In un libro dell’antropologa Tanya Luhrman — un libro scritto nel 2000 e sfuggito all’attenzione dell’editoria europea — occupa un ruolo di primo piano la riflessione attorno ad una difficoltà molto spesso presente, in USA come in Europa, nelle équipes terapeutiche dei Dipartimenti di Salute Mentale, alla quale lo scrivente, da qualche anno, sta dedicando una particolare attenzione: la difficoltà di armonizzare e di integrare la terapia farmacologica e l’analisi psicopatologica con un approccio psicoterapico e psicoanalitico. A livello clinico, l’intervento di taglio epistemologico — entro la prospettiva da me adottata — viene finalizzato al superamento di queste barriere, di queste presunte incompatibilità tra paradigmi diversi, di queste disarmonie che rendono troppo spesso insufficiente e inefficace ogni strategia terapeutica.
In una sua importante ricerca teorico-pratica, l’antropologa Tanya Luhrman, docente all’Università di Chicago, ha perseguito, a partire da un differente vertice d’osservazione, obiettivi molto simili ai miei. Ha osservato sul terreno queste disarmonie, svolgendo per più di quattro anni un’indagine di "Clinical Ethnography", nella veste di osservatrice e di partecipante a vari momenti del lavoro psichiatrico: convegni professionali, programmi di formazione psichiatrica, attività clinica nei reparti ospedalieri, nei programmi di trattamento residenziale, nelle sessioni di terapia individuale e di gruppo.
La Luhrmann ha verificato e denunciato l’esistenza di una contraddizione nel cuore stesso della psichiatria clinica americana: cioè di un conflitto tra due culture, tra due modi di pensare, tra due menti (two minds, per l’appunto, come recita il titolo del suo libro), tra due differenti concezioni e rappresentazioni della malattia mentale.
Tale conflitto, in ultima analisi, fa emergere una contrapposizione spesso insanabile tra due differenti trattamenti del disturbo psichiatrico: da un lato il trattamento biomedico e farmacoterapico — favorito dal sistema sanitario perché più rapido e più redditizio — e dall’altro lato quello psicoterapico e psicodinamico, che secondo l’autrice non potrà mai rivelarsi obsoleto e superfluo.
L’etnografo clinico — questo l’assunto fondamentale — non deve optare per nessuno dei due trattamenti. Considerandoli entrambi legittimi, li studia criticamente: nei loro assetti concettuali, nelle loro componenti culturali, nei loro risvolti tecnici. Li studia nella prospettiva di stimolare una loro continua interazione: un’interazione efficace nella misura in cui viene costruita e modulata tenendo conto della specificità che caratterizza ogni singolo caso clinico.
All’interno del "Committee on Human Development" dell’Università di Chicago, Tanya Luhrmann, in continuità con la sua ricerca, svolge ora un ruolo dirigente nel progetto denominato "Clinical Etnography", imperniato sulla preparazione teorica e pratica di allievi ai quali viene impartita una doppia formazione: sia antropologica che psicologica e psichiatrica.
Lo sguardo antropologico — senza dubbio complementare allo sguardo epistemologico che ho cercato di sviluppare in questi ultimi anni — mi sembra prezioso, proprio nella misura in cui drammatizza e problematizza un fenomeno che troppo spesso viene dato per ovvio e per scontato: l’incapacità di un incontro e di un dialogo costruttivo, entro i Dipartimenti di Salute Mentale, tra differenti culture, tra differenti paradigmi e tecniche della cura.
Da un lato, dunque, le culture (che richiedono una competenza storico-antropologica), dall’altro lato le tecniche e i paradigmi (che richiedono una competenza disciplinare ed epistemologica). Due percorsi impensabili come itinerari meramente teorici: necessariamente sinergici e comunque interni alla pratica clinica. Un autentico e radicale rinnovamento dell’assistenza psichiatrica passa perciò anche attraverso un loro funzionamento solidale ed un loro effettivo radicamento istituzionale.
L’epistemologia clinica sviluppa la stessa mission che Tanya Luhrman assegna all’etnografia clinica: assumendo come prioritario e fondante il punto di vista dei pazienti e sviluppando perciò con coerenza la sua vocazione etica e trasformativa, essa dovrà, di volta in volta, fornire un apporto efficace, che contribuisca a risolvere il problema del dialogo mancato tra i diversi professionals della Salute Mentale.
Un problema generale e non di nicchia. Un problema al tempo stesso etico e clinico, che riguarda, come appare evidente, non solo la salute mentale dei pazienti ma anche quella dell’intera popolazione.
