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Politiche eugenetiche ed eutanasiche nella Germania fra le due guerre mondiali nel XX° secolo (2)

30 Giu 24

A cura di Luigi Benevelli

L’avvento del governo nazional-socialista ebbe conseguenze dirette e indirette    sulle popolazioni dei manicomi che furono visitati   da migliaia di membri delle formazioni naziste, presentati e illustrati come contenitori di creature bizzarre, vite senza senso, inutili: tra 1933 e 1939 21.000  furono le persone che percorsero Eglfing- Haar (il manicomio di Monaco di Baviera) e fra di loro 6.000 membri delle SS, alcuni dei quali  ne uscirono proponendo di installare mitragliatrici all’ingresso  da cui colpire gli internati.

E i giornali del Partito Nazista e altri organi di stampa  proposero le “uccisioni pietose” dei folli illustrando la proposta con scene alla Goya ambientate nei manicomi.

Con le autorità sanitarie regionali  sempre di più nelle mani di uomini come Fritz Bernotat a Wiesbaden o Walter “Rubi” Schultze a Monaco che proponevano esplicitamente    l’uccisione dei malati di mente le condizioni    di vita nei manicomi precipitarono nettamente: servizi specialistici furono chiusi e i pazienti trasferiti dal settore privato e da quello religioso e  stipati    nelle più economiche istituzioni statali in modo da risparmiare denaro e aumentare i controlli. Un esempio è quello del manicomio  di Eichberg    nella Renovia che ospitava 793 pazienti nel 1934, diventati 1.236   nel 1940; dove fra  1935 e 1938 il rapporto medico/pazienti passò da 1:162 a 1:300. In alcuni istituti lo stesso salì fino a 1:1500, riducendo il controlli sulla qualità dell’assistenza specialistica, provvedendo alla sola assistenza medica di base e all’alimentazione. Ma anche le stesse scarse somme destinate  all’alimentazione furono tagliate: ad Haina (Assia), per fare un esempio,  si passò  dai 0,69 RM al giorno nel 1932    ai 0,54 RM nel 1935. Entusiasti amministratori nazionalsocialisti provenienti dai ceti più popolari   sostituirono nella direzione  degli asili  i  comitati  prima composti da filantropi delle classi sociali superiori. Senza più medici adeguatamente formati in servizio, fine primario divenne  l’efficienza economica.

Psichiatri membri delle SS non si occupavano della condizione dei pazienti loro affidati e, insieme e sotto di loro, una schiera di persone senza formazione professionale iscritte al partito e associate  alle SA, reclutate a gonfiare gli organici infermieristici, al posto del sussidio di disoccupazione. Ispettori indipendenti, alcuni dei quali lamentarono che i pazienti dormissero sulla paglia, sul pavimento o che girassero nudi e criticarono il linguaggio brutale  di amministratori come Bernotat, furono semplicemente esclusi dalle loro funzioni.

Ma oltre al deteriorarsi delle loro condizioni generali, i pazienti psichiatrici    furono colpiti dalla Legge per la prevenzione delle discendenze patologiche ereditarie, che imponeva la sterilizzazione forzata in caso di malattie ritenute ereditarie. La Germania non fu l’unica  ad adottare tali strategie, anche se    finì col superare gli altri Stati    per numero di persone    “trattate”.    La legge investiva gli psichiatri della responsabilità dell’avvio delle procedure per la sterilizzazione ed erano psichiatri a sedere nei 220 Tribunali locali  per la salute del patrimonio ereditario che emettevano le sentenze definitive: una sovrapposizione fra  chi proponeva le sterilizzazioni  e chi le autorizzava, una vicenda non solo tedesca. 

Ci furono anche discussioni pubbliche: nel 1931 il prof. Carl Schneider.  nella Conferenza  a Treysa sull’eugenetica, affermò che la sterilizzazione era priva di basi di evidenza scientifica, ma questo non impedì alla Conferenza di approvare le strategie eugenetiche negative: fu giustificata la sterilizzazione di persone con patologie esogene, gli “ubriaconi” o quelli a bassa tolleranza di alcool furono sterilizzati come “alcoolisti cronici”, essendo l’alcoolismo espressione di un disturbo “asociale o psicopatico”. Né i Tribunali per la salute del patrimonio ereditario si limitarono  alle persone che vi erano giudicate.  Per esempio, Hermann Pfanmuller, psichiatra di Kaufbeuren che era anche giudice della Corte di Kempten, dopo aver disposto la sterilizzazione di una giovane donna, passò una settimana a isolare altri 21 membri della di lei famiglia, raccomandando la sterilizzazione urgente di dieci  in quanto il rischio di riproduzione  sembrava imminente.    Gli insegnanti della scuole    furono sollecitati    a far disegnare ai loro allievi gli alberi genealogici di famiglia, nella prospettiva di aiutare  a identificare i membri con deficit, mentre i sindaci denunciavano le madri single, in primo luogo anche per tagliare i costi dell’assistenza alla prole illegittima.

