La persona sana ed equilibrata mantiene un piede nella realtà e l’altro in una dimensione ideale “sacra”. Tuttavia essere sani ed equilibrati non è tanto facile; ecco perché gli esseri umani non sono mai riusciti ad astenersi dalle guerre, un aspetto importante delle quali è la reciproca intolleranza tra “fedi” diverse. Ecco anche perché i suicidi individuali e/o collettivi, dovuti alla perdita di ogni fede, sono tutt’altro che rari. Sia il conflitto con altri, sia quello con sé stessi sono risultati finora ineliminabili. Un filo di speranza ce la offrono i veri Scienziati ed i veri Poeti, ma dovremmo deciderci a distinguerli dagli impostori e ad ascoltarli. Un Poeta, Goethe, ed un Medico e uomo di Scienza, Freud, si sono occupati di questo tema, rispettivamente in una ballata ed in un saggio che portano lo stesso titolo: “Grande è la Diana efesia”. Cerchiamo di ascoltarli.
Freud, attingendo dagli Atti degli Apostoli, XIX, c’introduce all’argomento:
“L’antica città greca di Efeso nell’Asia Minore (…) era nota nell’antichità soprattutto per il suo grandioso tempio dedicato ad Artemide (Diana). Emigranti ionici s’impadronirono, forse nell’ottavo secolo, della città, abitata da molto tempo da popolazioni asiatiche, rinvennero in essa il culto di un’antica divinità matriarcale che forse portava il nome di Oupis e la identificarono con la loro divinità patria, Artemide (…) nel corso dei secoli sorsero nello stesso luogo parecchi templi in onore della divinità (…) Con il suo andirivieni di sacerdoti, maghi, pellegrini, con le sue botteghe in cui si offrivano in vendita amuleti, ricordi, oggetti votivi… Efeso poteva paragonarsi a una moderna Lourdes.
Intorno all’anno 54 dell’era volgare l’apostolo Paolo giunse a Efeso (…) Egli predicò, fece miracoli e trovò molti seguaci fra il popolo. Perseguitato e accusato dagli Ebrei, si staccò da essi e fondò una comunità cristiana indipendente. Col divulgarsi della sua dottrina, il mestiere degli orafi che avevano fabbricato i ricordi del luogo santo, le piccole riproduzioni di Artemide e del suo tempio destinati a credenti e pellegrini, cominciò a decadere. Paolo era un ebreo troppo ostinato per lasciare coesistere accanto alla sua divinità quella antica sotto altro nome, per ribattezzarla, come avevano fatto i conquistatori ionici con la dea Oupis. A questo punto i pii artigiani e artisti della città cominciarono a trepidare per la loro dea, nonché per il proprio guadagno. Si ribellarono e al grido reiterato di “Grande è la Diana efesia” accorsero lungo la via principale, chiamata Arcadiana, fino al teatro, dove il loro capo Demetrio tenne un discorso incendiario contro gli Ebrei e contro Paolo. A fatica le autorità riuscirono ad acquetare il tumulto con l’assicurazione che la maestà della grande dea era intangibile e superiore a qualsiasi attacco…”
Goethe. utilizzando nella sua ballata gli stessi Atti degli Apostoli, ne inverte le parti, e difende la tesi di Demetrio e dei suoi. Il Poeta, infatti, si definiva “politeista” e “panteista”, e quindi gli riusciva facile identificarsi con quel personaggio pagano.
All’inizio della ballata, Goethe illustra come il culto della dea alimentò il talento artistico di Demetrio. Alla sua fede religiosa ed alla propria attività artigianale egli aveva dedicato interamente la sua vita. Tuttavia:
Da hört er denn auf einmal laut
Eines Gassenvolkes Windesbraut,
Als gäbs einen Gott so im Gehirn,
Da! hinter des Menschen alberner Stirn,
Der sei viel herrlicher als das Wesen.
An dem wir die Breite der Gottheit lesen.
[E d’improvviso sente l’alto vociare / di un turbine di gente della strada: / così ci sarebbe un Dio nel cervello, / lì, dietro la stupida fronte dell’uomo / che sarebbe più sovrano dell’Essere / di cui leggiamo la grandezza divina!]
