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La perdita dell’evidenza naturale. Un contributo alla psicopatologia delle schizofrenie pauci-sintomatiche

9 Apr 13

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Neltitolo di quest'opera è presente il nucleo fondamentale della trattazioneteorica proposta da Blankenburg: con il concetto di perdita dell'evidenzanaturale del mondo l'Autore esamina la perdita quella particolare condizioneper la quale sin dalla nascita sentiamo di essere accasati nel mondo,nonostante la condizione dell' esserci, di essere-nel-mondo,sia legata alla caducità, a qualcosa di precario, in cui il mondosi presenta anche come non familiare: questo elemento di perditadiventa drammatico nel caso di alcune malattie mentali – come le schizofreniepaucisintomatiche. 
L'opera diBlankenburg, esponente tedesco della psichiatria fenomenologica – presentatain occasione del convegno del 24 ottobre a Firenze Ladimensione negativa della schizofrenia, viene tradotta in Italiacon un notevole ritardo: giunge a noi quindi in veste di testo classicodella letteratura psichiatrica ad indirizzo fenomenologico, la cui importanzava al di là del circuito delle conoscenze specialistiche, poichél'Autore trae dalla psicopatologia  elementi di studio per allargarel'orizzonte verso la condizione umana nel suo legame con il mondo.  
Come sottolineaArnaldo Ballerini nella sua prefazione, questo testo quindi è incontrotendenza rispetto alla situazione attuale della psichiatria italiana,caratterizzata oggi da una eclissi del pensiero psicopatologicoe da una forte tendenza alla ipersemplificazione dei quadri nosografici:il testo di Blankenburg ripropone quindi dei problemi cruciali e ci avvertedel fatto che i tentativi di semplificazione nella clinica psichiatricasiano sterili da molti punti di vista. 
Il testorisale infatti al 1971: malgrado questo notevole lasso di tempo, conservaun valore magistrale in psichiatria poiché affronta con ricchezzadi pensiero e coerenza metodologica un nucleo centrale della psicopatologiadelle schizofrenia: le forme cosiddette paucisintomatiche, caratterizzatedai sintomi negativi (termine che indica uno specifico fenomenodi assenza, di mancanza, di carenza del malato), chea differenza di quelle dominate dai sintomi positivi (delirio eallucinazioni) sono più difficili da studiare e da comprendere.Nella clinica della schizofrenia sono sempre stati studiati questi dueaspetti aspetti opposti della perdita e della costruzione,del deficit e della produzione: quali dei due aspetti siaquello più caratteristico del manifestarsi della malattia schizofrenica,è uno dei problemi di fondo dello studio delle psicosi. 
Fin dallasua introduzione l'Autore definisce il suo duplice progetto: contribuirea illuminare il radicamento dell'essere umano nel mondo della vita costituitointersoggettivamente – nel senso di Husserl – e studiare la modificazione"basale" dell'essere schizofrenico. 

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Questedue linee di progetto trovano il loro punto di intersezione in una sortadi patologia del common sense, di messa incrisi di ciò che comunemente si nasconde per tutti noi, dietro l'ovvio,di quelle cose che possono essere comprese senza bisogno di spiegazioni,poiché sono ovvie per tutti.  
L'opera diBlankenburg esamina  i vari passaggi di questa specifica carenza o perdita, a partire  dalla dettagliata analisi clinica del caso paradigmaticodella paziente A., in cui appare la drammaticità di quella angosciosaperplessità psicotica, nella quale si sradica la condizione di baseche per tutti noi costituisce l'ovvietà dell' "evidenza" del mondonaturale e quotidiano, e che proprio quando viene meno mostra il suo ruolofondamentale nel nostro esistere. 
Vengono quindimessi in luce nel corso della trattazione, gli aspetti pre-oggettualie ante-predicativi del rapporto con la realtà che prendein considerazione quella gradazione di cambiamenti di stato chenoi percepiamo come un'alterazione di base nei pazienti schizofrenici.Come ci avverte lo stesso Autore nella prefazione, se rivolgiamo la nostraattenzione a queste declinazioni di base del vissuto ci accorgiamo di quelfondamento latente che pur sostiene il nostro essere-nel-mondo:l'ovvietà dell'evidenza del mondo. È grazie a questoparticolare sentimento, che sfugge abitualmente alla consapevolezza abitualee quotidiana, entriamo in relazione con le cose, con chi ci sta intornoe con noi stessi. 

