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La gestione clinica dei preadolescenti transgender come rito di passaggio

29 Apr 24

A cura di ct

– È noto che negli ultimi anni la domanda da parte dei preadolescenti con disforia di genere di essere aiutati, insieme alle loro famiglie, ad affrontare adeguatamente i vari problemi di carattere individuale e sociale, sia esplosa a tal punto da spingere le istituzioni sanitarie ed i Governi a statuire una serie di nuove procedure da seguire di fronte a questa richiesta crescente, che non poteva essere affrontata con i vecchi metodi semiclandestini (e classisti).
– È noto, altresì, che un elemento critico presente in queste procedure sia l’uso dei cosiddetti farmaci “Puberty blocher” da parte di soggetti in età evolutiva, esposti dall’assunzione di questi farmaci – come dice la parola stessa – a bloccare per sempre, e senza alcuna probabilità di recupero, elementi fondamentali dello sviluppo psicosessuale, quali ‘l’appagamento erotico’.
– E proprio su questo tema più di un anno fa volle esprimersi Sarantis Thanopulos, a nome dell’esecutivo della SPI, in una lettera al Ministro della Sanità esprimendo ‘grande preoccupazione per l’uso di farmaci finalizzato a produrre un arresto dello sviluppo puberale in ragazzi di entrambi i sessi a cui è stata diagnosticata una “disforia di genere”, cioè il non riconoscersi nel proprio sesso biologico’[1].
–  Quell’allarme faceva seguito ad un insieme di controversi avvenimenti che hanno coinvolto negli ultimi anni vari specialisti del mondo della sanità, fra i quali gli psicoterapeuti, chiamati in causa per definire percorsi di cura, ma anche per attestare l’autenticità del desiderio disforico nei singoli  soggetti preadolescenti che, insieme alle loro famiglie, in molti stati ormai possono rivolgersi a queste neonate strutture. Il più eclatante dei quali è quello della “ Gender Identity Development Service” della prestigiosa Clinica Thavistock , che è stata chiusa dalle autorità britanniche per ‘il fondato sospetto che alcuni pazienti siano stati indirizzati troppo sbrigativamente a un percorso di transizione di genere senza esplorare adeguatamente altre soluzioni terapeutiche’[2].
– Ma, al di là di questo elemento ciò che colpisce sia nel caso della Thavistock, sia dai dati italiani, è il fenomeno dell’esplosione delle richieste: alla Thavistock circa cinquemila accessi negli ultimi due anni, contro i 250 del decennio precedente. E qui da noi – sia in base ad una maggiore propensione al coming-out, sia per l’afflusso presso “i centri specializzati per la gestione clinica delle persone transgender” (Bologna, Firenze, Torino, Milano, Napoli, Roma e Cagliari) –  si stima un aumento dello 0,5-1% dei soggetti disforici rispetto alla popolazione generale (pari a circa 500.000 persone), contro una diffusione dello 0,002-0,005% negli anni ’80. Esplosione che sembra circoscritta alla disforia di genere in preadolescenza. Mentre l’altro momento topico in cui in età evolutiva si manifesta la disforia di genere, quello della prima infanzia, pare essere rimasto percentualmente immutato nel tempo[3].
– In Italia tutti questi centri specializzati operano in base ad un “modello medico-psichiatrico di transizione”, basato sulla diagnosi di “disforia di Genere” (DG). Modello che prevede, sia in fase diagnostica, che sul piano della cura, un approccio interdisciplinare fra psichiatri, psicologi, endocrinologi, chirurghi, che a loro volta si avvalgono di uno stuolo di collaboratori; e cioè: endocrinologi, ginecologi, urologi, chirurgi plastici, foniatri, logopedisti, radiologi, neuropsichiatri infantili, bioeticisti, dermatologi.
In Italia – come affermano A, Crapanzano, F. Carpiniello e F. Pinna – “soddisfare i criteri per questa diagnosi rappresenta per le persone transgender l’unico canale di accesso a un percorso di transizione coperto … dal Sistema Sanitario Nazionale. … – La procedura terapeutica si struttura in: un’accurata valutazione e diagnosi, un’esperienza di vita reale, preferibilmente accompagnata da un percorso di psicoterapia, laddove la persona vive nel ruolo di genere desiderato, una terapia ormonale (mascolinizzante o femminilizzante) e una terapia chirurgica di riassegnazione chirurgica del sesso (RCS). La legge italiana prevede che, limitatamente alle persone con diagnosi di DG, tutti i presidi terapeutici utili nell’ambito del percorso di adeguamento dei caratteri sessuali primari e secondari siano a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN)[4].
– In età evolutiva questo “modello medico-psichiatrico di transizione” prevede l’attiva partecipazione dei genitori (o dei tutori) sia in fase diagnostica che terapeutica. Ed a mio avviso può essere visto come uno specifico processo di ritualizzazione di un passaggio da un ‘prima’ a un ‘dopo’, che da una parte vede nella posizione di neofiti non solo il preadolescente, ma anche i suoi genitori; e, dall’altra, come sacerdoti del passaggio[5] quell’insieme di professionisti cui accennavamo prima, operanti nei centri specializzati per la gestione clinica delle persone transgender. Ed è proprio su questo punto che vorrei avanzare alcune ipotesi.
– E’ noto il fatto che nelle spinte alla ritualizzazione di qualsiasi passaggio siano sempre implicite difese ‘ossessive’, volte ad allontanare da sé ed a razionalizzare le ansie e le angosce che prendono sia i neofiti, sia coloro che abitano già da tempo i luoghi in cui i neofiti stanno per entrare. I neofiti poiché sanno cosa stanno per lasciare alle propria spalle, ma non sanno cosa li attende alla fine della ‘transizione’. Coloro che abitano già da tempo quei luoghi poiché temono che l’arrivo dei neofiti confligga con ‘le regole’ sulle quali lì tradizionalmente si basa la convivenza sociale.
– Nelle società più semplici tutti gli abitanti del luogo partecipavano alle cerimonie rituali connesse al passaggio, assumendo in esse funzioni sacerdotali, che avevano il potere di attenuare le ansie e le angosce, e di legittimare l’ingresso dei neofiti in questi nuovi luoghi. Come è noto, però, da lungo tempo ormai questo non è più possibile; ed ogni luogo, ogni società si è dato un corpus speciale di ‘sacerdoti del passaggio’ che svolgono questa funzione in\vece dell’intero corpo sociale.
– Nel nostro caso la gestione clinica dei preadolescenti transgender sotto il mantello della sanità pubblica è l’attuale risposta che lo Stato italiano dà ai problemi posti dal loro apparire sulla scena pubblica, dopo aspre lotte fatte nei decenni scorsi che hanno portato anche alla derubricazione della disforia di genere dai quadri diagnostici della psichiatria. E l’insieme dei professionisti che operano su questo piano rappresentano i sacerdoti del passaggio che attestano la legittimità delle richieste sia degli adulti che dei minori disforici.
– Ovviamente questi particolari sacerdoti della transizione, se non vogliono ridursi ad uno sguardo anatomico, devono continuamente fare i conti con le ansie e le angosce che sorgono in loro dal rapporto con questa esigenza statale legittimante, ma anche con tutto ciò che si muove in loro, come clinici, ma soprattutto come soggetti, a partire dal rapporto con questi pazienti (che, non dimentichiamolo, comprendono anche i genitori di questi preadolescenti). È un po’ ciò che accade, in termini meno drammatici, in quei professionisti che devono attestare di fronte alla legge la capacità degli adottandi di accogliere un figlio adottivo.
– L’altro aspetto rilevante, e a mio avviso molto scivoloso, che si presenta su questo nuovo scenario è rappresentato dal fatto che il gruppo dei neofiti, con tutte le angosce legate ad un cambiamento sentito e desiderato, ma anch’esso pieno di ansie e di angosce, comprenda anche i genitori. Si tratta per essi di una posizione nuova e rovesciata rispetto a funzioni sacerdotali da essi svolti nel confronti dei propri figli fin dalla loro nascita. Questo forse è un elemento critico sul quale a mio avviso occorrerebbe soffermarsi quando ci si appresta a studiare lo stato di salute delle persone coinvolte nel passaggio. Poiché la rinuncia sia pure temporanea, all’esercizio di una funzione così importante, su una questione che, fra l’altro, può comportare cambiamenti corporei irreversibili sul corpo del loro figlio, può far nascere ‘poi’ sentimenti ed emozioni dolorosissime.
– Il fatto che oggi le funzioni sacerdotali svolte dai genitori e dalla scuola[6] durante i vari passaggi dei loro figli e dei loro discenti siano dagli uni e dall’altra misconosciute, per quanto oggettivamente esercitate, non ci esime di buttare a mare esperienze importantissime. Ed anzi dovrebbe spronarci a rendere edotti genitori e scuola che, in assenza di cerimonie pubbliche che sanciscano il passaggio – come dice Le Breton[7] – il soggetto che sta affrontando questo delicatissimo momento metta in piedi “cerimonie intime parallele” che attestino compensativamente il passaggio; e che molte di queste cerimonie (piercing, tatuaggio, sottoporre il proprio corpo a prove estreme, etc.) hanno a che fare col proprio corpo.


