda così al Reale del godimento, alla jouissance. Quest’ultimo concetto, che rappresenta l’architrave concettuale delle riflessioni contenute in buona parte degli Autres écrits, è di difficile se non impervia decifrazione poiché, come detto, elude la presa ermeneutica dell’ordine discorsivo. Jouissance è un termine di derivazione medioevale che risale al XV secolo e  deriva da joy, che a sua volta rimanda all’appagamento sessuale e all’usufrutto di un bene[3]. «Joy» sono anche le prime tre lettere del cognome dello scrittore autore dell’Ulisse. Il godimento riguarda, quindi, la soddisfazione del corpo e, al contempo, il possesso di “qualcosa” che non possiamo ricondurre al nostro controllo, alla nostra proprietà. Le due dimensioni del piacere corporeo, quelle dell’orgasmo  e dell’uso di un bene di cui non si è padroni, ci permettono di situare il godimento in una intersezione problematica fatta di piaceri che si sottraggono al controllo del soggetto, di istanze acefale, di linee di fuga che molto avvicinano la riflessione di “questo” Lacan al Deleuze dell’Anti-Edipo, quello più marcatamente critico della psicoanalisi. L’animarsi di queste “linee di fuga” attraverso le quali il soggetto “gode” è a-razionale, tanto da poter parlare di una “fuga del godimento”, che rende la “catena” s/S del Lacan strutturalista inadatta a rappresentare le erranze anarchiche della pulsione: «il godimento è sbarrato a colui che parla in quanto tale»[4]. Il Finnegans Wake di Joyce diventa così il laboratorio per le riflessioni su questo «sinthome»  che contraddistingue la scrittura  schizofrenica di Joyce; Lacan individua nel malfunzionamento della metafora del «Nome del Padre» i problemi dello scrittore irlandese che non riesce a liberarsi del tutto dal legame perverso con questa figura ingombrante e inciampa nel processo di «forclusione», quella condizione in cui fa difetto proprio la «metafora paterna». In Joyce il linguaggio non si è ordinato come conseguenza di una “castrazione” ed è così anarchicamente libero di fluire come uno «sciame ronzante» di vespe. Il «sinthome» coincide così con l’intera esistenza del soggetto e può essere rappresentato solo allegoricamente attraverso il «nodo borromeo» in cui tutto si regge o implode insieme, come l’esistenza psicotica sempre a rischio di scivolare nel delirio e nell’incomunicabilità tipica del «Reale impossibile». A tutti gli effetti il «sinthome» non si lascia esaurire dal linguaggio: è questa la lezione dell’ultimo Lacan che possiamo desumere anche da questi «Altri scritti». L’ultima affermazione ha, ovviamente, delle ricadute rilevanti nella pratica clinica che deve fare i conti con un inconscio che è «strutturato come un linguaggio», solo che quest’ultimo è fatto di significanti che si ordinano nel disordine anarchico e acefalo della jouissance. Questa linea di ricerca esalterà sempre più il ruolo del «Reale», il registro che sfugge sempre alla cattura del linguaggio e ai processi di significazione.
La piega impressa da Lacan al freudismo, quella che esalterà nell’ultima parte del suo insegnamento l’inconscio «Reale», è uno dei motivi principali della fondazione della sua Scuola il 21 giugno del 1964, un’istituzione che, per dirla con le parole di Jacques-Alain Miller, vuole «promuovere la riconquista del Campo Freudiano»[5] . Lo scritto, presente nella raccolta “Atto di Fondazione”, è testimone di questa volontà di riconfigurare la prassi freudiana alla luce del «soggetto dell’inconscio», in opposizione ai sostenitori della Ego-psychology. Questi ultimi avevano identificato il lascito freudiano in termini di un’etica dell’Ego: il processo di cura del sintomo coincide con un rafforzamento dell’Io, secondo una prassi di tipo ortopedico. Lacan, diversamente, è convinto che la cura coincida con la «traversée du fantasme», l’attraversamento dell’orizzonte di senso entro il quale il soggetto esperisce la propria forma di godimento. Ciò che Lacan critica implicitamente delle diverse “psicologie dell’Ego”, ciò che vuol contestare  attraverso la fondazione della “sua” Scuola, è la tesi secondo la quale «Io sono io».  L’Io è una costruzione immaginaria che emerge come risultato della “presa” del linguaggio sul Reale. Il punto di vista di Lacan orienta anche la sua idea di Scuola che molto ha fatto discutere essendo spesso identificata nei termini di una setta, con regole, codici di appartenenza e un linguaggio da iniziati. La ragione di ciò sta nell’idea che gli analisti che si riconoscono in una certa prassi -quella lacaniana- costituiscano una sorta di “chiesa”, all’interno della quale vige il principio del reciproco “riconoscimento”, della modalità d’esercizio dell’essere analisti innanzitutto. Assume così un valore centrale il concetto di «passe» evidenziato nella «Nota italiana», secondo il quale una rappresentanza di membri della Scuola devono assistere e valutare l’analisi del candidato all’ingresso nella Scuola stessa. Un modo per rendere il percorso analitico un affare di “gruppo”, in cui ad essere posto sotto la luce dei riflettori è il singolare rapporto dello psicoanalista con il proprio inconscio, con il proprio “aspetto desiderante”, quello che orienta il processo di transfert. Alla fine, ciò che la passe testimonia è che ogni analisi, ogni rapporto transferale altro non è che un percorso che si snoda tra due diverse modalità di godimento, quella dell’analista e quella dell’analizzato: due costellazioni che prima di tutto devono essere “riconosciute”, portate alla luce, per non cortocircuitare e invalidare il singolare percorso di ogni analisi.
 