Essaè come la luce che rende possibile la visione delle cose e proprioper questo non è di per se stessa percepibile; o come la forza digravità il cui pieno significato diventa chiaro agli astronautisolo quando si esercitano in uno spazio che ne è privo; o come lafunzione della percezione che consolida l'Io, che si mostra in piena evidenzanegli esperimenti di deprivazione sensoriale (sensory-deprivation); e per finire come il significato del "common sense" che appare privodi indicazioni se viene esteso, e anzi a quel livello, […] irrita perla sua assurdità, cade nel vuoto o comunque perde ogni forza.

Bisognapoi precisare, che Blankenburg con il termine basale si riferiscea ciò che risulta costitutivo della modalità del pensieroschizofrenico, ma senza riferimenti all'eventuale sub-strato biologicodella malattia: da questo punto di vista Ballerini precisa che siamo suun terreno molto diverso da quello che intendono ad esempio Huber e Gross come "sintomi basali", o DeClérambault con i "fenomeni elementari"delle psicosi, che si riferiscono principalmente all'espressione del substratobiologico della malattia.  
Molta attenzionedegli psicopatologi, poi è sempre stata calamitata dai fenomeniallucinatori e deliranti delle psicosi: questa sintomatologia produttivain qualche modo oscura ciò che vi è di negativo nella schizofrenia.Blankenburg cerca di sondare invece il nucleo della malattia proprio inquelle forme che non sono caratterizzate da delirio e allucinazione. 
Ciònon vuol dire che tra queste due facce della schizofrenia, la perditadell'ovvietà del reale e la dimensione del delirio, ci sia necessariamenteun rapporto causale, come se il delirio fosse un fenomeno reattivoalla perdita del senso dell'ovvietà naturale: il disturbo schizofreniconon è da intendersi come pura negatività, bensì piuttostocome una disproporzione che si genera in forma di automatismo, traevidenza e non evidenza nella coscienza del malato. 
Con questolavoro Blankenburg si confronta  con il lato più oscuro e difficiledella malattia, ovvero con la dimensione dell'assenza, del vuoto:e per fare questo cerca un punto di riferimento metodologico nell'epochéfenomenologica, nel mettere tra parentesi il significato nel mondo:oltre gli aspetti clinici diventa centrale la relazione tra epochéfenomenologica e psicopatologia.  
Giàdal 1958 Blankenburg diceva: 

Ineffetti bisogna chiedersi se l' epoché fenomenologica nonpossa servire in maniera del tutto particolare quale strumento per renderetrasparenti nelle loro "modalità" gli stati schizofrenici,con un metodo quasi sperimentale. 