MARIO GALZIGNA
A P P E N D I C E
UNIVERSITA’ DI CHICAGO
Dipartimento di sviluppo umano comparativo
Ricerca e formazione in etnografia clinica
L’etnografia clinica è un approccio alla malattia mentale che utilizza i metodi dell’antropologia e della psicologia e, basandosi sulla lunga tradizione del Comitato nel campo della ricerca, porta avanti studi comparativi tra soggetti durante l’intero corso della loro vita all’interno del loro contesto culturale e sociale. Ciò che distingue il nostro progetto dagli altri è l’attenzione che abbiamo posto all’esposizione degli studenti sia ai metodi antropologici che alle conoscenze contemporanee sulla malattia mentale derivate dalla psicologia e dalla psichiatria.
Siamo fermamente convinti che anche la patologia mentale più grave e più chiaramente organica è influenzata dal contesto sociale e che i sintomi e la prognosi di un disturbo possono variare con il contesto storico, culturale e sociale. Consideriamo come nostro obiettivo la comprensione della natura di queste variazioni e il meccanismo sociale che ne sta alla base. E’ nostra convinzione che un attento e approfondito studio etnografico sia il modo migliore per documentare il quadro dei disturbi psichici in un particolare contesto, sia questo un ambiente rurale oppure industrializzato. Ma per svolgere questo lavoro, lo studente deve acquisire una comprensione della realtà vissuta della malattia mentale e della sua pervasività nella vita umana. Forniamo un’accurata preparazione agli studenti sulla base delle conoscenze disponibili su queste malattie, prima di affrontare i modi in cui la classe sociale, il sesso, la razza e la cultura possono essere implicate in tale conoscenza. Il risultato è che gli studenti sono in grado di riconoscere la malattia mentale così come appare agli specialisti e ad incorporare la conoscenza quantitativa di tipo epidemiologico nel loro lavoro qualitativo. Sono così in grado di comunicare le loro idee non solo agli antropologi, ma anche agli specialisti della salute mentale, che stanno lentamente iniziando a comprendere l’importanza del contesto sociale all’interno del quale la malattia mentale si manifesta, ma si trovano ancora in difficoltà a capirla e ad affrontarla. A tal fine noi offriamo quanto segue:
Formazione in etnografia, per comprendere una particolare cultura. Il Dipartimento di Sviluppo Umano Comparativo comprende 5 antropologi al suo interno e l’Università di Chicago ha uno dei migliori dipartimenti di antropologia del paese. Gli studenti hanno la possibilità di sviluppare competenze linguistiche nella loro area di studio, insieme ad una ricca conoscenza del retroterra storico e culturale, indipendentemente dal contesto oggetto di studio. Una misura della varietà di conoscenze disponibili si può avere dai workshop disponibili in università.
Esperienza clinica nei contesti in cui la malattia psichiatrica è diagnosticata e trattata. Il Dipartimento di Sviluppo Umano Comparativo ha una collaborazione informale con il Dipartimento di Psichiatria dell’Università e altre strutture assistenziali locali, attraverso le quali gli studenti seguono discussioni di casi, tavole rotonde e ambulatori di psichiatria come se fossero studenti di medicina. Gli studenti possono fare richiesta di svolgere un percorso formativo diagnostico e terapeutico, che però non comprende l’assunzione dell’intera responsabilità che ha uno psicologo clinico. Coloro che volessero sviluppare maggiori competenze cliniche possono prendere visione del nostro programma di psicologia clinica.
Workshop in etonografia clinica. Questo workshop, che si svolge ogni due settimane durante l’anno accademico, cerca di mantenere vivo e produttivo il rapporto tra prospettiva clinica e prospettiva etnografico/culturale. Tanya Luhrmann (un’antropologa) e Bert Cohler (uno psicologo e psicanalista) sono i supervisori e spesso partecipano anche Susie Fisher (una psichiatra e psicanalista in formazione), Rich Shweder (un antropologo e psicologo culturale) e i nostri colleghi dell’NIH che hanno terminato il dottorato. Utilizziamo una prospettiva clinica per affrontare problematiche culturali e una prospettiva antropologica per risolvere problemi clinici, mantenendo un orientamento teorico pluralista.
Si tratta di un gruppo di discussione informale nel quale cerchiamo di combinare le conoscenze cliniche e quelle etnografiche nell’affrontare un tema e di esaminare anche le differenze tra questi due approcci, i loro vantaggi e i loro costi. L’obiettivo del nostro gruppo e di comprendere l’influenza dei fattori culturali e del contesto sociale nell’identificazione, valutazione e trattamento della malattia mentale dal punto di vista sia della psicologia antropologica che di quella culturale, mantenendo una certa attenzione alla realtà clinica di questi temi.
Il gruppo si incontra il primo e il terzo giovedì di ogni mese alle 19.00 a casa di Bert Cohler, 5408 S Blackstone.
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