Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti era nato il 27 maggio 1923 a Firenze da una famiglia colta e benestante. Entrato in seminario a vent’anni, nel 1947 fu ordinato sacerdote. Uno dei suoi primi incarichi fu a San Donato di Calenzano, presso Firenze, dove lavorò per una scuola popolare e scrisse il libro Esperienze pastorali, ritirato pochi mesi dopo la pubblicazione su pressione delle gerarchie ecclesistiche. Sette anni dopo venne inviato nello sperduto paesino di montagna di Barbiana, dove per garantire l’istruzione ai figli poveri dei contadini, altrimenti destinati all’ignoranza, fondò l’omonima scuola che aveva lo scopo di costituire un’istituzione inclusiva, democratica, con il fine non di selezionare ma piuttosto di far arrivare, tramite un insegnamento personalizzato, tutti gli alunni a un livello minimo d’istruzione. Si trattava insomma du garantire l’eguaglianza con la rimozione di quelle differenze che derivano da censo e condizione sociale, abolendo per cominciare le punizioni corporali dei bambini, allora ancora diffuse.
Nel 1967 affidò a un volume scritto insieme ai suoi ragazzi, mentre già era malato, Lettera a una professoressa, la denuncia del sistema scolastico e del metodo didattico che limitava l’accesso all’istruzione alle classi più ricche, mentre permaneva la piaga dell’analfabetismo in gran parte del Paese. Il testo divenne in campo pedagogicoo uno dei riferimenti del movimento del ’68 e fu accusato poi, dai detrattori, di essere responsabile della distruzione del sistema scolatico, attraverso la proposta di quello che appare un livellamento verso il basso.
Fu don Milani ad adottare il motto inglese I care, letteralmente mi importa, mi interessa, ho a cuore (in dichiarata contrapposizione al “Me ne frego” fascista). Questa frase scritta su un cartello all’ingresso della scuola riassumeva le finalità di un’educazione dei giovani orientata alla presa di coscienza civile e sociale.
Nel 1965 Milani prese posizione in favore dell’obiezione di coscienzaa al servizio militare, allora vietata in Italia, e fu processato, e poi assolto in primo grado, per apologia di reato. L’appello non fu portato a termine per la morete sopravvenuta.
La Lettera ai giudici scritta in quell’occasione contiene la frase divenuta famosa: «l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni».
Morì per leucemia il 26 giugno 1967.
Quanto a Franco Basaglia, al quale ho dedicato l’anno scorso come sa chi segue questa rubrica (segui il link), un saggio, e un’altro, uscito in questi giorni per Carocci e recensito da Francesco Paolella (segui il link), gliene ho dedicato quest’anno, nacque a Venezia l’11 marzo 1924. Anch’egli figlio di famiglia benestante, fu incarcerato da studente per attività antifascista. Laureatosi a Padova in medicina e specializzatosi in M;alattie nervose e mentali, dopo una decina d’anni di studio e lavoro trascorsi in quell’Università divenne direttore dell’ospedale psichiatrico di Gorizia dove incontrò, negli uomini e le donne internati, la stessa povertà che don Lorenzo aveva incontrato tra i contadini di Barbiana. Nel 1964, intervenendo a un congresso a Londra, espose la conclusione alla quale era giunto: che l’ospedale psichiatrico, in quanto luogo di esclusione, doveva esere chiuso. Nel 1968 diede alle stampe il suo libro più celebre: L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, che rappresentò anch’esso, come quello di don Milani, un riferimento per il ’68 italiano. Come don Milani fu accusato dai detrattori di avere distrutto la scuola italiana, così Basaglia fu accusato di avere indebolito la capacità del sistema di assistenza psichiatrica italiano di contenere la follia. Come don Lorenzo dovette subire un processo, così altri dovette subirne Basaglia. L’anno successivo lasciò Gorizia e dal 1971 lo ritroviamo a Trieste dove, con l’appoggio del democistiano Michele Zanetti, conseguì la chiusura dell’ospedale psichiatrico prima che la “Legge Basaglia”, approvata nel 1978, chiudesse gli ospedli psichiatrici in tutto il Paese. La libertà è terapeutica fu il motto attraverso il quale un vignettista che gli fu amico e accompagnò il suo lavooro a Trieste, Ugo Guarino, tentò di sintetizzare il nucleo del suo pensiero e della sua pratica conseguente di cura e di vita. Spostatosi a Roma nel 1979 per dirigere l’assistenza psichiatrica del Lazio, Basaglia dovette interrompere dopo pochi mesi per i primi sintomi del tumore che lo portò a morire anch’egli giovane il 29 agosto 1980.
Due vite brevi, iniziate a meno di un anno una dall’altra e interrotte entrambe precocemente dal tumore. Ma non sono certo queste concomitanze, ovviamente casuali, a portarmi a leggere in parallelo le vicende di questi due importanti protagonisti dei nostri anni ’60.
Non risulta che i due si siano incontrati direttamente, né che l’uno faccia riferimento all’altro nei suoi scritti; l’uno, negli anni ’60, relegato in un piccolo ospedale psichiatrico sul limite ultimo del confine orientale; l’altro, in un piccolo paese di contadini sul cucuzzolo di una montagna. Entrambi in punizione, uno per non essersi allineato al potere ecclesiastico prima, e poi a quello politico e militare; l’altro per non essersi allineato al potere universitario.
