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Lo psichiatra cantastorie, recensione di IRIS le favole di Francesco Bollorino

23 Mar 16

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NDR: Il volume è acquistabile on line presso il sito dell'Editore ALPES seguendo il LINK

Sono una donna fortunata, lo ammetto.
Mi sono addentrata nel mondo fiabesco di Francesco Bollorino e ho viaggiato tra le pagine di “Iris” con leggerezza, seguendo le trame ricamate con cura dall’autore. Mi sono lasciata avvolgere dal tessuto narrativo, l’ho goduto come un dono speciale, un regalo per tutte le Sherazade del mondo. L’intreccio cangiante che ho visto è perfetto: non manca niente, tutto è importante.
Sono partita dalla prima storia; mi sono addentrata nella selva di lettere nere che abitano il bianco della carta. Ho ascoltato ogni voce e sono approdata al finale. Dopo la prima lettura ho dato un’occhiata alla prefazione di Massimo Recalcati e alle post-fazioni; seguendo le indicazioni di Roberto Maragliano ho riletto il libro ma, questa volta, ho preferito danzare. Ho preso il volo saltando di qua e di là, incontrando nuovamente tutti i personaggi che compaiono in “Iris” e altre storie.
C’è un modo di dire, un’espressione popolare quanto mai azzeccata, una frase che intendo cogliere nel suo significato letterale, oltre che simbolico: “non bisogna giudicare un libro dalla copertina”.
Cito questa frase e sorrido perché la copertina del libro si rivela, dopo la lettura del testo, profondamente armonica con il suo contenuto. Nel disegno di Emanuele Luzzati c’è lei, Iris, la fata che sparge i suoi colori tra il cielo e la terra.




