L'Autore con questo saggioriporta la "politica della pietà" sia alla fondazione teorica inDavid Hume e Adam Smith, che alla profonda riflessione teorica di HannahArendt. Arendt aveva legato la "politica della pietà", allo 'zélecompatissant', a "quell'impulso imperioso che ci attrae verso gli uominideboli.
È su questa linea di riflessioneche l'Autore propone di liberarci dalla snobistica insofferanza verso iquotidiani teatri del dolore che ci offrono i mezzi di comunicazione dimassa, la tv in particolare. Far spettacolo con il dolore non èsolo assecondare una indimostrata predisposizione antropologica (di naturasadomasochistica?), né segue l'impulso di una naturale pietà,ma diviene oggi una sorta di 'obbligo culturale', storicamente e collettivamenteacquisito. Oggi nessuno può evitare di ossequiare – almeno verbalmente- ai riti della solidarietà, così neppure la più consumistadelle televisioni può evitare di mostrare qualche spezzone di cronacadi umanità dolorante. L'Autore utilizza una ricca analisi fenomenologicaper spiegare come sia possibile tradurre "l'impulso alla pietà"in una "politica" della pietà, ovvero come far sì che lacompassione sterile e distratta dello spettatore televisivo si trasformiin una azione efficace, incisiva. Le analisi di Boltanski dovrebbero farriflettere essenzialmente coloro che hanno responsabilità nel mondodei mass media, purtroppo dominato da una sterile autorefenzialità,che raramente utilizza in modo costruttivo la compiacente critica "massmediologica".
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