Le origini del programma di eutanasia Nazista furono almeno in parte anche legate alla domanda di “uccisioni pietose”. La ragione, infatti, per cui Hitler decise di assegnare la questione alla sua Cancelleria non stava solo nel fatto che questa agenzia poteva operare in modo riservato, fuori dai canali ufficiali del governo, ma anche perché alla Cancelleria erano pervenute già richieste di eutanasia da parte di cittadini tedeschi: il caso di una donna che stava morendo di cancro, quello di un uomo diventato cieco e gravemente ferito dopo essere caduto nel cemento, dai genitori di un bambino handicappato di nome Knauer ricoverato in una clinica di Lipsia, cieco, senza una gamba e parte di un braccio.
Hitler aveva inviato a Lipsia Karl Brandt, il chirurgo che faceva parte della sua scorta, per autorizzare l’uccisione del bambino. Poi affidò a Brandt e Philipp Bouhler, capo della Cancelleria, il compito di autorizzare nel futuro tali provvedimenti. Un elenco di specialisti pediatri – ciascuno dei quali credeva fosse giunta l’ora di liberarsi dall’eredità dell’etica giudaico-cristiana basata sulla dottrina della sacralità della persona umana – prese le decisioni riguardo ai bambini che venivano inviati ad una delle cliniche “speciali” per l’uccisione. Ai famigliari si promettevano le cure più avanzate insieme all’informazione che le stesse avrebbero potuto comportare gravi rischi per la vita. I genitori che avevano battuto tutte le strade o che erano logorati dal dover provvedere anche ad altri figli, o che più semplicemente non registravano alcuna tara genetica in famiglia, consegnavano i loro figli, spesso sapendo che non sarebbero sopravvissuti al trattamento. In altri casi agenzie di welfare usarono poteri di coercizione per obbligare singoli genitori a consegnare loro i bambini. L’ultimo fu ucciso con una combinazione di affamamento e farmaci letali. Alcune infermiere impegnate nel progetto, pur turbate , pensavano anche che era giusto liberare creature sfortunate dalla sofferenza. I medici impegnati erano tutti volontari. Era infatti anche possibile dire di no come nel caso del dr. Friedrich Hőlzel, che scrisse a Pfanmmūller di voler rinunciare all’incarico di dirigere la clinica pediatrica di Eglfing. Pur approvando le politiche Höltzel sentiva che bisognava tenere distinto l’essere giudice dall’essere esecutore; riferiva inoltre di essere troppo impegnato nel sostegno ai genitori per essere in grado di portare avanti in modo sistematico provvedimenti presi dopo deliberazioni “a cuore freddo”. Pfanmmūller non gli fece pressione. Nell’insieme programma 6.000 furono i bambini uccisi in un arco di età dalla nascita all’adolescenza.
L’autorizzazione di Hitler al programma di eutanasia degli adulti invece era intesa come una misura di ordine economico, come uno dei modi per creare spazi per letti di emergenza e accogliere le minoranze tedesche rimpatriate da Russia ed Europa Orientale, il che anticipava e rispecchiava il raccordo fra “ricollocamento” e sterminio, come poi nell’Olocausto.
Non si trattò di chimere, fini impossibili, propaganda ma di una serie di compiti cui adempiere definiti con freddezza. Nelle aree orientali esterne del Reich, unità SS comandate da Eimann e Lange furono ingaggiate per sparare a pazienti psichiatrici e la Cancelleria del Fūhrer elaborò il programma riservato T4 ( da cui il nome Aktion T 4) col compito di registrare, selezionare, trasferire e uccidere un numero calcolato in 70.000 persone, schizofrenici cronici, epilettici, lungodegenti. Il gruppo di lavoro che se ne occupava era composto da economisti, agronomi, avvocati, uomini d’affari e, intorno, da un insieme di accademici e psichiatri, sotto la guida di Werner Heyde e, dal 1941, di Paul Nitsche, con il compito di occuparsi della parte medica dell’omicidio di massa.
