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SAINT ALBAN E LA PSICHIATRIA RADICALE IN FRANCIA. “Disalienation” di Camille Robcis

8 Ago 23

A cura di Fabio Milazzo

Titolo: “Disalienation. Politics, Philosophy, and Radical Psychiatry in Postwar France”
Autore: Camille Robcis
Edizioni: The University of Chicago Press, Chicago  2021,
Pagine: 240
Costo: 33,25 euroDal 1940 al 1945, quarantamila pazienti morirono negli ospedali psichiatrici francesi. Lo “sterminio morbido” del regime di Vichy faceva morire i pazienti di freddo, fame o mancanza di cure. Come gran parte del territorio francese, in quegli anni, gli ospedali patirono gli effetti della guerra, della cronica penuria di cibo, medicine e assistenza. Le morti, tuttavia, non erano dovute semplicemente alle pessime condizioni generali, come sostenevano le autorità, ma, come indicato anche dalla storiografia più recente, a una specifica politica di sterminio attuata nei confronti di soggetti fragili, disabili e alienati, promossa dal regime nazista e approvata da Vichy. Come sostiene Camille Robcis in “Disalienation. Politics, Philosophy, and Radical Psychiatry in Postwar France”, si tratterebbe di un «soft extermination», attuato attraverso programmate politiche di privazioni all’interno degli ospedali psichiatrici. A Saint-Alban-sur-Limagnole, un piccolo villaggio della Lozère, nel centro della Francia, un ospedale psichiatrico cercò però di opporsi a tutto ciò e di mettere in pratica un sistema diverso. Attraverso l’attivo sostegno della popolazione locale, il personale non solo si adoperò per mantenere in vita i pazienti, ma iniziò a ripensare le basi pratiche e teoriche dell’assistenza psichiatrica. Il fascismo e la guerra avevano infatti dimostrato definitivamente la connessione tra politiche di controllo e istituzioni totali, nessuna riforma era dunque possibile scindendo la dimensione politica da quella medica. Il movimento che iniziò a Saint-Alban divenne noto come «psicoterapia istituzionale» e avrebbe continuato ad avere una profonda influenza sul pensiero francese del dopoguerra,

Questo libro ripercorre la storia di quella che viene definita la «psicoterapia istituzionale» a partire dagli inizi a Saint-Alban per poi percorrere le varie evoluzioni tra il 1945 e il 1975. Un ruolo centrale nella narrazione lo riveste Francois Tosquelles, catalano, psichiatra e uno dei fondatori del POUM (Partido Obrero de Unificación Marxista), il movimento di ispirazione anarchica che nacque nella Spagna repubblicana degli anni Trenta e combatté contro l’esercito di Franco durante la guerra civile spagnola. Alterne vicende condussero Tosquelles in Francia, prima in un campo profughi vicino ai Pirenei, dove venne internato, e poi all’ospedale Saint-Alban. Nei pressi del campo, Tosquelles realizzò alcune comunità terapeutiche presso le quali, con l’aiuto di altri soldati e prigionieri, curava i combattenti e i rifugiati che erano stati traumatizzati dalla guerra. Questi esperimenti psichiatrici improvvisati convinsero Tosquelles che la psichiatria poteva essere praticata ovunque. In particolare l’esperienza vissuta come internato lo rese sensibile nei confronti delle logiche reclusive che orientavano le politiche psichiatriche, per questo la riforma doveva innanzitutto partire da un cambio di paradigma. L’esperienza di Saint-Alban attirò l’attenzione di diversi psichiatri, ma anche di artisti e poeti surrealisti come Paul Éluard, tutti diversamente interessati al clima di innovazione lì presente e dalla possibilità di ripensare concretamente la pratica psichiatrica, anche nel trattamento delle psicosi. Come insisteva Lacan, la psicosi era infatti il prodotto di una complessa interazione di elementi neurologici, biologici, psicologici e fattori sociali e l’ossessione della psichiatria per l’individuazione di una singola causa organica  era semplicemente assurda. Anche successivamente, l’opera di Lacan e la sua attenzione per il linguaggio hanno costituito riferimenti fondamentali per gli psichiatri della «psicoterapia istituzionale». Insieme a ciò costante fu l’attenzione per il binomio tra politiche terapeutiche e strutture di potere, in particolare per ciò che concerneva la stigmatizzazione della follia a partire da un certo momento storico. L’attenzione per tale aspetto venne favorito dal lavoro di Georges Canguilhem, che visse a Saint-Alban nel 1922.