Goethe/Demetrio, per la sua particolare fede religiosa, si ribella all’idea che possa esserci un Dio, unico e “senza forma” (ossia privo di qualità percettibili). Secondo lui si tratta di un semplice concetto, che potrebbe risiedere soltanto nel cervello “dietro la stupida fronte dell’uomo”, anziché nei molteplici aspetti dell’intero universo, come lui crede.
Il protagonista della ballata resiste agli attacchi alla sua fede, ed anzi intensifica, e con maggior fervore, la propria attività d’artigiano con la quale celebra la sua dea. In quanto Artista, il culto della Bellezza si affianca in lui a quello per Diana; ed egli, rifugiandosi nella sua attività, riesce a dar meno peso al conflitto religioso, e persino a convivere pacificamente con chi lo contrasta:
Wills aber einer anders halten,
So nach Belieben schalten;
Nur soll er nicht das Handwerk schänden,
Sonst wird er schlecht und schmählich enden.
[Ma se qualcuno la pensa diversamente / si regoli pure a suo piacere; / solo non profani il mio mestiere, / altrimenti finirà male, nella vergogna.]
Quel che per Goethe/Demetrio è “sacro” (ciò che, essendo di valore supremo e indiscutibile, non deve essere profanato), al pari della Dea, è la sua Arte. Essa costituisce il modo in cui chi ne fruisce può entrare in contatto con il suo mondo interno avvertendo, nel contempo, un sentimento di Bellezza, vale a dire la sensazione di una ritrovata armonia interiore.
C’è, qui, tutta la saggezza dell’Artista di ogni tempo e di ogni luogo: ovunque e in ogni epoca, la persona sensibile, qualunque sia la sua fede religiosa, ha saputo apprezzare la produzione artistica. Ciò dipende da qualcosa che accomuna tutti gli esseri umani, nel fondo del loro animo. Tutti noi, infatti, attraversiamo un unico ciclo biologico: si viene concepiti, si nasce, si cresce, si realizza qualcosa come adulti, s’invecchia e si muore. Ad ogni tappa corrisponde un’esperienza di separazione e di perdita, solo in parte compensata dalle acquisizioni della fase seguente. Si affievolisce, e diviene sempre più lontana nel tempo, la grandiosità legata al “sentimento oceanico” che caratterizza l’esistenza nel ventre materno e i primi tempi dopo la nascita. A recuperarla (nei limiti del possibile) provvedono la Religione e l’Arte. Quest’ultima (al di là delle diverse forme espressive e dei differenti linguaggi) permette d’entrare in contatto con quegli aspetti del mondo interno che, appunto legati ai problemi esistenziali che il ciclo biologico comporta, non sono influenzati da fattori storici e culturali. L’Artista, perciò, può porsi al di fuori e al di sopra di ogni conflitto religioso o ideologico.
Chiunque, per la sua fede fanatica, manchi di rispetto al mestiere dell’Artista, commette una profanazione; “finirà male e nella vergogna”, ossia si troverà nella condizione opposta a quella che la fede religiosa promette. Il suo fanatismo, che come tale sopprime la capacità di comprensione empatica dei propri simili, può essere sconfitto da un altro fanatismo. Ciò, in effetti, avvenne con la conquista di Efeso da parte dei Musulmani. Oppure, peggio, può succedere che le devastazioni e i massacri causati dalle guerre di religione inducano qualcuno a perdere ogni tipo di fede.
Un altro modo per porsi al di fuori e al di sopra dei conflitti religiosi ed ideologici è quello adottato da Freud. In quanto uomo di Scienza, egli affrontò i fatti di Efeso da un punto di vista laico.
Qui occorre aprire una parentesi riguardo ai rapporti fra sistema di pensiero religioso e pensiero laico. La comprensione empatica di un fenomeno della vita interiore, quale può essere una fede religiosa, implica la necessità di considerarlo sia “dall’interno”, ossia dal punto di vista di chi lo vive, sia “dall’esterno”, cioè nella prospettiva di chi, per spiegare il suddetto fenomeno (ossia i suoi rapporti col mondo reale), mantiene un certo distacco dall’oggetto della sua indagine. È, quest’ultima, la posizione dello “osservatore”, distinta ma non scissa da quella dello “attore” e co-protagonista dell’esperienza vissuta. Solo in questo modo il pensiero laico può evitare d’essere riduttivo e dissacrante, perdendo di vista un aspetto essenziale dell’esperienza mistica. Freud, nelle vicende che opponevano Demetrio a Paolo e a Giovanni, nell’opinione di chi scrive riuscì a comprendere empaticamente tutti costoro, ponendosi così al di sopra dei contendenti.
