Nella scelta e nell'impiego degli strumenti di valutazione è necessario tenere presenti alcuni fattori importanti per i risultati che si vogliono ottenere.

Il primo punto da prendere in considerazione è l'utilità: uno strumento di valutazione può essere considerato utile solo se aiuta a migliorare il servizio reso ai pazienti e se fornisce un adeguato feedback dell'attività svolta. L'utilità di uno strumento è anche in funzione della sua applicabilità (tempo necessario per la sua somministrazione, semplicità di valutazione, facilità di interpretazione dei risultati, eccetera).

La scelta di uno strumento di valutazione deve essere preceduta dalla precisa identificazione dell'area da esplorare e degli aspetti, delle dimensioni, che meglio la caratterizzano e che, nel caso si vogliano valutare le modificazioni della psicopatologia sotto trattamento, abbiano un maggiore valore predittivo di risposta al trattamento.

Non è del tutto eccezionale, infatti, che una RS venga scelta perché è disponibile, perché si ha con essa una certa familiarità, perché è facile e/o rapida da applicare, senza tener conto degli obiettivi specifici della ricerca in cui deve essere impiegata. Nel contesto di una ricerca psicofarmacologica clinica, ad esempio, ha poco senso impiegare, per valutare l'effetto del trattamento, una RS che esplora dei tratti di personalità, che sono relativamente stabili; analogamente, se uno strumento non esplora completamente l'area che dobbiamo valutare, si rischia di non trovare ciò che effettivamente c'è ma che i nostri strumenti non ci consentono di vedere. Ma anche un'eccessiva estensione dell'area esplorata rischia di compromettere i risultati della ricerca, perché possono essere evidenziati sintomi aspecifici, non strettamente pertinenti alla psicopatologia indagata o, nel caso di valutazione dell'effetto di un trattamento, possono essere valorizzati (fino anche alla significatività statistica) cambiamenti marginali, aspecifici o casuali.

Poiché gli strumenti di valutazione sono generalmente impiegati per verificare i cambiamenti nel tempo della sintomatologia, la sensibilità ai cambiamenti è un altro elemento da tenere in considerazione. La sensibilità di una scala, comunque, deve avere come fondamento la stabilità della scala stessa (verificabile mediante la test-retest reliability), per non correre il rischio di misurare ogni volta cose diverse, scambiandole per variazioni della sintomatologia esplorata. Una scala, quindi, deve essere sufficientemente stabile da non modificarsi se non si verificano cambiamenti della sintomatologia ed al tempo stesso abbastanza sensibile da cogliere variazioni anche modeste.

Un altro fattore di cui tenere conto è la modalità di esplorazione del comportamento, dei pensieri, dei sentimenti, eccetera, del paziente. Alcuni strumenti valutano il problema in maniera indiretta e l'esempio più classico è il test di Rorschach; altri, invece, lo esplorano in maniera diretta, come avviene con gli strumenti che valutano il comportamento. La maggior parte delle scale si colloca in genere fra questi due estremi. Questo problema deve essere tenuto presente nella scelta degli strumenti: nelle scale di eterovalutazione, un certo grado di valutazione indiretta può essere accettabile anche se può comportare tempi più lunghi per l'assegnazione dei punteggi; è bene ricordare, comunque, che, aumentando la quantità della valutazione indiretta, si riduce l'affidabilità della scala. Nelle scale di autovalutazione è necessario, invece, ridurre al massimo la valutazione indiretta poiché entra in gioco anche la comprensibilità da parte del paziente. Un linguaggio troppo astratto, un vocabolario troppo ricercato, frasi troppo complesse, possono rendere il test di difficile comprensione per soggetti scarsamente acculturati, o troppo gravemente disturbati, o emotivamente immaturi; se lo strumento non rispecchia fedelmente e comprensibilmente i problemi del paziente è di scarsa utilità.

Questi strumenti devono essere anche percepiti come accettabili dal paziente, sia nel senso che il loro contenuto è percepito come rispondente ai suoi reali problemi e quindi la loro compilazione è ritenuta utile ai fini della comprensione da parte del medico e dell'impostazione del trattamento, sia nel senso che il contenuto non deve essere percepito come intrusivo o addirittura come offensivo, come può accadere per i problemi inerenti alla sessualità in certe subculture.