[3] Su quanto affermato in questo paragrafo cfr. il Quotidiano sanità on line: Persone transgender. Al via primo studio sul loro stato salute, che sottolinea le ragioni sanitarie e sociali che sono al fondo di questo studio: “Si tratta di una vera e propria rivoluzione per la gestione clinica delle persone transgender, e per migliorare la conoscenza dei loro problemi di salute evitando pericolosi trattamenti ‘fai-da-te’ o ritardi nell’inizio del trattamento ormonale, eppure è ancora tanta la strada da fare per diffondere nella popolazione una cultura di accoglienza e accettazione delle persone transgender che ancora oggi sono vittime di discriminazioni sessuali, economiche, difficoltà lavorative, violenze” ha sottolineato Rosario Pivonello, Responsabile del Centro di Andrologia e Medicina della Riproduzione e della Sessualità Maschile e Femminile (Fertisexcares) della Aou Federico II di Napoli, uno dei principali centri coinvolti nello studio. (ivi)
[4] Da A Crapanzano, F. Carpiniello, F. Pinna :“Approccio alla persona con disforia di genere: dal modello psichiatrico italiano al modello emergente basato sul consenso informato”, in:  https://www.rivistadipsichiatria.it/archivio/3594/articoli/35771/
[5] Cfr: Angelini L., Contesto scolastico e adolescenza oggi, in: “La scuola di Narciso. Analisi, note, progetti”, autoprodotto con Amazon, p.75 \95
[6] Cfr. Angelini L., Nuovi problemi e nuovi compiti della scuola a Reggio Emilia, oggi; in Angelini, Bertani, La psicologia clinica nei servizi pubblici. Cura, prevenzione, formazione, tirocinio, Autoprodotto con Amazon, 2023, pp.189\201
[7] Le Breton D., Signes d’identité. Tatouages, piercing et autres marques corporales, Mètailié, Paris, 2002

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