Freud ci narra che, dopo qualche tempo, a Paolo subentrò Giovanni l’Evangelista; egli introdusse in Efeso il culto di una “nuova divinità materna dei cristiani”: la Madonna. Fu così possibile a Giovanni preservare il culto di una “dea madre” semplicemente cambiandole il nome: non più Diana, ma Maria. “La città aveva di nuovo la sua grande dea e, a parte il nome, poco era mutato (…) la grande dea di Efeso non rinunciò al suo diritto (…) ai giorni nostri è apparsa come Santa Vergine a una pia ragazza tedesca, Katharina Emmerich di Dulmen, descrivendole il suo viaggio a Efeso, la disposizione degli oggetti nella casa che colà abitava [secondo la tradizione, la Madonna si era trasferita nella città] e nella quale morì, la forma del suo letto, e così via. E la casa e il letto sono stati realmente trovati così come la Vergine li ha descritti, e sono ancora una volta meta di pellegrinaggio dei fedeli”
A Freud, dichiaratamente ateo, fu possibile mantenere distacco ed equidistanza nei confronti del conflitto che opponeva Demetrio a Paolo, paganesimo a cristianesimo. Tuttavia, siamo sicuri che il padre della psicoanalisi fosse fino in fondo ateo, ossia che ritenesse che nulla di “sacro” potesse esistere? Ci sono diverse ragioni per escluderlo. Al fondo delle diverse concezioni religiose qui descritte, egli seppe vedere una comune venerazione per l’imago materna idealizzata, ed era un “culto” che egli condivideva. Per lungo tempo, Freud idealizzò la figura materna, al punto che, in un primo momento, sostenne che il rapporto fra madre e figlio maschio fosse l’unico privo di ambivalenza. Soltanto successivamente, sulla base delle evidenze cliniche, accettò “obtorto collo” il suggerimento di Abraham che la relazione con la madre arcaica, oltre che di amore, potesse essere fonte di angosce persecutorie.
Oltre che per la figura materna idealizzata, Freud nutriva un sentimento di “venerazione” quasi religiosa per la Bellezza: oltre che essere un amatore e collezionista di opere d’Arte, egli attinse a piene mani dai suggerimenti che i grandi Artisti (da Sofocle, a Shakespeare, a Dostoevskij) offrivano al medico della mente. In questo modo egli superò l’assurda scissione, che tuttora qualcuno mantiene, fra discipline umanistiche e scientifiche, fra Arte e Scienza. Anche riguardo agli aspetti persecutori del rapporto con la madre arcaica, Abraham e Freud accolsero i suggerimenti di un grande Artista: il pittore Giovanni Segantini.
Infine, nei confronti della razionalità e della capacità di comprensione empatica, Freud mantenne una ferrea fiducia, che potremmo chiamare “fede”: non si lasciò mai scoraggiare da tutti i fallimenti cui tali facoltà vanno incontro, né da un loro uso improprio e perverso che altri ne fanno. L’uso sistematico dell’empatia, sia nell’attività clinica, sia nella ricerca, rappresenta, secondo Kohut, la più importante innovazione introdotta da Freud. Ciò, com’è evidente nel saggio che ho citato, consentì, a lui non credente, di considerare con comprensione e rispetto chi ha fede religiosa: in fondo anche a lui, sebbene rivolto ad oggetti diversi, non era estraneo il sentimento del “sacro”.
Da un punto di vista scientifico-laico il sentimento del “sacro” (ossia di ciò che è sentito come dotato di valore supremo e, indiscutibile) è traducibile come frutto di un investimento narcisistico idealizzante. Come tutti gli affetti legati al narcisismo, implica l’attribuzione di caratteristiche di “unicità” e “ineguagliabilità” a ciò che ne è l’oggetto. Un esempio molto semplice: al bambino nella fase di “luna di miele” edipica risulta insopportabile che qualcuno insinui che esistano mamme buone e belle come la sua o più della sua. Così è per le divinità religiose e per le concezioni ideologiche. Finché prevale tale forma primitiva di affettività, i conflitti tra religioni o tra ideologie sono inevitabili; e sono fra i conflitti più feroci. Le guerre, è vero, nascono fondamentalmente da motivazioni di ordine economico. Tuttavia il soldato in trincea, che non ha ricchezze da guadagnare nel rischiare la propria vita, lo fa per combattere una “fede” diversa dalla sua; e la propaganda serve appunto a trasmettergli tali sentimenti.
