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La psicologia clinica nei servizi pubblici

6 Giu 23

A cura di ct

Leonardo (Dino) Angelini e Deliana Bertani

La psicologia clinica nei servizi pubblici – cura prevenzione, formazione, tirocinio” (reperibile su Amazon, sia in cartaceo che come e-book) è l’ultimo testo autoprodotto online sul quale abbiamo lavorato durante il lockdown, e che proponiamo alla vostra attenzione.
Qui sotto la premessa al testo.
Leonardo (Dino) Angelini e Deliana Bertani[1]

Siamo due psicologi clinici: abbiamo operato nei decenni scorsi a Reggio Emilia all’interno dei servizi pubblici. E certamente, nei suoi particolari, il testo che oggi proponiamo al lettore presenta degli elementi di specificità che sono peculiari del luogo e del tempo in cui abbiamo operato. Ciò non toglie, però, che in termini generali il nostro percorso sia avvenuto nello stesso solco tracciato in tutta Italia dai colleghi e dalle colleghe che nello stesso tempo abbiano avuto la ventura di operare, come noi, nel pubblico.
Oggi la pandemia ha fatto emergere coram populo l’importanza del lavoro dello psicologo clinico, e perfino il legislatore -pur fra mille titubanze- pare orientato a muoversi sul piano dell’istituzione della figura dello psicologo di base. Questa, a nostro avviso, può essere un’occasione unica per tornare a riflettere sulle funzioni svolte dallo psicologo clinico, e soprattutto sulle modalità più efficaci attraverso le quali queste funzioni oggi possono essere esercitate.
Proponiamo perciò la lettura di queste pagine come testimonianza di un lavoro, e di un insieme di riflessioni sul lavoro, a partire dalle quali pensiamo sia possibile trovare molti spunti utili per una discussione sui problemi odierni della clinica psicologica.
Il primo dei quali è sicuramente quello dell’inquadramento dello psicologo all’interno di ciò che rimane del welfare: se, ad esempio, sia più efficace sul piano della cura una sua collocazione all’interno di un luogo monoprofessionale (come avviene nel caso della ‘psicoterapia sociale’ dell’amico e collega Luigi D’Elia), oppure in una equipe poli-professionale. In quali contesi istituzionali inserire questa nuova figura. Come definire il rapporto fra lavoro di base e prestazioni di tipo specialistico, e quello fra pubblico e privato. Quali possano essere le nuove esigenze formative connesse all’esercizio di questa nuova funzione. Come coinvolgere l’Università su questo piano e su quello del tirocinio. E, più in generale, come attrezzarsi per affrontare criticamente i nuovi problemi che sicuramente interverranno allorquando -come speriamo- lo psicologo di base -o qualcosa che gli somigli- vedrà la luce.
È con questo spirito che presentiamo il nostro testo, a tutta la comunità professionale, ma anche agli operatori e alle operatrici delle professioni limitrofe, e a tutti coloro che hanno a cuore le sorti del welfare italiano.

Il testo si articola in sette sezioni all’interno delle quali, a partire dall’ancora recente storia della psicologia clinica nel ‘pubblico’ (Sezione 1), si cerca di mettere in evidenza le molteplici funzioni svolte dall’equipe poli-professionale in cui quegli psicologi erano attivamente inseriti (Sezione 2); i percorsi del lavoro che portò alla chiusura dei manicomi, all’inserimento e all’integrazione dei gravi e dei disabili in famiglia, a scuola, nel lavoro e nella società (Sezione 3); e quello che subito dopo portò alla nascita di un servizio universalistico e gratuito di psicoterapia e di counselling di cui furono -come dimostrano ricerche svolte proprio a Reggio Emilia- utenti appartenenti a ceti medio-bassi (Sezione 4); la partecipazione dello psicologo nella costruzione della rete di reti che si creò soprattutto laddove il welfare fu ‘dei servizi’, e non ‘dei sussidi’ (Sezione 5); e come, successivamente, con l’emergere del Terzo Settore, questo legame inter-istituzionale poté essere trasfuso all’interno del welfare mix (Sezione 6). Per finire con una sezione sui temi delle formazione, che a nostro avviso soffre del fatto che non è pensata per il lavoro nel ‘pubblico’; e su quelli del tirocinio che continua ad essere espunto dai percorsi formativi sia dell’Università, che delle scuole di specializzazione, e affidato a tutor improvvisati, che a loro volta non sono stati formati da alcuno (Sezione 7).Da ogni sezione pensiamo emergano alcuni nodi di fondo che, con alterne fortune, abbiamo tentato di sciogliere lungo il nostro cammino: – La disposizione a considerarci come operatori di frontiera, che cercano quotidianamente di dialogare con le varie alterità. – La consapevolezza che programmi, procedure, protocolli non sono eterni, ma sempre perfettibili, soprattutto in una società in rapidissimo cambiamento come la nostra. – La convivenza con uno sguardo analitico, che permetta di assumere sempre un atteggiamento critico nei confronti del sociale. – La dimensione territoriale e reticolare del nostro lavoro, che, anche quando si svolge solo nel nostro ambulatorio, non deve mai rinunciare a immaginarsi come un potenziale nodo di una rete della cura, inserita a sua volta in una rete di reti. – La orizzontalità dei rapporti all’interno di ogni gruppo di lavoro. – La coniugazione del lavoro di base con quello specialistico. – Ed infine la circolarità della formazione, vista sempre come uno scambio in cui c’è sempre da dare e da ricevere, ed i cui contenuti vanno strettamente legati a ciò che emerge dai punti di crisi del nostro lavoro.

Dedichiamo questo testo a Giovanni Jervis, nostro primo maestro, e a Velia Vallini, assessore alla Sanità della Provincia di Reggio Emilia, che lo chiamò a dirigere il CIM (Centro di Igiene Mentale) all’interno del quale abbiamo avuto l’onore di cominciare a lavorare come psicologi.
L.A. e D.B.
Reggio Emilia, 12.5.’23



[1] Psicologi dell’età evolutiva, uniti da oltre 50 anni sia nel lavoro che nella vita, pur provenendo dall’antipsichiatria, hanno avuto una formazione psicoanalitica. Hanno operato entrambi nel mitico Centro di Igiene Mentale di Reggio Emilia, guidato da Giovanni Jervis, e successivamente nell’Ausl, all’interno della quale Dino Angelini ha diretto il Consultorio Giovani; e Deliana Bertani il Settore di Psicologia clinica, sociale e di Comunità. Insieme hanno creato una struttura di volontariato giovanile – Gancio Originale – che nell’arco di 25 anni ha raccolto quasi dodicimila giovani reggiani, impegnandoli, sotto la guida di giovani tirocinanti psicologi, con i bambini ed i ragazzi a rischio, e con i migranti in età evolutiva appena arrivati a Reggio Emilia. E in un’opera di promozione di un lavoro di counselling psicologico gratuito condotto in scuola da psicologi, e rivolto agli studenti delle superiori, dei loro genitori e dei loro docenti.

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