Da tempo cercavo un testo di Analisi Transazionale che fosse specificamente pratico e funzionale, sia rispetto alle mie competenze di counseling, e quindi relativamente alla utilità dello stesso nei colloqui con i clienti; sia rispetto ai possibili, quotidiani “giochi” che, tutti, nessuno escluso, pratichiamo nella nostra esistenza, anche con le persone a noi più care e vicine. Oppure nei momenti di forte stress, nei quali è più facile agire comportamenti inconsapevoli, che rimandano a dinamiche specificamente infantili del nostro Io Bambino, le quali, come sappiamo, fanno da sfondo ai differenti giochi transazionali. Avevo bisogno insomma di un libro che non solo descrivesse i giochi e le loro diverse sfumature e sovrapposizioni. Ma che riportasse anche molti esempi concreti presentando in modo chiaro, efficace e diretto, le diverse possibilità comportamentali per non entrare in essi, per uscirne una volta entrati, o per interromperli non appena ci accorgiamo del loro inizio. Sia che venga giocato da noi, sia che venga giocato dagli altri.
Ho trovato esaudita questa mia ricerca, nell’incontro con lo splendido libro di Sabrina D’Amanti, I “giochi” dell’Analisi Transazionale. Come riconoscerli e liberarsene, edito da Xenia (2011).
Consiglio vivamente questo testo per diversi motivi.
Come accennato, l’ho trovato utilissimo innanzitutto per i professionisti delle relazione di aiuto (di ogni relazione di aiuto: counselor, psicologo, psicoterapeuta, assistente sociale, ecc.), in quanto, è abbastanza ovvio, è proprio all’interno di rapporti nei quali c’è un approfondimento della propria interiorità e dei propri vissuti che, maggiormente, è possibile mettere in atto i differenti giochi. Sia nel loro intrecciarsi rispetto alle dinamiche di transfert profondo, che semplicemente come meccanismi di difesa in risposta al progressivo processo di consapevolizzazione dei propri bisogni autentici, desideri, convinzioni.
L’utilità del saggio si allarga ulteriormente al contesto quotidiano, all’interno del quale una certa abitudinarietà comportamentale e cognitiva, che ben conosciamo, tende troppo spesso a far sì che emozioni e desideri piuttosto scomodi, sia per noi che (pensiamo) per gli altri, rimangano celati alla nostra consapevolezza. E tutto questo in favore di una stabilità psichica, capace di mantenere pressoché inalterato il “sistema” senza troppi scossoni; e quindi di converso senza troppa sofferenza. I giochi cioè fanno si che, come ritorno positivo “collaterale” rispetto alle loro motivazioni di base (bisogno di essere valorizzati, sentirsi intelligenti, degni di amore ecc.), l’individuo si rinsaldi giustificandole le proprie zone di confort. Quelle dimensioni psichiche e comportamentali confortevoli cioè, fatte di convinzioni irrigidite e stantie, di schemi emozionali ossificati e spesso confusi, di comportamenti inconsapevoli a costo zero in termini di energia psichica – in modo da rimandare qualsiasi iniziativa ulteriore di contatto, di apertura al nuovo, di slanci vitali. I soli, questi ultimi, capaci di farlo crescere e arricchire, e quindi di trasformarsi ed evolvere.
Un testo quello della D’Amanti che ha un suo valore intrinseco, poiché, innanzitutto, contiene una parte iniziale riassuntiva e sintetica, comprendente gli elementi essenziali dell’analisi transazionale. Una sezione la quale è facilmente accessibile anche a chi non maneggia in modo “professionale” una materia che, all’apparenza semplice, contiene in realtà una complessità, restituitagli dalle numerose variabili messe in campo, a partire, ulteriormente, da una molteplicità di prospettive: psicodinamica, dialettica, sistemica, fenomenologica, ecc.
In questa prima parte vengono riassunti in modo chiaro, conciso e al tempo stesso accessibile, come dicevo, tutti quei costituenti fondamentali che strutturano l’A. T. Dagli stati dell’io all’analisi funzionale; i copioni; le carezze; le differenti analisi delle transazioni; le diverse modalità di strutturazione del tempo; le caratteristiche generali dei giochi ecc.