Insieme, questo bizzarro assortimento di umanità con raffinati livelli di istruzione e senza scrupoli morali, si accinse a registrare e selezionare vittime, trovare istituti da adibire a centri dello sterminio, mettere a punto metodi efficaci e, non da ultimo, selezionare staff di persone disponibili e capaci di compiere assassini di massa. Herbert Linden, responsabile dei manicomi di Stato presso il Ministero dell’Interno, e i suoi equivalenti regionali, come Walter Schultze a Monaco o Ludwig Sprauer a Stoccarda collaborarono dal momento che avevano propugnato tali politiche da molti anni; scelsero i manicomi idonei, come quello di Grafeneck, segnalarono medici, infermieri i cui riscontri professionali e la cui affidabilità ideologica li faceva selezionare come soggetti idonei a operare in Aktion T4. Le SS, che per varie ragioni rimasero a una certa distanza da questa operazione, fornirono comunque ai 6 centri di morte persone temprate che potevano reggere l’esperienza di massacri di massa. I medici che si erano candidati a operare in T4 fruirono di brevi sessioni di istruzione a Berlino per poi essere gradualmente avviati al lavoro di assassinio. Molti di loro erano giovani alquanto insicuri, molto impressionati dai nomi dei professori universitari e dalle sedi di grande prestigio (la cancelleria del Fűrher), una caratteristica delle ambizioni piccolo-borghesi. La loro limitata formazione professionale non contribuì ad aggiungere inibizione morale: le infermiere e gli inservienti erano prodotti della cultura dell’obbedienza, e , in aggiunta, giudicavano moralmente accettabile l’eutanasia, in particolare a fronte degli eccessi e degli sprechi che si verificavano nel trattamento dei folli nei manicomi di lusso.
Le schede di ogni paziente candidato furono raccolte e inviate ai funzionari che operavano in T4. Molti direttori di manicomio che non avevano chiara la destinazione d’uso finale di questi documenti, per continuare a contare sulla presenza e l’opera nei loro istituti dei malati lavoratori più capaci, fecero la scelta di sottolineare l’incapacità al lavoro dei pazienti segnalati. La bassa capacità produttiva, la malattia inguaribile o la durata dell’internamento erano sufficienti a giustificare la morte di una persona. In altri termini, il complesso delle vittime fu individuato fra le sotto-classi create dai riformatori della terapia occupazionale in ambito psichiatrico. I funzionari del programma T4, come l’onnipresente Pfannenmüller ricevevano infornate da 200 a 300 schede per volta ed erano remunerati a numero di pratiche evase. Questo probabilmente spiega il virtuosismo diagnostico di psichiatri stacanovisti come il dottor Josef Shreck, che completò 15.000 schede in un mese, una per una.
In base ai referti di tali schede, gruppi di pazienti erano trasferiti dal loro manicomio dal Servizio per il trasporto dei pazienti o in uno dei 6 istituti deputati, a morire subito nella camera a gas, o collocati temporaneamente in un manicomio di transito. Questo aveva lo scopo di mettere confusione nei famigliari, che non sapevano più dov’erano finiti i loro congiunti, ed anche di scaglionare il rifornimento ai crematori. Un elaborato sistema di inganni era attivo ad ogni passaggio, dalla falsificazione della causa di morte, a quella del dove e quando la morte era avvenuta.
Queste uccisioni comportarono inevitabilmente contatti fra T4 e ospiti di manicomi privati, di Stato o religiosi. Metà delle vittime di Aktion T4 proveniva da asili e residenze gestite dalle due più importanti reti assistenziali religiose: la Missione Protestante Interna e l’Associazione Cattolica Romana Caritas. Anche qui si discuteva di provvedimenti eugenetici e di eutanasia: nel 1937 il direttore medico Rudolph Boeckh del manicomio di Neuendettelsau in Franconia aveva affermato in una conferenza della locale sezione NSDAP che gli “idioti” erano parodie dell’umanità che meritavano di essere fatti “ritornare al Creatore”. Alcuni asili della Missione Protestante Interna, come quelli di Scheurn in Hesse-Nassau, operarono come centri di transito sulla via di Hadamar; infermiere sorelle protestanti lavorarono a Bernburg nel periodo in cui circa 20.000 persone vi furono uccise.