Uno strumento di autovalutazione, infine, deve essere il più possibile non-reattivo, non deve agire, cioè, modificando ciò che si vuole misurare. È questo il caso, ad esempio, delle scale che esplorano comportamenti quali il bere o il fumare; in questi casi la sola valutazione agisce come freno, producendo di per sé un miglioramento. Qualcuno potrebbe obiettare che, se questo è vero, si potrebbe evitare la somministrazione di farmaci semplicemente valutando il paziente con una certa frequenza: in realtà, questo tipo di miglioramento è generalmente di breve durata e quindi di scarsa utilità, ed è spesso sostituito dalla tendenza a minimizzare (e quindi a falsare i risultati). È meglio, perciò, usare strumenti non-reattivi, che sono più stabili e consentono un monitoraggio più efficace ed affidabile.

Un elemento importante, ma spesso trascurato, è quello relativo al tempo necessario per la valutazione. Nella routine clinica le scale sia di auto che di eterosomministrazione non dovrebbero richiedere più di 10-15 minuti per la compilazione e la valutazione clinica, nell'ambito della quale vengono usate le RS, non dovrebbe durare più di 25-30 minuti. Diverso è il caso di strumenti più lunghi e complessi, come le interviste diagnostiche strutturate, che vengono utilizzati di solito una sola volta, per i quali può essere necessario un tempo molto più lungo.

Nel decidere la scelta di uno strumento piuttosto che di un altro, è necessario valutare l'ampiezza e la profondità delle informazioni richieste, la disponibilità del paziente a sottoporsi a lunghe sedute di valutazione, la frequenza delle valutazioni e, per il valutatore, quante valutazioni può ragionevolmente effettuare in un giorno. Pochi pazienti sopportano la somministrazione ripetuta di scale di autovalutazione che richiedano più di 15-20 minuti; se una seduta di valutazione dura più di 45 minuti, anche il valutatore più motivato non può effettuare più di 4 valutazioni al giorno se non si vuole correre il rischio di una perdita notevole di accuratezza.

In conclusione, la scelta di uno strumento di valutazione, soprattutto per un impiego routinario, deve essere tale per cui lo strumento risulti appropriato, richieda, cioè, un tempo limitato di compilazione e di interpretazione, sia affidabile e valido, stabile e sensibile, accettabile da parte del paziente ed appropriato per ciò che vogliamo esplorare, il più possibile diretto, ma non reattivo. Strumenti più sofisticati, con tempi più lunghi di applicazione, capaci di fornire informazioni più approfondite e dettagliate, possono essere utilizzati efficacemente in ricerche specifiche su campioni più limitati di soggetti e secondo protocolli di ricerca specifici.

Una batteria di strumenti di valutazione dovrebbe tener conto dello stato psichico e funzionale del paziente, della sua sensazione di benessere e del suo grado di soddisfazione; lo stato psichico e quello funzionale sono meglio esplorabili mediante scale di eterovalutazione, mentre il benessere ed il grado di soddisfazione, che richiedono la valutazione di sensazioni e percezioni, sono meglio coglibili mediante le scale di autovalutazione. La valutazione del paziente psichiatrico, inoltre, dovrebbe prevedere sia item sensibili al cambiamento, sia item più stabili, capaci di fornire una descrizione più globale del paziente ed indicazioni circa i suoi bisogni, e di predire l'evoluzione della malattia.

Vale la pena di ricordare che la patologia psichiatrica è spesso anche patologia delle emozioni e, pertanto, la valutazione del benessere può confondersi (o covariare) con lo stato psichico (in particolare questo rischio è elevato per i disturbi dell'umore e d'ansia). Della valutazione dello stato psichico, infine, dovrebbero far parte, oltre alla valutazione psicopatologica, una valutazione diagnostica ed una valutazione della comorbidità somatica, ancora oggi troppo spesso trascurata.

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CAPITOLO 29 - Gli effetti indesiderati dei trattamenti psicofarmacologici