La seconda parte del testo – che è quella più ampia – prevede, come recita il titolo, l’analisi stessa dei giochi, la quale viene suddivisa secondo i ruoli del triangolo drammatico di Karpman: persecutore, salvatore, vittima. Ogni ruolo ha i suoi giochi preferenziali. Anche se poi, come sappiamo, ci può essere un cambio di ruoli anche all’interno dello stesso gioco (da vittima a persecutore, da salvatore a persecutore, da persecutore a vittima, ecc.). E ogni gioco ha le sue diverse convinzioni di copione e scambi transazionali.
Le sezioni riguardanti i differenti giochi, prevedono una didascalica quanto efficace analisi teorica degli stessi, nella quale vi è una tesi (la convinzione di copione), una antitesi (come non offrire un anello al gancio del giocatore che tenta di intrecciare il gioco con noi), lo scopo del gioco, la dinamica sottostante (paura di fallire, della solitudine ecc.), i ruoli giocati, il tornaconto (e cioè la soddisfazione in termini emozionali e di convinzioni di copione del gioco). Segue poi per ogni singolo gioco l’essenziale quanto accurata descrizione dei diversi vantaggi psicologici (psicologico interno; psicologico esterno; sociale interno; sociale esterno; biologico), e numerosi esempi tratti sia da altri autori transazionali (Berne, James e Jongenward, Harris, ecc.), che dai casi clinici presi in carico dall’Autrice. Naturalmente, come consuetudine, gli esempi sono riportati sotto forma di dialoghi. Il testo inoltre è arricchito da diverse, acute osservazioni personali originali, che lasciano trasparire la profonda competenza dell’Autrice rispetto alla materia.
Per quanto concerne le indicazioni generali riguardanti l’intercettazione dei giochi, come accennavo, la D’Amanti suggerisce che sia innanzitutto efficace uscire semplicemente dal gioco, non appena si è capito di esserci entrati, lasciandosi “scivolare di dosso” il gancio del giocatore che ha iniziato il gioco con noi. Oppure, semplicemente, trattenersi dall’entrarvi non appena abbiamo intuito le intenzioni del giocatore.
Ulteriormente, un’altra tecnica efficace è rappresentata dall’incrociare le transazioni complementari che il giocatore tenta di agganciare con noi, aspettandosi in questo modo una risposta ben precisa.
Ad esempio, nel classico gioco “Lotta di potere”, il giocatore intende svalutare le idee e i bisogni dell’altro, in quanto svaluta i propri, ed è solo imponendoli all’altro in modo ricattatorio che riesce a sentirsi riconosciuto nel proprio valore. Per fare questo gioco, critica l’altro a partire dal suo Io Genitore (normativo, persecutorio), cercando di agganciare l’Io Bambino dell’altro giocatore, nel tentativo di renderlo ai suoi occhi “non Ok”, soddisfacendo in questo modo il bisogno di riconoscimento negato del proprio Io Bambino, ma a partire tuttavia dal discredito dell’altro: “Io sono Ok”, perché tu “Non sei Ok”. In questo senso, invece di rispondere attraverso il proprio Io Bambino, appunto in modo complementare, basterà affermare ragionevolmente le proprie idee e bisogni, a partire dall’Adulto che è in noi, cercando un compromesso, spostando in questo modo la transazione su un piano di parità di ruoli, capace di smorzare il mordente del gioco portato avanti dal gancio del primo giocatore.
Oltre a queste soluzioni di carattere generale, per ogni gioco viene specificata una possibile antitesi peculiare, capace di interrompere la transazione. Nel classico e più comune gioco “Difetto”, ad esempio, la persona cerca di mettere in cattiva luce l’altro rispetto al quale il gioco è indirizzato, sottolineandone i possibili difetti. Questo perché al proprio interno è presente un Genitore ipercritico che spinge al perfezionismo, il quale svaluta la persona stessa, che non va mai bene di fronte ai propri occhi; dall’altra, a partire dal proprio Adulto, questa cerca di ottenere una valorizzazione di sé, intercettando negli altri le loro imperfezioni, delle quali il giocatore che tende il gancio pensa di essere privo. L’antitesi in questo caso sta nell’ammettere, anticipandolo, l’imperfezione che il giocatore di “Difetto” intende insinuare per sentirsi “Ok” ai propri occhi: spiazzando in questo, attraverso il proprio Adulto, le intenzioni infantili dell’altro. Della serie: “so che sono imperfetto, nessuno lo è, è inutile che ti sforzi di dimostrare quello che già so di me e che accetto”.