Solo il contatto con le realtà interiori che accomunano gli esseri umani può impedire all’aspirazione al “sacro” di degenerare; ed il Poeta e lo Scienziato, sia pure in diversi modi, sono i principali portavoce di tali realtà. Il “piede” nella realtà permette, quindi, di equilibrare quello posto in una dimensione “sacra”. Tuttavia è altrettanto vero che solo il sacro permette di conferire equilibrio al sentimento e alla percezione del reale.
L’investimento narcisistico idealizzante (la tendenza ad attribuire un carattere “sacro” a qualcosa) è ciò che dà vita alle nostre convinzioni, alle nostre attività, alle nostre facoltà mentali. Solo amando tutto questo così come fin dall’origine della nostra esistenza, amammo noi stessi, possiamo rendere vivibile la vita. Persino l’ateo materialista, insensibile alle esigenze interiori, può mantenere un suo precario equilibrio “sacralizzando” (suo malgrado e senza rendersene conto) il proprio realismo e la propria “razionalità”, ammesso e non concesso che sia vera razionalità quella che esclude dalla sua indagine il mondo interno degli esseri umani. Tuttavia costui rivela tutta la propria fragilità nel momento in cui il suo atteggiamento disincantato e “dissacrante” si spinge fino a coinvolgere tutto e tutti. Molta patologia mentale deriva proprio da questo.
Riporto qui quanto scrivevo nel mio libro “Un Poeta per il clinico” a proposito della poesia di Baudelaire Châtiment de l’orgueil. Si tratta di uno degli innumerevoli esempi di come la Poesia abbia illustrato la punizione della “ubris”, ossia del peccato di chi, troppo orgoglioso del suo “realismo” e della sua “razionalità”, si spinge a dissacrare l’Oggetto arcaico ideale, progenitore di ogni altro oggetto di venerazione.
En ces temps merveilleux où la Théologie
Fleurit avec le plus de sève et d’énergie,
On raconte qu’un jour un docteur des plus grands,
Après avoir forcé les cœurs indifférents ;
Les avoir remués dans leurs profondeurs noires ;
Après avoir franchi vers les célestes gloires
Des chemins singuliers à lui-même inconnus,
Où les purs Esprits seuls peut-être étaient venus,
Comme un homme monté trop haut, pris de panique,
S’écria, transporté d’un orgueil satanique :
« Jésus, petit Jésus ! Je t’ai poussé bien haut !
Mais, si j’avais voulu t’attaquer au défaut
De l’armure, ta honte égalerait ta gloire,
Et tu ne serais plus qu’un fœtus dérisoire »
Immédiatement sa raison s’en alla.
L’éclat de ce soleil d’un crêpe se voila ;
Tout le chaos roula dans cette intelligence,
Temple autrefois vivant, plein d’ordre et d’opulence,
Sous le plafond duquel tant de pompe avait lui.
Le silence et la nuit s’installèrent en lui,
Comme dans un caveau dont la clef est perdue.
Dès lors il fut semblable aux bêtes de la rue,
Et, quand il s’en allait sans rien voir, à travers
Les champs, sans distinguer les étés des hivers,
Sale, inutile et laid comme une chose usée,
Il faisait des enfants la joie et la risée.
[In quei tempi meravigliosi in cui la Teologia / fiorì con più linfa e vigore / si racconta che un giorno uno dei più grandi dottori / dopo aver forzato i cuori indifferenti, / averli commossi nelle loro nere profondità, / dopo aver attraversato verso le glorie celesti / strani percorsi a lui stesso ignoti / cui erano giunti, forse, i soli spiriti puri, / come un uomo salito troppo in alto, preso dal panico, / gridò trasportato da un orgoglio satanico: / Gesù, piccolo Gesù, io ti ho spinto troppo in alto! / Ma se avessi voluto attaccarti nei punti più deboli, / della corazza, la tua vergogna uguaglierebbe la tua gloria, / e tu non saresti più che un feto risibile!” // Immediatamente perse la ragione, / lo sfavillio di quel sole si coprì di un velo, / il caos s’impadronì di quell’intelligenza, / tempio una volta pieno di vita, d’ordine e di ricchezza, / sotto i cui soffitti aveva scintillato tanta pompa. / Il silenzio e la notte s’installarono in lui, / come in una cantina di cui s’è persa la chiave. / Da allora egli fu simile alle bestie della strada, e quando andava, senza nulla vedere, attraverso / i campi, senza più distinguere le estati dagli inverni, / sudicio, inutile, brutto come una cosa usata, / era motivo di gioia e di scherno dei ragazzi.]
