Prenderemo in considerazione in questo paragrafo gli strumenti per la valutazione delle fobie semplici, della fobia sociale, dell’agorafobia e del disturbo da panico. La valutazione delle fobie semplici è resa difficile dal fatto che esse si manifestano di solito in presenza dello stimolo fobico o, al più, in previsione di doversi confrontare con esso, essendo eccezionali i casi in cui il disturbo ha un andamento di tipo più invasivo e pervasivo. Per queste caratteristiche, uno dei metodi di valutazione più usati è quello del diario in cui il paziente riporta quotidianamente la frequenza con cui si è esposto alla situazione fobica, il grado di ansia, di disagio provato e l’entità dell’evitamento. Un altro metodo è quello dell’osservare del comportamento del paziente quando è esposto alla situazione fobica; in questo caso è necessaria anche un’autovalutazione sull’entità dell’ansia sofferta nella circostanza. Per quanto ansia fobica ed evitamento fobico correlino grandemente, sarebbe opportuno avere una valutazione sia delle modalità con cui il paziente affronta una situazione fobica dietro richiesta dell’esaminatore, sia della frequenza con cui si espone spontaneamente alla situazione. Ormai ha solo valore storico la Fear Survey Schedule-II – FSS-II (Geer, 1965), uno strumento composto da 51 item attraverso i quali esplora altrettante situazioni e stimoli potenzialmente oggetto di fobia. Il paziente valuta su di una scala da 1 a 7 (nessuna paura – terrore) il grado in cui ciascuna di tali situazioni suscita in lui paura; il punteggio totale riflette il suo livello di fobia. Probabilmente è stata, per molti anni, la scala di valutazione delle fobie più usata nella terapia comportamentale. Nella valutazione dei pazienti fobici, lo strumento che ha avuto maggiore diffusione in passato è senza dubbio il Fear Questionnaire – FQ che Marks e Mathews, partendo da una prima scala proposta nel 1966 da Gelder e Marks e modificata da Watson e Marks nel 1971, hanno messo a punto nel 1979 per rendere confrontabili i risultati delle ricerche sui disturbi fobici che venivano effettuate in diversi centri in Inghilterra. La scala, di autovalutazione, chiede in primo luogo qual è la fobia più importante, quella per la quale il paziente chiede il trattamento; elenca poi 15 fobie (5 di tipo agorafobico, 5 relative al sangue, a piccoli interventi o traumatismi, e 5 di tipo sociale) delle quali (così come della fobia principale) chiede il grado di evitamento; sono riportati anche 5 sintomi di depressione e di ansia che spesso si associano alle fobie (sentimenti di depressione, di irritabilità, di tensione, di derealizzazione…); al paziente, infine, è richiesto di esprimere un giudizio globale sul quadro fobico tenendo conto sia del disturbo sia dell’evitamento. I diversi item sono valutati su di una scala di tipo analogico a 9 punti in base alla quale indicare, per le singole fobie, il grado di evitamento (dall’assenza al completo evitamento), per i sintomi depressivo-ansiosi, il grado di disturbo e, per il giudizio globale, come abbiamo detto, del grado di disturbo e di evitamento. È una scala di facile e rapido impiego, che ha avuto un’ampia diffusione soprattutto negli studi sull’effetto delle terapie comportamentali nell’evitamento fobico. Derivata direttamente dal Fear Questionnaire è la Marks-Sheehan Phobia Scale – MSPS (Sheehan, 1983), più orientata verso la ricerca psicofarmacologica clinica. La MSPS porta a 4 le fobie più disturbanti, quelle per cui il paziente richiede il trattamento; esplora poi, attraverso 13 item, i diversi aspetti delle fobie, compresa la paura di perdere il controllo, la distanza che il soggetto può percorrere da solo e chiede, infine, un giudizio globale sui sintomi fobici. La caratteristica principale della scala è quella di indagare, per ogni item, il grado sia di paura che di evitamento mediante scale analogiche con "anchor point", la prima a 11 punti (0-10) e la seconda a 5 punti (0-4). Anche il giudizio globale è espresso su di una scala analogica a 11 punti. È certamente la scala di maggiore impiego nelle ricerche psicofarmacologiche cliniche su pazienti con fobie e disturbo panico/agorafobico. Il problema dell’ansia in situazioni sociali (o fobia sociale) è stato diversamente affrontato dai diversi Autori che hanno visto in questo disturbo un potente motore della psicopatologia, potendo portare da una maggiore suscettibilità alle pressioni sociali alla fobia sociale ed al ritiro sociale psicotico. Questo ampio ventaglio di possibili significati e di evoluzioni dell’ansia in situazioni sociali, spiega l’eterogeneità degli strumenti di valutazione messi a