A parte i danni permanenti provocati dalla sterilizzazione su chi l’aveva subita, non era infrequente che le persone morissero nel corso dell’intervento o si suicidassero o prima o dopo lo stesso: questo soprattutto nelle donne in un clima politico  che poneva grande enfasi su maternità prolifiche, eugeneticamente perfette. La propaganda del regime a sostegno di queste politiche alimentò e rafforzò inevitabilmente  il risentimento di massa    riguardo il “carico”   rappresentato dalla popolazione manicomiale; film di propaganda   discutevano regolarmente delle personalità dei malati di mente e dei disabili mentali in dibattiti    su “esseri” presentati indiscriminatamente come pericolosi criminali, assassini, violentatori. E peroravano le ragioni del Darwinismo sociale, ossia l’eliminazione del debole e la chiusura degli apparati di welfare ritenuti dannosi dal punto di vista eugenetico.   

Nei film i pazienti erano   degradati e stigmatizzati come un potenziale pericolo

per    la salute razziale collettiva, talvolta con la sottolineatura dell’alta percentuale di pazienti psichiatrici Ebrei. Essendo quelle tedesca una dittatura, non era possibile diffondere altre opinioni, altri punti di vista, come avvenne invece nel caso di Hollywood che produsse film in opposizione alle iniziative degli eugenetisti Americani.

Dalla metà degli anni ‘30 il desolato panorama della disponibilità di trattamenti efficaci in psichiatria fu parzialmente illuminato  dall’arrivo di nuove terapie somatiche: coma insulinico, cardiazol ed ECT, tutte adottate in modo entusiastico.    I resoconti sul loro uso    spesso comprendevano un “prima e un dopo” nelle storie dei casi e testimonianze di persone che si sentivano miracolosamente liberate   da sofferenze e oppressioni.  Malgrado  gli incidenti con fratture ossee, perdita della memori, lesioni spinali si respirava un nuovo ottimismo e gli psichiatri poterono finalmente pensare di saper curare le malattie mentali. Ma, paradossalmente, questi progressi nei trattamenti psichiatrici finirono coll’alimentare il disagio di fronte alla quantità di pazienti per cui non si poteva/sapeva fare nulla. Qualsiasi pericolo per la salute ereditaria della collettività una persona malata potesse rappresentare, la sterilizzazione coatta o volontaria  rappresentava la condizione per la dimissione, ma rimaneva il problema delle persone non curabili o refrattarie ai trattamenti biologici . Nel novembre 1939, rispondendo alle domande di una commissione governativa, Hermann Pfannmuller, direttore  di Eglfing Haar, affermava che il problema del se mantenere tali pazienti nelle condizioni primitive o sradicarli “è ora ridiventato oggetto di una discussione molto seria”.

Al riguardo qui va preso in considerazione un elemento importante, ossia la quantità del consenso intorno. La gran parte degli studi sulle giustificazioni apportate dal nazionalsocialismo a sostegno dei progetti di eutanasia sottolinea l’importanza dell’influsso dell’elaborazione utilitaristica di Binding e Hoche, ma va anche detto che si faceva frequentemente riferimento a Ewald Meltzer, un autore che era stato critico nei confronti di quel libello.

Ewald Meltzer, direttore dell’Istituto di Katherinenhof per giovani ritardati in Grosshennersdorf (Sassonia) pubblicò nel 1925    una critica assai forte nei confronti di Binding e Hoche esaltando sia  il mantenimento in vita degli handicappati  che i sentimenti altruistici  presenti nelle persone e condannando il carattere materialistico delle argomentazioni dei due professori. Meltzer decise di consultare i parenti dei suoi assistiti circa la loro visione dell’eutanasia:    con sua sorpresa, quasi il 73% dei 162 che risposero affermò che avrebbero approvato la scelta    di mettere fine dolcemente a vite segnate da idiozia incurabile. Molti dei “sì” affermarono di desiderare di liberarsi del peso di un figlio “idiota”    ed alcuni espressero il desiderio che la soppressione avvenisse in modo surrettizio, come poi avvenne    nella pratica .    Non stupisce quindi che nella propaganda nazista il nome di Meltzer fosse citato quanto quelli di Binding e Hoche. E l’SD (Servizio sicurezza SS ) nei suoi rapporti  effettuati successivamente alla proiezione del film Ich klage an1    evidenziava come gli atteggiamenti fossero lontani dall’essere netti. Lo stesso Meltzer non era del tutto un “angelo” perché nel 1937 riconobbe pubblicamente che avrebbe potuto esserci un’emergenza   nazionale quando a causa dei tagli alimentari o del bisogno di spazi    di ricovero per militari feriti anche i pazienti psichiatrici avrebbero dovuto pagare il loro tributo alla Madrepatria con le modalità    dell’uccisione pietosa.    Queste circostanze maturarono due anni dopo prendendo il nome di “eutanasia”.

Luigi Benevelli

Mantova 30 giugno 2024

(continua)

1 Io accuso- 1941

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