Ma in alcuni manicomi, una volta giunte notizie di quanto accadeva, si tentò di sabotare l’operazione T4, ad esempio ritardando il completamento e la consegna delle schede. É il caso del dr. Karsten Jaspersen di Bethel Sarepta che si prese tutto il tempo per modificare le diagnosi in modo meno pericoloso per i pazienti: il fatto che egli fosse un vecchio militante Nazista ci dice che l’affiliazione politica poteva non essere necessariamente un vincolo assoluto per le scelte individuali.
Ma effettivamente furono pochi i manicomi che tentarono di nascondere i soggetti più vulnerabili o di fare in modo che le famiglie li riprendessero a casa. Ovviamente la dimissione dipendeva dalla disponibilità delle famiglie, essendo talvolta la risposta che non c’erano più stanze disponibili in casa. Nel caso della rete dei manicomi di Bodelschwingh di Bielefeld. la fama del direttore e di alcuni pazienti, incluso il cognato di Goering (secondo Heyde fu un chiaro caso di eutanasia), T4 autorizzava l’uso di propri criteri per la selezione.
Il fatto che uomini di Chiesa , in specie il Vescovo di Münster van Galen, avessero pubblicamente protestato contro Aktion T4 (un anno dopo esserne stato informato dal dottor Karsten Jaspersen) ha ricevuto più attenzione del fatto che T4, prima di dare avvio al progetto, interpellò un teologo accademico cattolico per ottenere un memorandum giustificativo. La gerarchia cattolica romana avviò negoziati, poi interrotti, con T4 per garantire agli staff dei manicomi di essere esonerati dal partecipare al progetto; la preoccupazione della Chiesa cattolica circa la somministrazione dei sacramenti si accompagnava spesso col rifiuto dei preti di dare sepoltura cristiana alle ceneri delle vittime del programma di eutanasia, in quanto erano stati cremate.
Nel complesso T4 uccise 70.000 persone, molte delle quali entravano nelle camere a gas con uno spazzolino da denti e un asciugamano. Un rapporto finale trasferì su un grafico l’andamento mensile delle uccisioni, insieme all’elenco di quanto denaro, merci quali burro, pane, caffè o marmellata erano stati salvati con la “disinfestazione” di 70.273 persone, conteggiando i corrispettivi monetari con proiezioni fino al 1951.
Dopo la cessazione nell’agosto 1941, i funzionari medici di T4 si dedicarono agli internati dei campi di concentramento dove, in quella che divenne “Aktion 14fl3”, si dedicarono alla selezione di persone che le SS giudicavano “malate” o di persone di razzialmente inferiori o con precedenti negativi. Nello stesso autunno Viktor Brack, l’economista che guidò l’operazione T4, incontrò Himmler che una volta lo aveva impiegato come autista. Himmler, secondo quanto si racconta disse che Hitler gli aveva dato qualche tempo prima l’ordine di sterminare gli ebrei. Egli aveva risposto che tutto era stato preparato, ma che si sarebbe dovuto lavorare il più rapidamente possibile. Gli staff T4 dovevano diventare uno dei gruppi impegnati a definire i progetti ancora quasi sperimentali per risolvere la “Questione Ebraica” e come esperti di gassificazione di massa, ebbero il ruolo più grande:
circa 92 quadri dell’operazione T4 furono messi a disposizione di Odilo Globocnik, ufficiale superiore SS , capo della polizia di Lublino da Bouhler; con Herbert Lange, il veterano dell’operazione SS eutanasia, si formò il gruppo T4 responsabile del programma “Aktion Reinhard”. Un variegato insieme di gente che aveva fatto il macellaio, il cuoco, il camionista, il poliziotto comprendente Erich Bauer, Kurt Franz, Lorenz Hackenholt, Joseph Oberhauser, Franz Stangl e Christian Wirth salì la scala gerarchica per presiedere all’assassinio di massa degli Ebrei dell’Europa Orientale e della borghesia ebraica di quella occidentale a Belzec, Sobibor, Treblinka.