Nel mito, Iride-Iris-Taumantia è la messaggera degli dei, colei che annuncia agli uomini la vita o la morte. Figlia di Taumante e di Elettra, fanciulla della stirpe di Oceano, sorella delle Arpie, Iride somiglia ad una giovane Hermes femmina vestita d’arcobaleno. L’arco colorato cuce il basso con l’alto, l’Io con l’altro, e fa da tramite: Iride-Iris è, infatti, collegamento. E’ moderna connessione tra punti distanti, è legame leggero tra elementi opposti; un legame trasparente che si contrappone alla permanenza e all’assoluto.
L’Iris di Francesco Bollorino si solleva dalla terra sulla quale si è accucciata per attendere l’amato Sole e diventa messaggera di tutte le storie. Lei ha il compito di anticipare il futuro godimento del lettore attraverso l’immagine che la rappresenta, e lo fa sin dal primo impatto. Lascia intendere la vita, l’amore e la morte che si rinnovano e si rincorrono, che diventano, appunto, tematica ricorrente. I colori di Iris si rincorrono-ricorrono per tutto il libro nel gioco armonico tra la notte e il giorno, tra l’inverno e la primavera, tra il male e il bene, nella danza della tristezza con la felicità. Gli opposti si avvicinano e poi si allontanano nuovamente, si negano a vicenda oppure lottano per incontrarsi.
Lo psichiatra cantastorie ci regala una raccolta di favole scritte in nero su bianco, svelando la pazienza di Iris nel tessere la trama multiforme con il rosso dell’amore e della rabbia, il giallo della corona di un re, il verde del grillo parlante, l’azzurro del cielo nel quale vola un usignolo canterino. Il libro spalanca scenari di ogni colore.
Ci sono mamme che raccontano favole ai propri bambini, ci sono regine misteriosamente connesse con la luna, ci sono sirene innamorate, sogni e desideri. Dalla luna al sole, dal femminile al maschile, ecco comparire i re imperiosi, i re della terra e del mare, i despoti che vorrebbero rubare il potere alla fantasia e tenerselo tutto per sé, conquistatori di una felicità chiusa in gabbia a uso e consumo del sovrano. Tra vecchio e giovane – tra il “Senex” e il “Puer” – compaiono i principi, ragazzi dolci e forti, alcuni poveri e altri ricchi. Tra i fanciulli raccontati dal nostro psichiatra cantastorie troviamo regalità da trasformare perché celate sotto un abito da ranocchio, perché nascoste sotto il velo di un incantesimo.
Abile narratore, Francesco Bollorino ci offre una possibilità, ovvero quella di cogliere il cambiamento come un atto di coraggio: riusciremo, noi, nell’intento, imparando a non comportarci come il ranocchio egoista che, se troppo vuole, mai nulla stringerà? Una piccola storia può essere davvero educativa, ed è questo il potere delle favole. Lo ha capito anche mio figlio di quattro anni, dispiaciuto per la testardaggine del principe gracchiante.
Nelle pagine di “Iris” si trovano personaggi fantastici e umani. Ci sono giganti buoni e affettuosi, ci sono uomini comuni. Ci sono creature mercuriali che raccontano le favole con voci di transizione, ci sono animali che a prima vista sembrano normalissime creature terrene, rappresentazione degli elementi istintivi della psiche, ma poi si rivelano consiglieri fatati e spirituali. Un usignolo, un grillo sono certamente creature semplici, in apparenza, ma con la lettura si tolgono il velo, per rivelarsi ricche di saggezza inconscia. Profondamente sagge sono anche le voci degli oggetti dotati d’anima, quelli che sussurrano favole vive.
La visione fiabesca è animista e mercuriale; la visione fiabesca sta nel mezzo: essa prevede il futuro senza dimenticare, anzi; guarda avanti ricordando il passato. Per tutto il libro Francesco Bollorino ci accompagna, frase dopo frase, apre domande e suscita desiderio, un desiderio che, insieme ai personaggi da lui stesso narrati, spinge il lettore alla ricerca della consapevolezza. Non si può far finta di essere felici, non si può chiudere una fiaba dentro una gabbia, pena l’annullamento dell’anima. Ce lo spiega, tra gli altri, Gigi, che è il protagonista della quarta favola di Natale. È possibile una felicità sotto sedativi esistenziali, oppure occorre cercare oltre, altro? Le favole di Francesco non rispondono ma portano alla luce le nostre domande. Saremo sempre in viaggio, perché errante è il dubbio che possa esistere una “si­cu­rezza dell’eterna fe­li­cità”, che si possa essere “immuni dalla sofferenza”.
La felicità è un percorso complesso, una strada non nota? Non sembra essere uno stato, bensì una via, un lento lavoro di cura. Come quell’impegno narrativo della vita tracciato dal Giardiniere che porta il suo Re alla consapevolezza, tanto da spingerlo a chiedersi: “Che cos’ è il mio Re­gno, se non qual­cosa di fragile che, come una pianta, senza cure assi­due appas­si­sce?
 “La via della felicità perfetta è una bilan­cia in equi­li­brio insta­bile tra questo cuore di rosso ru­bino e questo dia­mante di duro car­bo­nio; non è, per­tanto, un pre­ciso modo di es­sere ma uno stato della mente.
C’è tutto il tempo per trovare la fine definitiva, il punto di non ritorno: ogni favola naviga tra l’inizio e il suo stesso svolgimento, si snoda tra il mondo interno e l’esterno, tra il passato e il futuro, cresce rigogliosa in un mondo che non è proprio verità, ma nemmeno solo fantasia. Lo sa perfettamente il Profeta della “Seconda favola di Natale”, il quale è capace, come Hermes, di raccontare “storie”, ovvero di narrare bugie consapevoli.  Le favole vivono tra la “notte dei tempi”, nel regno del Padreterno, e nel mondo dei bambini; abitano le case degli adulti che non trascurano il “Puer” dentro di sé, stanno tra l’eterno e il caduco.
Le favole si esprimono considerando tutti i mezzi di comunicazione a disposizione del cantastorie, dal dito sulla sabbia al dito sulla tastiera del telefonino, dal gesto alla parola. C’è la storia del mondo, dentro le fiabe. Una storia che parla attraverso la voce e la scrittura degli umani. E allora capita che alcuni umani non possano farne a meno, così è accaduto a Francesco Bollorino, e sentano “l'irrefrenabile bisogno di far partecipi i loro simili di tanta ricchezza e diventino scrittori o cantastorie”.
Oggi va molto di moda il termine “storyteller”, ma, è chiaro, la musicalità di “cantastorie” e  “narratore” non ha eguali. Quando poi ci troviamo davanti a un inventa-favole, scopriamo che le storie bisogna saperle reinventare utilizzando gli elementi a disposizione in combinazioni sempre nuove, ed è in questo operare continuo che consiste l’originalità.
Le favole chiedono di essere inventate: lo posso dire con certezza perché io stessa ne fruttifico ogni giorno, ed è per questo motivo che sono felice di condividere quel che in Iris e negli altri racconti appare come ricchezza inesauribile. Nell’equilibrio instabile che è la via della felicità, è vitale raccontare favole all’anima – alla nostra Sherazade, mentre lei stessa ce ne racconta.
 
Con le lettere dell’alfabeto si possono fare tante cose: redigere atti, stendere con­tratti, vergare mes­saggi, scrivere trat­tati, lan­ciare in­vettive, comporre poesie o nar­rare sto­rie come, a volte, capita a me di fare..”
 

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