Come evidenzia Robcis, tali elementi contribuirono a riconfigurare sul piano culturale il modo attraverso cui Tosquelles e i suoi colleghi di Saint-Alban lavoravano con i pazienti: terapie di gruppo, assemblee generali, sindacati autogestiti, laboratori, biblioteche, pubblicazioni e diverse attività culturali, tra cui cinema, concerti, teatro. L’idea era quella di ripensare radicalmente le istituzioni, cercando di valorizzare la svolta ideologica introdotta dalla psicoanalisi freudiana e lacaniana, ma senza scindere ciò dalla pratica psichiatrica. E proprio l’attenzione per la concreta esperienza della malattia mentale fu uno dei punti di maggiore distanza rispetto ad altre esperienze di psichiatria radicale. La «psicoterapia istituzionale», riferendosi alle psicosi, non le riteneva un semplice effetto dell’oppressione sociale o familiare, come sostenuto da qualcuno, né una costruzione culturale o un effetto del potere borghese, ma una malattia che richiedeva cure e assistenza ospedaliera. Per questo la psicoterapia istituzionale non respinse l’utilizzo di psicofarmaci, neurolettici, o anche cure insuliniche ed elettroshock. Né ritenne percorribile l’idea di chiudere gli ospedali psichiatrici, che dovevano essere riformati, mantenendo un grande potenziale terapeutico per il trattamento delle malattie mentali, soprattutto quelle più gravi. L’idea era quella di criticare e riformare le istituzioni, senza per questo cancellarle. Tra gli estimatori di Saint-Alban ci fu Frantz Fanon, che vi soggiornò tra il 1952 e il 1953, rimanendo particolarmente colpito dall’attenzione rivolta alla dimensione sociale della psiche.  Fanon portò il metodo della «psicoterapia istituzionale» in Nord Africa, prima presso l’ospedale psichiatrico di Blida-Joinville in Algeria, dove visse tra il 1953 e il 1957, e successivamente al centro diurno Charles-Nicolle in Tunisia dove operò fino alla sua morte.  In questo periodo Fanon lavorò con pazienti psicotici e combattenti di guerra traumatizzati, raccogliendo le proprie impressioni sui vantaggi e i limiti della psicoterapia istituzionale in un contesto coloniale. Altri sostenitori della psicoterapia istituzionale furono Jean Oury, che risiedette a Saint-Alban nel 1947 e che nel 1953 fondò la Clinica di La Borde a Cour-Cheverny, nella regione della Loira. Qui ospitò anche Félix Guattari, che vi lavorò, interessandosi al metodo di Saint-Alban per ripensare la pratica psichiatrica, ma anche politica.

In “Disalienation”, Camille Robcis affronta la vicenda di Saint-Alban esplorando i pensatori chiave del movimento, tra cui François Tosquelles, Frantz Fanon, Félix Guattari e Michel Foucault. Il libro è articolato in quattro capitoli, più una introduzione e un epilogo. Il primo racconta gli inizi della psicoterapia istituzionale a Saint-Alban, attraverso il contributo di Tosquelles. Il secondo capitolo si concentra su Fanon, il suo incontro con la psicoterapia istituzionale e sugli effetti di ciò sulla pratica psichiatrica nel periodo trascorso in Nord Africa. Il terzo capitolo tratta di La Borde e di quella che venne definita la seconda generazione della «psicoterapia istituzionale», con Oury e Guattari. Il quarto e l’ultimo capitolo si concentra su Michel Foucault e gli studi da lui svolti sulla follia, il potere psichiatrico e l’evoluzione biopolitica. In conclusione, quello di Robcis si configura come un lavoro importante su una delle esperienze di ripensamento psichiatrico più importanti in Europa. Un punto di partenza necessario per una storia globale del rinnovamento psichiatrico nel Novecento, che ancora attende di essere scritta.

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