punto per questo disturbo. Se si prescinde dalla scala di Willoughby, che ha ormai solo valore storico, gli strumenti di cui faremo qui cenno hanno caratteristiche assai eterogenee. Diciamo subito di due strumenti messi a punto da Watson e Friend (1969), la Social Avoidance and Distress scale – SAD e la Fear of Negative Evaluation scale – FNE. La SAD è articolata in due subscale che esplorano, una, l’evitamento delle situazioni sociali (evitare, cioè, di stare o parlare con qualcuno per qualsiasi ragione, senza che questo indichi il desiderio di associarsi con qualcuno) e, l’altra, il disagio in situazioni sociali (cioè le sensazioni negative provocate dalle interazioni sociali). La FNE valuta, invece, il timore per il giudizio degli altri, la preoccupazione per il possibile giudizio negativo, l’evitamento delle situazioni in cui uno può essere giudicato, l’aspettativa di essere giudicato negativamente ed il timore di perdere l’approvazione sociale; alti punteggi in questa scala non implicano necessariamente che il paziente abbia un’opinione negativa di sé o che si senta inferiore, oppure che desideri una valutazione positiva, ma semplicemente che il soggetto tende a sviluppare ansia in qualsiasi situazione sociale. Le due scale sono dicotome (vero/falso), la SAD è composta da 28 item (15 veri e 13 falsi) e la FNE da 30 item (17 veri e 13 falsi). Gli Autori suggeriscono, per le due scale, un vasto range di possibili applicazioni che va dal soggetto normale al paziente schizoide, con tutte le possibili variazioni intermedie. Uno strumento interessante è quello messo a punto da Glass e collaboratori nel 1982, il Social Interaction Self-Statement Test – SISST, che misura gli aspetti cognitivi dell’ansia che si manifesta nelle interazioni sociali ed in particolare in quelle di tipo eterosessuale. Il test si basa sull’assunto che i pensieri che l’individuo formula in determinate situazioni di stress sono in rapporto ai suoi sentimenti di ansia o di sicurezza. Lo strumento è stato costruito chiedendo a numerosi studenti di un college di registrare i pensieri che formulavano in differenti situazioni di interazione sociale eterosessuale. Questi pensieri sono stati classificati in positivi, neutri e negativi e, attraverso una serie di valutazioni, i 15 giudicati, rispettivamente, più positivi e più negativi sono stati usati per costruire la scala. Ad ogni item il soggetto è invitato a dare una risposta da 1 (quasi mai) a 5 (molto spesso) e si ottiene così, per ognuno dei due subset di item (positivo e negativo), un punteggio (variabile fra 15 e 75) che esprime il livello di competenza sociale e, rispettivamente, di ansia sociale. Mark Leary (1983) ha proposto due diverse scale mirate alla valutazione dei sentimenti e del comportamento ansiosi in situazioni sociali. Egli è partito dalla constatazione che un individuo può soffrire di fobia sociale, ma essere comunque in grado di interagire socialmente, nonostante il malessere ed il disagio. Gli strumenti proposti definiscono l’ansia sociale come lo stato di ansia che si prova quando ci si sente valutati in una situazione di interazione sociale; due sono i tipi di ansia che vengono misurati, quella che è legata all’interazione sociale, cioè alle risposte sociali che sono in stretto rapporto ed in risposta al comportamento degli altri (Interaction Anxiousness Scale – IAS) e quella che deriva dall’essere in pubblico senza che la risposta sociale sia in rapporto al comportamento altrui (Audience Anxiousness Scale – AAS). La IAS è composta da 15 item e la AAS da 12; per ogni item il punteggio viene dato su di una scala da 1 (falso o non caratteristico per me) a 5 (vero o caratteristico per me); alcuni item (3, 6, 10 e 15 per la IAS e 2 e 8 per la AAS) hanno il punteggio invertito. Le due scale, che possono essere utilizzate sia assieme sia separatamente, hanno dimostrato di avere ottime qualità psicometriche. Poiché nessuna delle scale disponibili era capace di abbracciare l’insieme delle difficoltà sociali e prestazionali che la fobia sociale comporta, Liebowitz (1987) ha messo a punto la Liebowitz Social Phobia Scale – LSPS, una scala di eterovalutazione che tiene conto, in maniera più completa, delle difficoltà sociali e prestazionali che il disturbo comporta. È composta da 24 item che esplorano, 13 l’ansia prestazionale o di performance (e sono indicati con la lettera P) ed i rimanenti 11 l’ansia sociale (e sono contraddistinti dalla lettera S). Per ogni item è richiesta una valutazione dell’ansia/paura legata a ciascuna situazione descritta e, separatamente, del grado di evitamento. Si ottengono perciò 4 tipi diversi di valutazione: