Le interviste diagnostiche che abbiamo descritto sono tutte in grado, in linea di massima, di portare alla formulazione di diagnosi affidabili per i disturbi psichiatrici maggiori. Un adeguato livello di affidabilità è comunque ottenibile solo se i valutatori si sono sottoposti ad un training rigoroso. Più discutibile è la validità di questi strumenti poiché manca un punto di riferimento esterno, un "gold standard", con cui confrontare i risultati ottenuti mediante il loro impiego visto che, come abbiamo detto, il grado di accordo fra valutatori diversi che formulano la diagnosi solo sulla base di criteri clinici è molto basso. Per ovviare alla mancanza del "gold standard" Spitzer (1983) ha proposto il "LEAD standard", uno standard, cioè, di piombo giocando sulla parola LEAD che è l’acronimo di "Longitudinal", "Expert" e "All Data". Egli propone, in sostanza, come standard per ottenere una validità, da lui definita "procedurale", una diagnosi "longitudinale" basata, cioè, sull’osservazione nel tempo del paziente, a partire dalla diagnosi fatta prima di impostare il trattamento e seguendo poi il paziente, l’evoluzione dei sintomi, il decorso e l’esito della malattia, per confermare o meno la diagnosi iniziale; la diagnosi deve essere fatta, naturalmente, da uno psichiatra "esperto", che ha dimostrato di essere capace di formulare inquadramenti diagnostici affidabili, ed utilizzando tutte le informazioni (all data) comunque ottenibili ed ottenuti. In conclusione, dunque, le scale di valutazione diagnostica si prestano certamente ad alcune critiche, che possono essere così sintetizzate:
• i raggruppamenti diagnostici che si ottengono non sono abbastanza omogenei;
• manca, generalmente, l’integrazione dei dati sintomatologici trasversali con altre informazioni considerate importanti nell’approccio clinico, quali gli aspetti evolutivi e di decorso, la familiarità, la personalità premorbosa, eccetera;
• si basano su meri criteri operazionali e pragmatici, prescindendo da un necessario supporto teorico;
• i requisiti sintomatologici sono troppo superficiali, per cui manca l’approfondimento necessario per cogliere le differenze psicopatologiche più sottili;
• l’affidabilità delle diagnosi è fortemente legata all’esperienza del valutatore;
• in mancanza di validi criteri esterni di riferimento affidabili, la validità delle diagnosi ottenute è generalmente discutibile.
Nonostante le critiche, questi sistemi diagnostici standardizzati sono stati ampiamente adottati nell’ambito della ricerca, contribuendo a migliorare sensibilmente la concordanza diagnostica tra i diversi ricercatori ed a rendere confrontabili studi condotti in ambiti diversi. Il loro impiego è, pertanto, ampiamente giustificato (e consigliato) nella ricerca, ma nella pratica clinica deve essere assunto, al più, come criterio indicativo da verificare ed approfondire caso per caso. È evidente che il settore delle interviste diagnostiche ha come elemento portante l’intervista più o meno rigidamente strutturata. Molti clinici sono contrari a questo tipo di procedure perché ritengono che svalorizzino l’esperienza e le capacità del medico e siano, oltre che inutili ed antieconomiche, antiterapeutiche, poiché la schematicità dell’approccio e l’enfasi posta sulla psicopatologia manifesta ostacolano lo sviluppo dell’alleanza terapeutica. Non si può negare che questo sia, in larga misura, vero, ma non si deve neppure dimenticare che questi strumenti hanno degli scopi ben precisi: essi, infatti, sono stati ideati per la ricerca e, in primo luogo, per consentire la massima uniformità nella raccolta delle informazioni sulla psicopatologia e sono pertanto specificamente adatti alle indagini estensive, su vasti campioni, piuttosto che all’approfondimento del caso singolo in cui possono rappresentare, al più, un punto di partenza piuttosto che di arrivo. Le interviste strutturate rappresentano anche un eccellente strumento didattico per studenti e specializzandi, poiché forniscono loro degli schemi mentali cui fare riferimento successivamente, nella pratica clinica, per esplorare in maniera esaustiva il quadro psicopatologico dei pazienti ai fini dell’inquadramento diagnostico e, di conseguenza, dell’impostazione del trattamento.