Ma chissà, se anche a don Milani fosse stato concesso di vivere ancora nel corso degli anni ’70…
Pure, qualche elemento di contatto indiretto, o almeno di comunanza parziale di ambiente, a ben vedere tra i due è possibile individuarlo. Per Basaglia fu inportante, infatti, ricorda Valeria Paola Babini nel suo Liberi tutti (2009, pp. 218-219), a metà degli anni ‘60 il rapporto con l’”Associazione per la lotta contro le malattie mentali” di Firenze, nata nel maggio 1966 in rapporto con il CEMEA francese e italiano per iniziativa di un gruppo di soggetti interni ed esterni al mondo della psichiatria, raccolti intorno al quindicinale “Politica”. Questo quindicinale era stato fondato nel 1955 e fu espressione di un’area di cattolicesimo di sinistra operante nella città toscana intorno alle posizioni di Giorgio La Pira. L’Associazione si era data un periodico più attento ai temi della sanità e della psichiatria, “Assistenza psichiatrica e vita sociale”, del quale Basaglia risulta dal 1966 tra i redattori e tra i cui fondatori risultano psichiatri fiorentini come Graziella Magherini, Gianfranco Zeloni e Franco Mori e anche il neuropsichiatra infantile Adriano Milani Comparetti (1920-1986), fratello maggiore di don Lorenzo e pioniere della lotta per l’inserimento sociale dei bambini disabili. Nel 1967, Basaglia destinò all’Associazione fiorentina i proventi dei diritti d’autore della prima edizione del volume Che cos’è la psichiatria?, la cui copertina è illustrata da un disegno di Hugo Pratt, altro artista suo amico, originariamente realizzato per la tessera della stessa associazione.
Ad autorizzarne una lettura in parallelo concorre, dunque, un ambiente che sembra essere, almeno in piccola parte, loro comune. Due percorsi paralleli di disobbedienza, che se pure non risultano essersi incrociati si sono però almeno lambiti.
Ma a concorrere sono soprattutto in primo luogo, mi pare, la stessa capacità di provare sofferenza e indignazione, a partire da una condizione sociale medio-alta, per la povertà e le ingiustizie delle quali i poveri erano e sono vittime, e la stessa urgenza di schierarsi dalla loro parte facendo concretamente qualcosa in loro favore.
In secondo luogo, lo stesso fastidio per le istituzioni – siano esse la Chiesa, la scuola e l’esercito per l’uno, o l’ospedale pichiatrico, il carcere o la società per l’altro – che quelle ingiustizie sono costruite in modo tale da conservare.
In terzo luogo, un atteggiamento poco incline all’obbedienza e alla rassegnazione da parte di entrambi. L’obbedienza non è più una virtù e La libertà è terapeutica mi paiono due frasi che, se non proprio identiche, sono molto assonanti e costituiscono insieme un’eredità preziosa, della quale bisognerebbe tenere maggior conto, credo, anche oggi.
Nell’immagine: Don Milani. Opera del pittore Stefano Sciubba, pubblicata per gentile concessione dell’autore.
Colgo l’occasione per ricordare a quanti leggano questo articolo a Genova o nei paraggi, che martedì 5 dicembre alle ore 17.30 presso la chiesa di San Cosma e Damiano, in Piazza San Cosimo, nel centro storico, sara presentato il volume Franco Basaglia, un profilo. Dalla critica dell’istituzione psichiatrica alla critica della società di Paolo F. Peloso (Carocci, 2023).
LA SCOMPARSA DI GRAZIELLA
LA SCOMPARSA DI GRAZIELLA MAGHERINI. Apprendiamo oggi della scomparsa in questi giorni a Firenze di Graziella Magherini, che è citata in questo articolo come componente di quell’ambiente di psichiatri fiorentini che legò idealmente Basaglia a don Milani. Graziella Magherini è ricordata come studiosa della sindrome di Stendhal, la prima a codificare fin dal 1977 l’esistenza di quello scompenso psicosomatico che provoca tachicardia, capogiri e allucinazione nei soggetti più sensibili al fascino dell’arte. In realtà Graziella Magherini è stata molto di più che una psichiatra. è ricordata anche come donna di raffinata cultura con un attento sguardo rivolto al sociale, ma anche esperta in storia dell’arte, in particolare dell’opera di Michelangelo. Nata a Firenze il 23 agosto 1927, si laureò in medicina e chirurgia all’Università di Firenze a 24 anni, specializzandosi presso la Clinica Psichiatrica Universitaria quattro anni dopo. A 33 anni ottenne la libera docenza. Nel 1951, pochi mesi dopo la laurea, divenne assistente all’ospedale psichiatrico di San Salvi e nel 1959 primario dello stesso ospedale. Ricoprì la cattedra di Psichiatria Psicodinamica e fu tra i fondatori dell’International Association for Art and Psychology, che diresse a lungo. Le nostre condoglianze alla famiglia e ai collaboratori.