Rispetto al tentativo di rovesciamento della propria posizione esistenziale, desidero mettere il punto su questo aspetto essenziale, portato avanti dall’Autrice nella descrizione delle dinamiche dei giochi.
Solitamente viene dato per assodato che i giochi servano per confermare le convinzioni di copione sottostanti: “Io sono ok”, “Io non sono Ok”. In realtà, come sottolinea la D’Amanti, Berne per primo ha messo in evidenza come questa riconferma faccia riferimento alla posizione esistenziale di base, e cioè alla posizione “tipica” originaria, a partire dalla quale il giocatore inizia a giocare, e che fa capo alla convinzione di copione (il proprio piano di vita generale), stabilitasi durante l’infanzia.
A partire da questa specifica, alcuni autori (Cavallero, Ernst e la stessa D’Amanti) individuano un possibile sviluppo ulteriore rispetto alla conferma della posizione iniziale, comprendente altresì una posizione relazionale.
La posizione relazionale, intende riferirsi ai giochi come a un tentativo – seppur fallimentare – di ribaltare momentaneamente le proprie posizioni esistenziali di base, attraverso l’attività proiettiva dei propri bisogni essenziali negati – o rimossi –, trasferiti in forma rovesciata sull’altro, a partire dalle transazioni che avvengono nei giochi stessi.
In questo modo è possibile, per l’individuo che intende sgravarsi della paura di sentirsi inutile, ad esempio, e quindi senza valore, di giocare al gioco del “Lieto di esserti utile” (uno dei giochi del “Salvatore”), mediante il quale egli, prestando il suo aiuto senza che venga richiesto, cerca di ottenere da una parte (vantaggio sociale) la possibilità di vantarsi di fronte agli altri dei propri atti di generosità. Ulteriormente, in profondità (vantaggio psicologico), desidera attirare a sé la benevolenza degli altri, e quindi la loro vicinanza, e la possibilità che questi possano ricambiare in futuro il suo aiuto. In realtà il Salvatore si sente “Ok”, solo nel momento in cui riesce a prestare aiuto agli altri. A partire dal suo atto gratuito, senza cioè che venga richiesto, li considera implicitamente incapaci di risolvere da soli i propri problemi, e quindi “non Ok”, cercando in questa maniera di tenere a bada la propria paura di essere abbandonato, tentando disperatamente di legarli a sé.
Nel momento in cui l’altro ricambi l’offerta di aiuto attraverso il suo stesso lasciarsi aiutare, accettando consigli, informazioni, ecc., il salvatore potrà dunque sentirsi “Ok”. E in questo caso la sua posizione esistenziale di base effettiva, che è quella di “non essere Ok”, solo e fintanto che l’altro non accetti il suo aiuto, può essere temporaneamente rovesciata. Ma anche se l’altro rifiuterà la sua offerta di aiuto, egli potrà comunque beneficiare di un rovesciamento della sua posizione esistenziale, lamentandosi dell’altro e accusandolo di essere un ingrato. In questo caso, il Salvatore si sentirà “Ok”, in quanto l’altro, ai suoi stessi occhi, sarà (esplicitamente stavolta) “non Ok”. Ci sarà cioè sempre e comunque un “tornaconto” in termini di emozioni, sia positive che negative, come conclusione efficace del gioco.
Tuttavia, ed è bene sottolinearlo, sia che il giocatore ricavi un ribaltamento della propria posizione esistenziale di base, attraverso la proiezione attuata mediante la posizione relazionale in termini di emozioni positive (sentirsi adeguati, valorizzati, riconosciuti, amati); sia che riconfermi la stessa posizione esistenziale in termini di emozioni negative (ingratitudine, rabbia, risentimento), il rovesciamento e la riconferma funzionano solo in modo momentaneo ed effimero. Poiché, da una parte nel rovesciamento viene messo in atto un falso Sé rispetto al tornaconto; e nella riconferma ciò che viene espressa come copertura dei propri bisogni reali è quella che si usa chiamare in A. T. una “emozione parassita”. E cioè una di quelle emozioni infantili, a partire dalle quali la persona ha imparato ad esprimere le proprie esigenze fondamentali, le quali erano le uniche che, nell’ambiente famigliare, venivano accettate e riconosciute, anche se rivelavano indirettamente, e quindi in modo alienato e alienante, ciò che l’individuo (il bambino) provava.