Ilsenso della sua ricerca risiede quindi nel trovare lo stretto agganciodi minuziose registrazioni linguistiche espresse dal paziente (includendoanche un attento ascolto di suggestioni inespresse) e la successiva elaborazionesul piano teorico. 
Risulta daquesto studio che proprio i pazienti schizofrenici hanno una accentuatapropensione a questo particolare modo di staccarsi dal mondo: naturalmentec'è una differenza sostanziale tra il procedere del fenomenologoche indaga la dimensione dell'esistenza umana, e il naufragio esistenzialedel paziente schizofrenico che rischia di perire a causa di una carenzapatologica, da cui tragicamente non riesce a sottrarsi. 
Per il mondoche la circonda, il dramma di A. – la paziente descritta da Blankenburg- è iniziato con il suo lamentarsi di "non saper fare (le cose)in maniera umana"; di essere priva della "maturità" necessaria perpotersi affermare nel mondo e divenire un soggetto autonomo: in breve A.presentava il quadro tipico della regressione caratteristica del processoebefrenico.  
Consapevole,a tratti di questa sua menomazione dice:  
La cosapiù bella sarebbe essere normale, vale a dire in accordo con l'evidenza.Ma da sola non ci arrivo … tutto è così poco naturale.Questa mancanza di "appoggio", di autonomia, può essere precisamenteconsiderata come un momento costitutivo per la forma di schizofrenia ebefrenica,dove la struttura del Sé non offre alcun fondamento per l'esperienzanel mondo. 
Nonostantel'interesse clinico per la schizofrenia sia sempre di grande attualità,non bisogna dimenticare che questo è un libro che risale alla finedegli anni Sessanta: e l'autore nella postfazione all'edizione italianaci avverte  
Se miaccingessi a scriverlo oggi lo formulerei in altro modo. Alcuneparti infatti sono inevitabilmente datate: innanzi tutto l'esposizioneintroduttiva e la rassegna sullo stato di avanzamento della ricerca sullaschizofrenia e ancor più delle neuroscienze e della neuropsicologia,che come sappiamo hanno avuto una rapida evoluzione nell'ultimo decennio. 
Secondo Blankenburgmaggior spazio andrebbe riservato oggi alla ricerca sulle famiglie e allasociologia qualitativa. (Di questo c'è ampia documentazione nelprogetto di ricerca 1982/86 "Famiglia e orientamento del mondo quotidianodegli schizofrenici" svoltosi a Marburgo). 
Rimane sempreattuale invece la parte clinica, che consiste nel tentativo di accoglierel'esperienza di una paziente schizofrenica in modo "diretto", attraversoil suo stesso linguaggio progressivamente nel suo manifestarsi, al di làdelle implicazioni terapeutiche o prognostiche: anche qui, alla luce dell'esperienzadi questi ultimi decenni, l'Autore rettifica -rispetto al lavoro fatto- che oggi si servirebbe della concettualizzazione propria della "teoriadei sistemi". Allora negli anni '60 Blankenburg prendeva come riferimentoil modello gestaltico-circolare di von Weizsäcker, (che interpretavacome necessario completamento al concetto di intenzionalità husserliana)che originava dalla domanda "Chi o che cosa costituisce chi o cosa?", chesi appoggiava saldamente ad un modello gerarchico di costituzione. 

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Ilpunto più attuale oggi in ambito fenomenologico – come sottolineaanche Stanghellini elaborando il modello di vulnerabilità–  è centrata su come la persona dello psicotico sicostruisce il suo mondo delirante e allucinatorio, e attraverso qualiprocessi. 
Su questosi costruisce, si aprono molti interrogativi: fino a che punto lapersona dello psicotico, nel suo incontro con il mondo, assume ciòche ha "valore di per sé"? È qui e ora o viene dal passato?È personale o anonimo?  
Èconscio, preconscio o inconscio?'   
Tutte questedomande nascono specificamente dall'incontro e dal tentativo di comprenderel'esperienza schizofrenica. Sempre Stanghellini afferma che il modellodi vulnerabilità (Zubin e Spring) non nasce da una teoria filosoficamentefondata: questo principio teorico andrebbe ritrovato nel concetto di "intenzionalità"di Husserl; ma secondo l'analisi di Blankenburg in modello di "intenzionalità"della fenomenologia correlato al modello di "costituzione" va comunquesottoposto a revisione critica, perché nel pensiero di Husserl eraestraneo il concetto di "reciprocità", ovvero il reciproco e vicendevolecostituirsi di fenomeni. Per Husserl il "costituire" ha mantenuto una connotazionenella sua essenza essenzialmente transitiva. 
Il messaggiopiù importante del libro comunque, in ultima analisi,  rimanel'incoraggiare e incentivare i terapeuti all'ascolto dei loro pazienti,anche se spesso gli schizofrenici nel loro lacunoso e delirante linguaggiomettono a dura prova le capacità di entrare in relazione dello psichiatra,che può essere quindi indotto sempre più spesso ricorre astereotipate formulazioni diagnostiche.  
Proprio oggiche interventi psicofarmacologici sempre più mirati ed efficacirischiano di rendere inutile questa particolare attenzione del clinico- che dovrebbe essere sempre teso  all'incontro empatico con il paziente- non dobbiamo dimenticare che forse una nuova frontiera della fenomenologiasi schiude proprio dinanzi a ciò che l'azione farmacologica riescea modificare rispetto alla sintomatologia classica,  proponendo alclinico ancora nuove sfide. Forse è anche in virtù di questanuova condizione che lo stesso Blankenburg – conscio della complessitàdi questi fenomeni – dice che per la sua ricerca considera stimolante efecondo il dibattito a tre interlocutori: la persona che ha esperienzadella psicosi, i congiunti e i terapeuti.