Il “peccato d’orgoglio” del dotto teologo della poesia consiste nell’aver considerato come oggetto del suo giudizio ed aver ricondotto a presunte dimensioni “realistiche” e materiali ciò che è al di là della realtà sensibile e delle possibilità ordinarie della conoscenza: d’aver varcato il confine fra la materialità delle cose, conoscibile senza problemi, e ciò che è “sacro” e non può essere violato neppure dalla ragione (“Or tu chi se’ che vuo’ sedere a scranna / per giudicar di lungi mille miglia / con la veduta corta d’una spanna?” [Paradiso, canto XIX, vv. 79 – 81]). Si tratta di quella realtà interiore che, per il Cristiano credente, è Gesù (Dio Padre e, nello stesso tempo, essere umano e figlio) e che, per la psicologia del profondo, è un vissuto riconducibile all’oggetto arcaico idealizzato (il genitore ideale interiorizzato) fuso con il sé del soggetto, e di ogni soggetto, in statu nascendi. Questo nucleo centrale della mente, fonte prima del valore di tutto ciò che caratterizza l’esistenza umana (innanzi tutto, la conoscenza e la razionalità) è dissacrata e ridotta, nell’opinione di questo teologo, a quello che, in epoca remota, fu il substrato biologico e materiale del frutto dell’Immacolata Concezione: un “piccolo”, insignificante, e “ridicolo feto”. La ragione, a seguito di tale attacco arrogante, distrugge il proprio fondamento emotivo (ossia la sorgente prima di ogni investimento narcisistico idealizzante, compreso quello rivolto alla ragione stessa) e provoca il suo stesso crollo.
Tutto questo, nel meno peggiore dei casi, può tradursi soltanto nell’istupidimento e nell’ottusità dell’ateo materialista posto di fronte alla vita interiore. Nei casi più gravi, può produrre una “pseudo-demenza su base depressiva” (talora anticamera di una vera e propria demenza irreversibile), oppure il suicidio; e questo sia a livello individuale, sia collettivo.
Quel che è preoccupante è che la dimensione del “sacro” pare scomparire dalla cultura occidentale: i sinceri credenti sono sempre più rari, la sensibilità per la Bellezza si sta pervertendo, la ricerca della Verità si sta corrompendo e prostituendo grazie al frequente conflitto d’interessi di chi fa ricerca scientifica. Se non ci decidiamo ad individuare i veri Poeti ed i veri Scienziati superstiti ed a prestar loro ascolto, è inevitabile che ci attenda un brutto domani. Rischiamo di finire “nel male e nella vergogna”, come previsto dal Demetrio di Goethe.
BIBLIOGRAFIA
– Abraham Hilda C. (1974) Karl Abraham: an unfinished biography (Int. Rev. Psycho-Anal. Vol. 1, pag. 17)
– Abraham Karl (1911) Giovanni Segantini: un saggio psicoanalitico (Abraham Opere Vol. 2 – Boringhieri 1975)
– Baudelaire Charles (1861) I fiori del male (Garzanti 1981)
– Freud Sigmund (1911) Grande è la Diana efesia (O.S.F. Vol. 6 – Boringhieri – 1974)
– Goethe Johann Wolfgang (1815) Ballate (Garzanti 1979)
– Kohut Heinz (1978) Self psychology and the sciences of man (The search for the self. Selected writings of Heinz Kohut 1978 – 1981 Vol. 3 (International Universities Press – 1990)
– Kohut Heinz (1981) On Empathy [in: The search for the self. Selected writings of Heinz Kohut 1978 – 1981 Vol. 4 (International Universities Press – 1991)]
– Nanni Sabino (2022) Un Poeta per il clinico (Susil 2022)
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