C’è cioè sempre un falso Sé alla base dei giochi, il quale viene esperito e agito in modo inconsapevole, e quindi, in questo senso, è proprio questa inconsapevolezza – e i bisogni sottostanti che viene a mascherare – che produce una ripetizione costante dei giochi stessi. Nel tentativo, sempre fallimentare, di disconfermare le convinzioni di copione come movente dei giochi.
Questa nuova prospettiva del tentativo di rovesciamento della posizione esistenziale attraverso la posizione relazionale, rende molto più logiche, chiare e congruenti, a mio avviso, le diverse dinamiche transazionali, nonché il senso stesso di molti giochi.
Il secondo elemento che desidero solo accennare, perché troppo complesso da poter sviluppare in questa sede, è quello dello sviluppo delle cosiddette “catene dei giochi”.
I giochi, ritiene l’Autrice, possono non solo essere identici rispetto al ruolo complementare (vittima-persecutore; salvatore-vittima) delle transazioni. Ma è possibile che uno dei due giocatori porti avanti un differente gioco rispetto all’altro di modo che, ad esempio, al gancio gettato dal giocatore che gioca a “Povero me” (giocato dalla “vittima), segua l’anello della persona che gioca invece a “Perché non…?” (Salvatore). Ma ulteriormente è possibile che, per poter soddisfare il tornaconto che entrambi i giocatori ricercano dagli scambi, si giunga a comporre una serie di transazioni ulteriori, le quali danno vita a uno sviluppo complesso di differenti giochi consecutivi. Al “Gamba di legno” della vittima, ad esempio, viene ad agganciarsi il “Perché non” del salvatore, al quale segue “Guarda che mi hai fatto fare” del persecutore.
Le catene dei giochi rimandano a una circolarità tipica delle transazioni umane, che come sappiamo non fanno altro che riprodurre o un malessere che la persona accetta e addirittura ricerca, perché già conosce e ritiene accettabile, sia rispetto a sé, sia rispetto agli altri. Oppure una falsa soddisfazione dovuta al rovesciamento temporaneo della posizione esistenziale, di cui ho parlato precedentemente.
Un libro utilissimo questo della D’Amanti, per quanto mi riguarda, per aiutare chiunque a compiere un concreto passo in avanti, rispetto alla accettazione della propria autenticità e alla scoperta del vero Sé. All’interno di quel processo di accoglimento e integrazione della propria Ombra, come insegna Jung, il quale rappresenta, a mio parere, una delle tappe fondamentali da percorrere in questa esistenza, lungo il difficile cammino verso la propria individuazione.
Ho trovato esaudita questa mia ricerca, nell’incontro con lo splendido libro di Sabrina D’Amanti, I “giochi” dell’Analisi Transazionale. Come riconoscerli e liberarsene, edito da Xenia (2011).
Consiglio vivamente questo testo per diversi motivi.
Come accennato, l’ho trovato utilissimo innanzitutto per i professionisti delle relazione di aiuto (di ogni relazione di aiuto: counselor, psicologo, psicoterapeuta, assistente sociale, ecc.), in quanto, è abbastanza ovvio, è proprio all’interno di rapporti nei quali c’è un approfondimento della propria interiorità e dei propri vissuti che, maggiormente, è possibile mettere in atto i differenti giochi. Sia nel loro intrecciarsi rispetto alle dinamiche di transfert profondo, che semplicemente come meccanismi di difesa in risposta al progressivo processo di consapevolizzazione dei propri bisogni autentici, desideri, convinzioni.
L’utilità del saggio si allarga ulteriormente al contesto quotidiano, all’interno del quale una certa abitudinarietà comportamentale e cognitiva, che ben conosciamo, tende troppo spesso a far sì che emozioni e desideri piuttosto scomodi, sia per noi che (pensiamo) per gli altri, rimangano celati alla nostra consapevolezza. E tutto questo in favore di una stabilità psichica, capace di mantenere pressoché inalterato il “sistema” senza troppi scossoni; e quindi di converso senza troppa sofferenza. I giochi cioè fanno si che, come ritorno positivo “collaterale” rispetto alle loro motivazioni di base (bisogno di essere valorizzati, sentirsi intelligenti, degni di amore ecc.), l’individuo si rinsaldi giustificandole le proprie zone di confort. Quelle dimensioni psichiche e comportamentali confortevoli cioè, fatte di convinzioni irrigidite e stantie, di schemi emozionali ossificati e spesso confusi, di comportamenti inconsapevoli a costo zero in termini di energia psichica – in modo da rimandare qualsiasi iniziativa ulteriore di contatto, di apertura al nuovo, di slanci vitali. I soli, questi ultimi, capaci di farlo crescere e arricchire, e quindi di trasformarsi ed evolvere.