Altri Scritti: Indice

I: Prologo di Jacques-Alain Miller. – Lituraterra. – II: I complessi familiari nella formazione dell'individuo. – Il numero tredici e la forma logica del sospetto. – La psichiatria inglese e la guerra. – Premesse a ogni sviluppo possibile della criminologia. – Intervento al I Congresso mondiale di psichiatria. – III: Discorso di Roma. – La psicoanalisi vera, e la falsa. – Maurice Merleau-Ponty. – IV: I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. – Omaggio a Marguerite Duras, del rapimento di Lol V. Stein. – Problemi cruciali per la psicoanalisi. – Risposte ad alcuni studenti di filosofia. –Presentazione delle Memorie di un malato di nervi. -L'oggetto della psicoanalisi. – Piccolo discorso all'ORTF. – V: Atto di fondazione. – Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola. – Discorso all'École freudienne de Paris. – Introduzione di «Scilicet» quale titolo della rivista dell'École freudienne de Paris. -Comunicato all'École. – Allocuzione sull'insegnamento. -Nota italiana. – Forse a Vincennes… – Lettera di dissoluzione. – VI: La logica del fantasma. – La mispresa del soggetto supposto sapere. – Da Roma '53 a Roma '67: La psicoanalisi. Ragione di uno scacco. – Della psicoanalisi nei suoi rapporti con la realtà. – Allocuzione sulle psicosi infantili. – Nota sul bambino. – L'atto psicoanalitico. – VII: Prefazione all'edizione tascabile degli Scritti. – Prefazione a una tesi. – Radiofonia. – Lo stordito. – Avviso al lettore giapponese. – VIII:Postfazione al Seminario xi. – Televisione. X. … o peggio. – Introduzione all'edizione tedesca di un primo volume degli Scritti. – Prefazione a Risveglio di primavera. – Joyce il Sintomo. – Prefazione all'edizione inglese del Seminario xi. – Allegati. – Riferimenti bibliografici in ordine cronologico. – Avvertenza del curatore dell'edizione italiana. – Indice dei nomi citati.


[1] Cfr., J.Lacan, Conversazione in P. Caruso (a cura di), Conversazioni con Lévi-Strauss Foucault Lacan, Mursia, Milano 1969, p. 163.
[2] Sull’inconscio come dispositivo inventato da Freud e non semplicemente “rintracciato” vedi: C.Soler, Lacan, l’inconscio reinventato, trad. it. a cura di F.Marone e M.T.Maiocchi, Franco Angeli, Milano 2010, p.14.
[3] Cfr. M.Fiumanò, L’inconscio è il sociale. Desiderio e godimento nella contemporaneità, Bruno Mondadori, Milano 2010, p.13.
[4] Cfr. J. Lacan, Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio in Scritti, trad.it. a cura di G. B. Contri, Einaudi Torino 1974, p.825.
[5] Cfr. J-A. Miller, Introduzione alla clinica lacaniana, trad.it. a cura di A.Di Ciaccia, Astrolabio-Ubaldini, Roma 2012, p. 151.

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