La dimensione irrazionale del problema educativo
di Andrea Sola
Il malessere dell’infanzia acquista oggi una rilevanza nuova i cui effetti stanno minando la stabilità stessa della vita sociale; le nuove generazioni attuali mostrano di non essere più in grado, se non a costo di enormi sforzi, di trovare una collocazione accettabile all’interno del mondo adulto. Decenni di educazione ‘progressista’ nel mondo industrializzato stanno mostrando in maniera drammatica come il disagio psichico della componente giovane dell’umanità si sia ulteriormente deteriorato e non si sia nemmeno riusciti a ad evitare una regressione dal punto di vista della assimilazione dei valori più elementari della convivenza civile; oggi infatti dobbiamo riconoscere come stiano riemergendo prepotentemente proprio le ideologie più retrive, basate sull’intolleranza e la difesa dell’interesse particolare, che si credeva illusoriamente di aver definitivamente sconfitto. Ciò è vero in modo particolare proprio se guardiamo agli strati più deboli della popolazione, quelli a cui teoricamente la democratizzazione dell’educazione avrebbe voluto rivolgersi per riscattarle dalla loro storica condizione di ignoranza e dipendenza dalle forme più gravi di prevaricazione economica e culturale (di cui il suo sfruttamento come ‘soggetto di consumo’ da parte del mercato globalizzato è la manifestazione più eclatante).
E’ per tutte queste ragioni che credo sia necessario chiederci quali siano le ragioni profonde del permanere di questa sopraffazione.
La dimensione irrazionale del problema educativo e più in generale del rapporto adulto con l’infanzia è secondo me il grande aspetto rimosso della questione giovanile.
Bisogna riconoscere che le attuali pratiche educative correnti non riescono se non a costo di enormi sforzi a mettere in pratica soluzioni che migliorino realmente lo stato di disagio psichico in cui essa versa; e ciò pur essendo l’attuale condizione dell’infanzia nel corso del Novecento migliorata moltissimo sul piano delle sue condizioni materiali (perlomeno nei paesi e nei contesti sociali più sviluppati) e nonostante si siano fatti degli enormi progressi sul piano teorico nella conoscenza della natura dei conflitti infantili e delle loro ripercussioni sulla vita adulta.
Il permanere di questa interiorizzazione dei modelli tradizionali è evidente in una serie infinita di condotte, atteggiamenti, abitudini, pratiche correnti che caratterizzano i rapporti quotidiani con l’infanzia siano famiglia che nella scuola e in generale nelle relazioni educative.
Vediamo così come gli insegnanti e i genitori non riescano se non a costo di grandi sforzi, che solo pochi sono in grado di sostenere e mettere in pratica, ad assumere un atteggiamento di reale rispetto dei bisogni dell’infanzia, mentre è nettamente prevalente un atteggiamento che riproduce gli schemi e i modelli di comportamento con cui loro stessi sono stati educati. Analogamente per quanto riguarda le linee-guida enunciate delle istituzioni educative si vede come vi sia una netta discrepanza tra i valori che dichiarano di voler perseguire e le pratiche concrete che effettivamente ne seguono.
E’ certamente vero che il sistema sociale ed economico prevalente, basandosi sui valori del neo-liberismo, della concorrenza e dell’isolamento reciproco, ha una forza di condizionamento molto profonda anche sul piano educativo; uno spirito del tempo così dominato dalla paura del cambiamento, dalla incapacità di sviluppare forme d collaborazione efficace, porta inevitabilmente ad essere insensibili di fronte alle spinte all’innovazione e alla ricerca del nuovo che l’infanzia e in genere tutti gli individui in crescita sono portatori. Lo stato di perenne frustrazione con cui si è costretti ad affrontare le difficoltà e i compiti quotidiani, la assenza di prospettive anche minimamente rassicuranti sul futuro, la disposizione perennemente aggressiva, priva di rispetto reciproco con cui affrontiamo i problemi e ci confrontiamo con il prossimo sono tutti fattori che compromettono pesantemente una relazione serena e proficua con i giovani.
E tuttavia questi aspetti non sono sufficienti a spiegare la resistenza diffusa ad adottare un atteggiamento nuovo nei fronti della componente giovanile della società: assistiamo al continuo riapparire di schemi relazionali assimilati nell’infanzia (e confermati dalle dinamiche socialmente dominati) anche da parte di chi ha maturato uno sguardo critico sull’attuale deriva autoritaria dell’apparato sociale e dei condizionamenti negativi indotti dal sistema economico.