Un testo quello della D’Amanti che ha un suo valore intrinseco, poiché, innanzitutto, contiene una parte iniziale riassuntiva e sintetica, comprendente gli elementi essenziali dell’analisi transazionale. Una sezione la quale è facilmente accessibile anche a chi non maneggia in modo “professionale” una materia che, all’apparenza semplice, contiene in realtà una complessità, restituitagli dalle numerose variabili messe in campo, a partire, ulteriormente, da una molteplicità di prospettive: psicodinamica, dialettica, sistemica, fenomenologica, ecc.
In questa prima parte vengono riassunti in modo chiaro, conciso e al tempo stesso accessibile, come dicevo, tutti quei costituenti fondamentali che strutturano l’A. T. Dagli stati dell’io all’analisi funzionale; i copioni; le carezze; le differenti analisi delle transazioni; le diverse modalità di strutturazione del tempo; le caratteristiche generali dei giochi ecc.
La seconda parte del testo – che è quella più ampia – prevede, come recita il titolo, l’analisi stessa dei giochi, la quale viene suddivisa secondo i ruoli del triangolo drammatico di Karpman: persecutore, salvatore, vittima. Ogni ruolo ha i suoi giochi preferenziali. Anche se poi, come sappiamo, ci può essere un cambio di ruoli anche all’interno dello stesso gioco (da vittima a persecutore, da salvatore a persecutore, da persecutore a vittima, ecc.). E ogni gioco ha le sue diverse convinzioni di copione e scambi transazionali.
Le sezioni riguardanti i differenti giochi, prevedono una didascalica quanto efficace analisi teorica degli stessi, nella quale vi è una tesi (la convinzione di copione), una antitesi (come non offrire un anello al gancio del giocatore che tenta di intrecciare il gioco con noi), lo scopo del gioco, la dinamica sottostante (paura di fallire, della solitudine ecc.), i ruoli giocati, il tornaconto (e cioè la soddisfazione in termini emozionali e di convinzioni di copione del gioco). Segue poi per ogni singolo gioco l’essenziale quanto accurata descrizione dei diversi vantaggi psicologici (psicologico interno; psicologico esterno; sociale interno; sociale esterno; biologico), e numerosi esempi tratti sia da altri autori transazionali (Berne, James e Jongenward, Harris, ecc.), che dai casi clinici presi in carico dall’Autrice. Naturalmente, come consuetudine, gli esempi sono riportati sotto forma di dialoghi. Il testo inoltre è arricchito da diverse, acute osservazioni personali originali, che lasciano trasparire la profonda competenza dell’Autrice rispetto alla materia.
Per quanto concerne le indicazioni generali riguardanti l’intercettazione dei giochi, come accennavo, la D’Amanti suggerisce che sia innanzitutto efficace uscire semplicemente dal gioco, non appena si è capito di esserci entrati, lasciandosi “scivolare di dosso” il gancio del giocatore che ha iniziato il gioco con noi. Oppure, semplicemente, trattenersi dall’entrarvi non appena abbiamo intuito le intenzioni del giocatore.
Ulteriormente, un’altra tecnica efficace è rappresentata dall’incrociare le transazioni complementari che il giocatore tenta di agganciare con noi, aspettandosi in questo modo una risposta ben precisa.
