Di fronte all’aspirante suicida, troviamo con difficoltà le parole che potrebbero riconciliarlo con la vita. Si rivela, di solito, sbagliato e controproducente contrapporre ai suoi argomenti parole che, ai suoi orecchi, suonerebbero come menzogna e vuota retorica. Se qualcosa di sano è rimasto in questo paziente, l’unica risposta efficace è una relazione terapeutica autentica, ossia un’esperienza affettiva correttiva che risvegli in lui l’Amore, la forza che ci lega a qualcuno dei nostri simili, a noi stessi ed alla vita.
Lo aveva ben presente Dostoevskij, nel romanzo nel romanzo dei Karamazov che narra le vicende del Grande Inquisitore e di Cristo ritornato sulla terra. Agli incontestabili argomenti del vecchio prelato, che vorrebbero dimostrare come sia impossibile una vita pienamente vissuta, ossia libera, Gesù risponde con un semplice gesto: un bacio, che rivela tutta la forza dell’Amore. Del tutto simile è quanto afferma Shakespeare, indirettamente nell’Amleto ed in modo esplicito nel Sonetto LXVI:
Tir’d with all these for restful death I cry,
As to behold Desert a beggar born,
And needy Nothing trimm’d in jollity,
And purest Faith unhappily forsworn,
And gilded Honour shamefully misplac’d,
And maiden Virtue rudely strumpeted,
And right Perfection wrongfully disgrac’d,
And Strength by limping sway disabled,
And Art made togue-tied by Authority,
And Folly (doctor-like) controlling Skill,
And simple Truth miscall’d Simplicity,
And captive Good attending Captain Ill.
Tir’d with all these, from these would I be gone,
Save that to die, I leave my love alone.
[Invoco la morte pacificatrice, stanco di tutte queste cose, / quando vedo il Merito nascere mendicante, / e la Nullità più misera ornata di allegria, / e la Fede più pura infelicemente abiurata, / e gli Onori dorati vergognosamente dati a chi non li merita, / e la Virtù verginale brutalmente prostituita, / e la virtuosa Perfezione ingiustamente discreditata, / e la Forza resa invalida da poteri inetti, / e l’Arte imbavagliata dall’autorità, / e la stoltezza (con aria dottorale) dettar legge all’Ingegno, / e l’autentica Verità intesa come ingenuità sciocca, / e il Bene, divenuto prigioniero, servire il male suo padrone. / Stanco di tutte queste cose, da esse avrei voluto andarmene, / se non fosse che, morendo, lascerei il mio amore da solo.]
Con spietato realismo, il Poeta elenca tutto ciò che, nella nostra esistenza, tenderebbe a sopprimere quel che renderebbe la nostra vita realmente e pienamente vivibile: il disconoscimento del Merito, costretto a chiedere conferma come fosse un’elemosina, la Fede (l’aspirazione al bene supremo) indotta ad abiurare, la Virtù verginale obbligata a prostituirsi, l’ideale di Perfezione Morale completamente screditato, la Forza genuina piegata da poteri inetti, l’Arte messa a tacere da autorità tiranniche, l’Ingegno umiliato dalla stupidità dei sedicenti “esperti”, la Sincerità considerata come sciocca ingenuità, il Bene sottomesso al male. Come Amleto che, sopraffatto da queste realtà miserabili e ostili, sarebbe tentato di togliersi la vita, così anche il Poeta. Tuttavia, mentre ciò che impedisce al Principe danese di suicidarsi è la paura (il terrore dell’ignoto, la minaccia di una punizione divina: “the canon against self-slaughter” che in Amleto si rivela inefficace), ciò che invece frena il Poeta è l’Amore. L’Eros è la potente pulsione di vita che, se rimane qualcosa di sano in noi, rappresenta l’estremo baluardo contro la tentazione di sopprimere noi stessi di fronte alle forze del mondo esterno che vorrebbero annientarci, contro Thanatos. È ciò che si contrappone alla disperazione che ci suscitano la razionalità ed il realismo quando ci rivelano quanto d’insopportabile esiste nella vita. È il bacio di Cristo che tappa definitivamente la bocca al Grande Inquisitore, lasciandolo senza parole.
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