La ragione ancora non chiarita di questa contraddizione tra assunti teorici (le intenzionalità dichiarate) e pratiche effettive va ricercata affrontando la dimensione inconsapevole delle condotte adulte nei confronti dell’infanzia che sono invece sempre presenti come una resistenza inconscia a rinunciare ai modelli educativi ricevuti. Ignorare o sottovalutare questo dimensione del problema è analogo a quello di non voler tener conto delle conquiste della psicoanalisi nell’analisi delle condotte umane. Ciononostante è pur necessario non stancarsi di far emergere il fatto che si tratti per l’appunto di una ‘rimozione’…
La tesi di fondo di questo studio è proprio questa: che sia ancora in atto un condizionamento di natura emotiva (su cui non desideriamo in fondo far luce) che mostra come siano tuttora ancora operanti nascostamente molte delle idee-cardine della vecchia concezione dell’infanzia che si credevano superate.
Per superare questo genere di condizionamento è dunque necessario analizzare, oltre che le sue cause per così dire ’strutturali’, anche i presupposti, che agiscono a livello inconsapevole, della idea tradizionale di educazione e della sua presunta funzione salvifica.
Tale modello è molto difficile (e sgradevole) da affrontare perché coinvolge la natura del potere che gli adulti esercitano sull’infanzia. E’ infatti necessario operare una critica della sua natura oppressiva e quindi mettere in discussione tutte le implicazioni che tale modello di potere porta con se sul piano delle condotte irriflesse.
Per fare ciò è innanzitutto necessario che ciascuno affronti con uno sguardo critico la propria infanzia e il ruolo dei meccanismi educativi adottati dal proprio ambiente di origine.
Senza una preliminare autoanalisi è impossibile elaborare una critica realmente costruttiva degli attuali sistemi educativi e nemmeno che si possa modificare nel profondo il proprio atteggiamento nei confronti dei propri figli o allievi. Senza una revisione critica del proprio vissuto è inevitabile che si teda a riprodurre i medesimi schemi di comportamento subiti e si tenda a riprodurli anche se in maniere spesso inconsapevole. A questo sguardo critico della propria storia individuale si deve affiancare anche un riflessione della natura storicamente determinata della idea moderna di educazione come si è andata formando nel corso dei secoli recenti.
Per quanto riguarda la revisione delle proprie esperienze di figli e di studenti è necessario innanzitutto riconoscere la componente di idealizzazione di cui si sono fatte oggetto le proprie figure genitoriali ed educative e il quoziente di privazioni, umiliazioni e misconoscimento dei propri bisogni che si sono subiti in prima persona e quelle subite dalla maggior parte dei propri coetanei durante il periodo della crescita.
La riproduzione inconsapevole dei modelli vissuti deve innanzitutto essere analizzata mettendo in discussione l’idea, ancora profondamente radicata in ciascuno, che ciò che un adulto ritiene giusto o positivo in via di principio sia sufficiente a giustificare la bontà dei suoi comportamenti consapevoli. Si è infatti portati a credere che un genitore che è stato convinto di aver voluto bene ai propri figli sia perciò stesso da considerare un buon genitore, a prescindere dagli effetti concreti dei suoi comportamenti. Lo stesso può valere per un ‘buon maestro’, cioè un maestro che abbia le migliori intenzioni sulla bontà del proprio operato. Senza una preliminare presa di distanze da questo pregiudizio, che è molto più diffuso di quanto si creda comunemente,
il modello educativo tradizionale non potrà essere realmente superato e qualsiasi acquisizione teorica che lo critichi potrà trovare una sua coerente applicazione nelle condotte concretamente messe in atto nelle relazioni con l’infanzia.
Se si vogliono sviluppare delle pratiche educative nuove bisogna essere in grado di saper riconoscere come l’educazione ricevuta si sia sempre basata sul predomino di una disposizione emotiva di natura oppressiva nei confronti dell’infanzia che, anche se oggi viene considerata dalla parte più consapevole degli educatori superata a livello della consapevolezza teorica, è tuttora in atto nella maggior parte delle attitudini correnti.
Si tratta di una sensibilità che oggi dobbiamo riconoscere come dominata da un atavica disposizione di natura adultocentrica che lede il diritto dell’infanzia ad essere rispettata nei suoi bisogni fondamentali e la vede come una categoria inferiore che si considera in fondo giustificato mantenere in una posizione di inferiorità ‘ontologica’. Fintanto che i bisogni dell’infanzia non verranno riconosciuti come legittimi in quanto tali e la difesa dei ‘diritti dell’infanzia’ verrà considerata come una concessione da elargire paternalisticamente a degli esseri inferiori, allora tutti i comportamenti che di fatto si basano su una prospettiva adultocentrica continueranno a risorgere nelle condotte correnti; si continueranno così a sottovalutare le conseguenze nefaste di tale mentalità non solo per il futuro delle generazioni in crescita ma per tutto l’assetto sociale.
E’ questa eredità del passato che è ancora operante che va compresa in tutti i suoi aspetti e che costituisce il fondamento dell’atteggiamento educativo tradizionale in cui tutti siamo cresciuti.
A questo aspetto del problema è dedicato il libro “Infanzia e potere, origine conseguenze di una oppressione”.
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