Ad esempio, nel classico gioco “Lotta di potere”, il giocatore intende svalutare le idee e i bisogni dell’altro, in quanto svaluta i propri, ed è solo imponendoli all’altro in modo ricattatorio che riesce a sentirsi riconosciuto nel proprio valore. Per fare questo gioco, critica l’altro a partire dal suo Io Genitore (normativo, persecutorio), cercando di agganciare l’Io Bambino dell’altro giocatore, nel tentativo di renderlo ai suoi occhi “non Ok”, soddisfacendo in questo modo il bisogno di riconoscimento negato del proprio Io Bambino, ma a partire tuttavia dal discredito dell’altro: “Io sono Ok”, perché tu “Non sei Ok”. In questo senso, invece di rispondere attraverso il proprio Io Bambino, appunto in modo complementare, basterà affermare ragionevolmente le proprie idee e bisogni, a partire dall’Adulto che è in noi, cercando un compromesso, spostando in questo modo la transazione su un piano di parità di ruoli, capace di smorzare il mordente del gioco portato avanti dal gancio del primo giocatore.
Oltre a queste soluzioni di carattere generale, per ogni gioco viene specificata una possibile antitesi peculiare, capace di interrompere la transazione. Nel classico e più comune gioco “Difetto”, ad esempio, la persona cerca di mettere in cattiva luce l’altro rispetto al quale il gioco è indirizzato, sottolineandone i possibili difetti. Questo perché al proprio interno è presente un Genitore ipercritico che spinge al perfezionismo, il quale svaluta la persona stessa, che non va mai bene di fronte ai propri occhi; dall’altra, a partire dal proprio Adulto, questa cerca di ottenere una valorizzazione di sé, intercettando negli altri le loro imperfezioni, delle quali il giocatore che tende il gancio pensa di essere privo. L’antitesi in questo caso sta nell’ammettere, anticipandolo, l’imperfezione che il giocatore di “Difetto” intende insinuare per sentirsi “Ok” ai propri occhi: spiazzando in questo, attraverso il proprio Adulto, le intenzioni infantili dell’altro. Della serie: “so che sono imperfetto, nessuno lo è, è inutile che ti sforzi di dimostrare quello che già so di me e che accetto”.
Rispetto al tentativo di rovesciamento della propria posizione esistenziale, desidero mettere il punto su questo aspetto essenziale, portato avanti dall’Autrice nella descrizione delle dinamiche dei giochi.
Solitamente viene dato per assodato che i giochi servano per confermare le convinzioni di copione sottostanti: “Io sono ok”, “Io non sono Ok”. In realtà, come sottolinea la D’Amanti, Berne per primo ha messo in evidenza come questa riconferma faccia riferimento alla posizione esistenziale di base, e cioè alla posizione “tipica” originaria, a partire dalla quale il giocatore inizia a giocare, e che fa capo alla convinzione di copione (il proprio piano di vita generale), stabilitasi durante l’infanzia.
A partire da questa specifica, alcuni autori (Cavallero, Ernst e la stessa D’Amanti) individuano un possibile sviluppo ulteriore rispetto alla conferma della posizione iniziale, comprendente altresì una posizione relazionale.
La posizione relazionale, intende riferirsi ai giochi come a un tentativo – seppur fallimentare – di ribaltare momentaneamente le proprie posizioni esistenziali di base, attraverso l’attività proiettiva dei propri bisogni essenziali negati – o rimossi –, trasferiti in forma rovesciata sull’altro, a partire dalle transazioni che avvengono nei giochi stessi.
In questo modo è possibile, per l’individuo che intende sgravarsi della paura di sentirsi inutile, ad esempio, e quindi senza valore, di giocare al gioco del “Lieto di esserti utile” (uno dei giochi del “Salvatore”), mediante il quale egli, prestando il suo aiuto senza che venga richiesto, cerca di ottenere da una parte (vantaggio sociale) la possibilità di vantarsi di fronte agli altri dei propri atti di generosità. Ulteriormente, in profondità (vantaggio psicologico), desidera attirare a sé la benevolenza degli altri, e quindi la loro vicinanza, e la possibilità che questi possano ricambiare in futuro il suo aiuto. In realtà il Salvatore si sente “Ok”, solo nel momento in cui riesce a prestare aiuto agli altri. A partire dal suo atto gratuito, senza cioè che venga richiesto, li considera implicitamente incapaci di risolvere da soli i propri problemi, e quindi “non Ok”, cercando in questa maniera di tenere a bada la propria paura di essere abbandonato, tentando disperatamente di legarli a sé.