Intervistaa Wolfgang Blankenburg 
in occasionedella presentazione del libro 

La perditadell'evidenza naturale.  
Uncontributo alla psicopatologia delle schizofrenie paucisintomatiche.

a cura di Albertina Seta 
 


Nellagiornata  di studio del 24 ottobre dedicata a Ladimensione negativa della schizofrenia, organizzata a Firenze,come suo secondo congresso,  dalla Societàper la Psicopatologia  W. Blankenburg è stato cosìgentile da rispondere ad alcune domande  di Albertina Seta della redazionedi Pol.it  sul libro La perdita dell'evidenza naturale. un contributoalla psicopatologia delle schizofreni paucisintomatiche, recentementetradotto in italiano.
 

WolfgangBlankenburg (Brema, 1928) ha studiato filosofia seguendo i corsi di Heidegger,Szilasi, Fink e si è laureato in medicina all'Universitàdi Friburgo. Ha avuto i primi contatti con Ludwig Binswanger durante ilsuo lavoro di tesi in tema di Daseinsanalyse.  
Ad Heidelberg,sotto la guida di Plügge, si è perfezionato in malattie psicosomatiche.  
Nella clinicaUniversitaria di Friburgo si è specializzato e ha ottenuto l'abilitazionein psichiatria. Dal 1969 ha lavorato nella clinica psichiatrica di Heidelberge nel 1972 è diventato direttore sanitario e responsabile del repartodi psichiatria e malattie psicosomatiche. Tra il '75 e il '79 èstato nominato direttore della Clinica psichiatrica di Brema e nel 1979ha ottenuto la cattedra di Psichiatria all'Università di Marburgo. 
  

A.Seta:  Nel leggere il suo libro sono rimasta molto colpita daltrovarvi questioni picopatologiche che sembrano lontane dagli interessidella psichiatria attuale, come ad esempio la diagnosi differenziale traschizofrenia simplex ed ebefrenica. La schizofrenia simplex tra l'altroè stata nel frattempo abolita dalle più recenti edizionidel DSM. Può brevemente spiegarci se e perché lei trova alcunedi tali questioni  importanti ancora oggi? 

W.B:Non sono in realtà molto interessato alle differenziazioni tra lediverse forme di schizofrenia.  
Le criticheal mio lavoro sulla perdita dell'evidenza naturale, che sia in qualchemodo datato intendo, sono giustificate, poiché dall'epoca in cuifu scritto, gli studi di follow-up di schizofrenici hanno portato molticambiamenti nella concezione della malattia. 
Comunque,ritengo che non vi sia una netta separazione tra le differenti forme.  
Il puntoimportante é che io penso che la schizofrenia simplex sia paradigmaticae possa funzionare come una validissima introduzione al problema dellaschizofrenia in generale.

A.S.:Può spiegarci che ruolo va dato secondo lei alla diagnosi nellametodologia di intervento in psichiatria.  
E piùprecisamente come considera un approccio categoriale alla malattia mentale?

W.B.:Penso che l'operazione della diagnosi sia fruttuosa per la ricerca transculturale,ma che non sia di grande aiuto nella relazione con il paziente e non siadi nessun aiuto nell'attività psicoterapica. Ritengo che un mododi pensare che si conformi a categorie diagnostiche non aiuti la relazioneterapeutica.

A.S.:La perdita dell'evidenza naturale che lei descrive è da considerarecome una perdita vera e propria, o piuttosto può rientrare in unconcetto di comparsa di qualcosa di nuovo e differente dall'usuale?  
Essa puòavere a che fare con la creatività?

W.B.: Direidi si.

A.S.:Se questo è vero, e vista la sua insistenza sulle analogie ele differenze tra l' epoché del paziente e quella dello psichiatra,dobbiamo pensare che lei intenda che il terapeuta debba sviluppare un'attivitàin un certo senso creativa e non solo di osservazione nei confronti delfenomeno psicopatologico? 

W.B.:Penso, lo dicevo nella discussione di questa mattina, che l'epochéfenomenologica non sia solo uno strumento di comprensione, ma sia utilenella sua funzione di provocazione di  un senso, una sorta di terapiaparadossale,  che essa sia uno strumento per stimolare le stesse possibilitàterapeutiche del paziente,  le sue reazioni spontanee.  
In questosenso credo che sia uno strumento terapeutico.

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