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PROBLEMS OF LIVING una recensione

24 Giu 23

Di Andrea Castiello D'Antonio

Dan Joseph Stein è una figura probabilmente poco nota nel contesto italiano.

Psichiatra, professore e direttore del Department of Psychiatry and Mental Health all’University of Cape Town e al Groote Schuur Hospital, ha ricoperto vari incarichi di responsabilità nelle strutture sanitarie del Sud Africa ed è stato visiting professor al Mount Sinai School of Medicine (USA). Autore, co-autore o curatore di oltre quaranta volumi, ha pubblicato numerosi articoli scientifici in riviste come Lancet, Science e World Psychiatry.

Il volume di cui ci occupiamo qui – che reca il sottotitolo Perspectives from Philosophy, Psychiatry, and Cognitive-Affective Science – si colloca nel contesto dei suoi interessi rivolti a integrare i campi delle neuroscienze, della psichiatria e della filosofia ed è stato preceduto da The Philosophy of Psychopharmacology: Smart Pills, Happy Pills, Pep Pills, pubblicato nel 2008 da Cambridge University Press.

In italiano è reperibile un piccolo testo dal titolo I disturbi d’ansia tradotto da Elsevier nel 2004.

Le domande, anzi le big questions come sono definite, che pone l’autore, pur non numerose sono particolarmente complesse e, infatti, non a caso si tratta di domande indirizzate verso quelli che sono definiti i problemi più importanti, gravi, pesanti, difficili da risolvere: gli hard problems. Si inizia con la domanda su quali siano i modi migliori di concettualizzare il tema del rapporto mente-cervello fino all’ultimo quesito sul significato della vita e su ciò che rende significativa la nostra vita. Complessivamente sette domande centrali alle quali l’autore risponde con altrettanti capitoli del testo.

Nel filone delle ricerche e delle riflessione che Stein conduce ormai da tempo questo libro si pone in ottica decisamente integrativa, muovendosi nelle intersezioni tra psichiatria, neuroscienze e filosofia; e sono proprio le visioni diverse e talvolta contrapposte che queste tre aree del sapere umano propongono verso i temi di base trattati nel volume a interessare l’autore nell’ottica, ad esempio, di trarre gli aspetti più utili e significativi di ciascuna delle visioni al fine di integrarle e, così, portare e risoluzione almeno una parte del dibattito attuale. In tale ottica Stein afferma che gli sviluppi dell’area delle scienze cognitive e emotive, da un lato, fanno giustizia di numerose idee pre-scientifiche e, dall’altro, pongono le basi per ripensare alcune tematiche e per offrire delle risposte magari settoriali ma, comunque, praticabili.

Uno dei contributi maggiori dell’area delle cognitive-affective sciences è di aver mostrato fino a che punto la mente sia incarnata nel cervello – e tutto ciò nel contesto sociale che, nella visione di Stein, è contesto e mondo di metafore; il testo si chiuderà proprio con una serie di immagini metaforiche che, secondo l’autore, possono sintetizzare le diverse risposte offerte nelle pagine precedenti alle grandi domande poste ma che, in realtà, possono lasciare il lettore un po’ perplesso per la loro semplicità: sono qui richiamate metafore di diverso spessore, senso ed ampiezza – metaphores of life – dalla vita come un game o un orchestra jazz, alle metafore delle grandi religioni, dall’esistenza vista come uno storytelling all’ideologia marxista, e così via. In effetti, le pagine che precedono le conclusioni con queste diverse metafore emergono come assai più interessanti e dense di contenuti!

Scorrendo i diversi capitoli si può notare che alcuni affrontano argomenti epistemologici ed etici mentre altri pongono domande sul senso della scienza, su cosa sia un disturbo psichiatrico, e su quale dimensione sia possibile assegnare alla ricerca del piacere nel corso della vita. Una specifica critica è rivolta da Stein alle correnti che vedono nel cosiddetto pensiero positivo un aspetto rilevante da inserire nell’ambito del trattamento delle sofferenze mentali: un orientamento che è definito superficiale e che può condurre ad effetti paradossali, cercando costantemente di evitare di affrontare gli aspetti problematici della vita.

Emergono come interessanti le pagine dedicate al confronto tra le posizioni di Sigmund Freud e quelle di Aaron Beck sulla questione della sofferenza mentale nelle forme dell’angoscia e della depressione, richiamando successivamente la capacità di simbolizzare dell’essere umano e del direzionarsi nel corso della vita anche in base ai proprio specifici valori. A ciò si aggancia la questione della psicopatia e dell’altruismo patologico, due tematiche che sono trattate nel medesimo contesto della relazione interpersonale e del dibattito tra situazionale e personologico, con qualche riferimento al DSM-5 e all’emerge della cosiddetta Dark Triad.

Ampliando lo sguardo Stein ritiene che “due importanti metafore, o framework concettuali guidano oggi il futuro della psichiatria: la metafora delle neuroscienze cliniche e quella della salute mentale globale” (p. 181) la quale, a sua volta, affonda le radici nella psichiatria cross-culturale.

E’ infine da notare che mentre è molto utile l’Indice per argomenti posto a conclusione del volume, le circa duemila voci della Bibliografia risultano assai difficili da consultare: infatti, la scelta è stata quella di non strutturarle in ordine alfabetico bensì inserirle nell’ordine in cui sono citate nel testo, numerandole da 1 a 1984.

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