Nel momento in cui l’altro ricambi l’offerta di aiuto attraverso il suo stesso lasciarsi aiutare, accettando consigli, informazioni, ecc., il salvatore potrà dunque sentirsi “Ok”. E in questo caso la sua posizione esistenziale di base effettiva, che è quella di “non essere Ok”, solo e fintanto che l’altro non accetti il suo aiuto, può essere temporaneamente rovesciata. Ma anche se l’altro rifiuterà la sua offerta di aiuto, egli potrà comunque beneficiare di un rovesciamento della sua posizione esistenziale, lamentandosi dell’altro e accusandolo di essere un ingrato. In questo caso, il Salvatore si sentirà “Ok”, in quanto l’altro, ai suoi stessi occhi, sarà (esplicitamente stavolta) “non Ok”. Ci sarà cioè sempre e comunque un “tornaconto” in termini di emozioni, sia positive che negative, come conclusione efficace del gioco.
Tuttavia, ed è bene sottolinearlo, sia che il giocatore ricavi un ribaltamento della propria posizione esistenziale di base, attraverso la proiezione attuata mediante la posizione relazionale in termini di emozioni positive (sentirsi adeguati, valorizzati, riconosciuti, amati); sia che riconfermi la stessa posizione esistenziale in termini di emozioni negative (ingratitudine, rabbia, risentimento), il rovesciamento e la riconferma funzionano solo in modo momentaneo ed effimero. Poiché, da una parte nel rovesciamento viene messo in atto un falso Sé rispetto al tornaconto; e nella riconferma ciò che viene espressa come copertura dei propri bisogni reali è quella che si usa chiamare in A. T. una “emozione parassita”. E cioè una di quelle emozioni infantili, a partire dalle quali la persona ha imparato ad esprimere le proprie esigenze fondamentali, le quali erano le uniche che, nell’ambiente famigliare, venivano accettate e riconosciute, anche se rivelavano indirettamente, e quindi in modo alienato e alienante, ciò che l’individuo (il bambino) provava.
C’è cioè sempre un falso Sé alla base dei giochi, il quale viene esperito e agito in modo inconsapevole, e quindi, in questo senso, è proprio questa inconsapevolezza – e i bisogni sottostanti che viene a mascherare – che produce una ripetizione costante dei giochi stessi. Nel tentativo, sempre fallimentare, di disconfermare le convinzioni di copione come movente dei giochi.
Questa nuova prospettiva del tentativo di rovesciamento della posizione esistenziale attraverso la posizione relazionale, rende molto più logiche, chiare e congruenti, a mio avviso, le diverse dinamiche transazionali, nonché il senso stesso di molti giochi.
Il secondo elemento che desidero solo accennare, perché troppo complesso da poter sviluppare in questa sede, è quello dello sviluppo delle cosiddette “catene dei giochi”.
I giochi, ritiene l’Autrice, possono non solo essere identici rispetto al ruolo complementare (vittima-persecutore; salvatore-vittima) delle transazioni. Ma è possibile che uno dei due giocatori porti avanti un differente gioco rispetto all’altro di modo che, ad esempio, al gancio gettato dal giocatore che gioca a “Povero me” (giocato dalla “vittima), segua l’anello della persona che gioca invece a “Perché non…?” (Salvatore). Ma ulteriormente è possibile che, per poter soddisfare il tornaconto che entrambi i giocatori ricercano dagli scambi, si giunga a comporre una serie di transazioni ulteriori, le quali danno vita a uno sviluppo complesso di differenti giochi consecutivi. Al “Gamba di legno” della vittima, ad esempio, viene ad agganciarsi il “Perché non” del salvatore, al quale segue “Guarda che mi hai fatto fare” del persecutore.
Le catene dei giochi rimandano a una circolarità tipica delle transazioni umane, che come sappiamo non fanno altro che riprodurre o un malessere che la persona accetta e addirittura ricerca, perché già conosce e ritiene accettabile, sia rispetto a sé, sia rispetto agli altri. Oppure una falsa soddisfazione dovuta al rovesciamento temporaneo della posizione esistenziale, di cui ho parlato precedentemente.
Un libro utilissimo questo della D’Amanti, per quanto mi riguarda, per aiutare chiunque a compiere un concreto passo in avanti, rispetto alla accettazione della propria autenticità e alla scoperta del vero Sé. All’interno di quel processo di accoglimento e integrazione della propria Ombra, come insegna Jung, il quale rappresenta, a mio parere, una delle tappe fondamentali da percorrere in questa esistenza, lungo il difficile cammino verso la propria individuazione.
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