La rassegna statistica finale redatta da Globocnik nel dicembre 1943 enumerava l’entità delle somme raccolte, il corrispondente di circa 2000 carichi di vagoni ferroviari di effetti letterecci, abiti e asciugamani, e oggetti di uso quotidiano come lenti d’occhiale, piumini da cipria, portasigarette. Dopo lo smantellamento di questi campi di sterminio, gli uomini del progetto T4 diedero il via a centri di sterminio sulla costa dalmata, a Trieste (Risiera di San Sabba) che usarono per torturare e uccidere ebrei sul percorso verso Auschwitz e sospetti partigiani. Vi morirono 5.000 persone.
Nel territorio del vecchio Reich, le uccisioni eutanasiche proseguirono più decentrate in una vasta rete di istituti dove i pazienti furono uccisi per fame e con iniezioni letali. Si tennero incontri presso le autorità sanitarie regionali per scegliere fra le diete di affamamento con psichiatri che si scambiavano menù di radici vegetali bollite in acqua. Si consideri che non c’era scarsità di cibo nei manicomi dal momento che in molti di loro le terapie occupazionali continuavano a produrre eccedenze che gli amministratori vendevano realizzando considerevoli profitti.
Sia il programma adulti che l’uccisione di bambini proseguirono fino agli ultimi giorni di guerra. La morte fu di routine decisa per chiunque fosse giudicato incapace di produrre o il cui comportamento avesse infastidito il personale, con pazienti talvolta coinvolti nell’uccisione di persone con loro ricoverate. Tentativi di fuga o reati comportavano iniezioni letali o manciate di sedativi cacciate in gola a forza nel cuore della notte. Molte vittime erano lavoratori coatti stranieri malati di tubercolosi, così come di disturbi mentali contratti per le condizioni inumane in cui vivevano e lavoravano. Ucciderli sul posto era ritenuto meno costoso del rimpatrio. Poiché la gran parte di loro non sapeva comunicare in tedesco, non si tentava di cercare di capire che cosa non funzionasse. Nelle loro ultime stagioni i programmi di eutanasia riguardarono vecchi e nomadi, nonché persone rese folli dai bombardamenti alleati.
Relazioni del SD scoperte negli archivi russi hanno documentato l’esistenza di diffusi timori e diffidenze fra la popolazione tedesca più anziana riguardo al ricovero in strutture geriatriche, sanatori o anche le visite di routine dal medico: questo a evidenziare che era stato impossibile tenere nascoste operazioni descritte, anche perché i manicomi, e le parti di manicomi che erano state svuotate erano state adibite a finalità non-mediche.
Alcuni psichiatri che lavoravano nel programma T4 come Paul Nitsche o Carl Schneider, per contrastare la perdita di prestigio dell’assistenza psichiatrica avanzarono proposte di modernizzazione della psichiatria, attraverso l’uso delle risorse risparmiate per mettere a punto nuove terapie per i casi acuti. L’agenda più o meno esplicita prevedeva la costruzione di programmi di ricerca nelle Università da sostenere con il materiale “neurologico” messo a disposizione dai programmi di eutanasia. In questo modo ci si proponeva di riaffermare il controllo della psichiatria su politiche guidate dalle esigenze della guerra e dell’economia, politiche la cui logica minacciava l’esistenza e la credibilità di un’intera branca della medicina; una specie di razionalizzazione ex post facto, un modo per allontanare da sé le responsabilità di chi aveva creato condizioni disumane nei manicomi con pazienti ridotti a scheletri e abbandonati a se’, nudi nei loro escrementi ed urine su pagliericci, e persone chiuse da sole in bunker infestati da parassiti: medici che operavano nei reparti come soldati per i quali i pazienti, specie quelli che non parlavano una parola di tedesco, erano diventati letteralmente “il nemico”.
Ma fu la decisione di Hitler di entrare in guerra a proporre in termini nuovi e più radicali la questione dei costi e della sopportabilità dei costi dell’assistenza ai pazienti psichiatrici: la scelta di uccidere i disabili fisici e psichici fu giustificata dalle necessità della guerra stessa, in particolare quelle di liberare posti letto per i soldati del Reich bisognosi di cure, nonché spazi di accoglienza per i profughi.
Luigi Benevelli ( a cura di)
Mantova, 1 agosto 2024
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