paura/ansia prestazionale, evitamento della prestazione, paura/ansia sociale ed evitamento sociale. La scala si è dimostrata sensibile alle modificazioni indotte dal trattamento ed è stata utilmente impiegata anche nelle situazioni fobiche simulate (naturalmente all’insaputa del paziente). Visto che, nonostante il crescere dell’interesse verso la Fobia Sociale, a fronte di numerose scale di autovalutazione è disponibile un’unica scala di eterovalutazione, la LSPS, alcuni Autori (Davidson et al., 1991) hanno pensato di mettere a punto una scala di eterovalutazione che fosse più breve e più agile della LSPS. La scala proposta è la Brief Social Phobia Scale – BSPS, una scala composta da 18 item di cui, i primi 7 vengono valutati due volte, una per la gravità ed una per l’evitamento delle situazioni fobiche prese in esame, i rimanenti 4 valutano, invece, i segni fisiologici che si accompagnano alla (o anticipano la) situazione sociale. Il clinico deve accertare che la paura sia legata al timore di un giudizio negativo e che l’evitamento non sia dovuto a fattori estranei (come, ad esempio, la mancanza di interesse). Prima di affrontare la descrizione delle scale di valutazione dell’Agorafobia, è necessario fare una premessa. Per il DSM-IV la caratteristica fondamentale dell’agorafobia è uno stato di ansia dovuta al fatto di trovarsi in luoghi o in situazioni da cui può essere difficile (o imbarazzante) fuggire, o nei quali potrebbe essere impossibile ricevere aiuto nel caso si presentassero attacchi di panico inattesi, o situazionali, o altri sintomi di tipo panico, come essere lontani da casa da soli, essere in un luogo affollato o in coda, essere su di un ponte, viaggiare in autobus, treno o macchina. Altri Autori (e fra questi la Chambless) puntano, invece, l’attenzione sul rapporto con l’attacco di panico ed in particolare sull’agorafobia come paura del ripresentarsi dell’attacco di panico. Del resto, è del tutto evidente che l’agorafobico (naturalmente quando l’agorafobia si associa agli attacchi di panico, che del resto è l’evenienza più frequente) impronta il suo comportamento in funzione della prevenzione degli attacchi di panico. Questo comportamento è stato definito anche come "paura della paura" ed è caratterizzato dalla presenza di fobie multiple, relative ad attività comuni, combinate tra loro nella maniera più eterogenea e con grado diverso di gravità. Questa paura comprende, da un lato, la preoccupazione circa le potenziali conseguenze catastrofiche dell’attacco di panico (ad esempio, la paura di morire, di diventare pazzo), dall’altro, la risposta esagerata alle sensazioni somatiche associate con l’ansia anticipatoria o con l’ansia in situazioni fobiche (ad esempio, le palpitazioni). La Chambless ha messo a punto due questionari che misurano, l’uno, il Body Sensations Questionnaire – BSQ, la paura delle sensazioni somatiche associate ad un livello elevato di "arousal" ed al panico e, l’altro, l’Agoraphobic Cognitions Questionnaire – ACQ, le preoccupazioni circa le possibili conseguenze del panico (Chambless et al., 1984). Il BSQ è uno strumento di autovalutazione composto da 18 item derivati dalle sensazioni che i pazienti stessi definiscono come più disturbanti e come maggiormente associate all’ansia. Gli item sono valutati su di una scala a 5 punti in cui 1 corrisponde a "non spaventato o non preoccupato dalla sensazione" e 5, a "estremamente spaventato dalla sensazione"; della scala viene calcolato il punteggio totale medio sommando i punteggi degli item e dividendo per il numero degli item segnati positivamente. L’ACQ è composto da 15 item che esprimono le possibili conseguenze catastrofiche dell’attacco d’ansia. Gli item sono valutati su di una scala a 5 punti (da 1 = Non penso mai questo, a 5 = Lo penso ogni volta che sono ansioso) e, come per il BSQ, si calcola il punteggio totale medio. Si possono isolare due fattori che esprimono, uno le conseguenze fisiche ed uno quelle socio/comportamentali, anche se poi, in genere, si usa il punteggio totale medio come indice della "paura della paura". Sempre il gruppo della Chambless (Chambless et al., 1985) ha messo a punto un terzo strumento per misurare la gravità del comportamento di evitamento agorafobico, il Mobility Inventory for Agoraphobia – MIA. Questa scala, anch’essa di autovalutazione, è più aderente al concetto di agorafobia secondo il DSM e misura l’evitamento in 27 situazioni ed in rapporto al fatto che il paziente sia solo o accompagnato. Il MIA esplora anche il numero (nell’ultima settimana e nelle ultime 3 settimane) e la gravità degli attacchi di panico e, infine, le caratteristiche e l’estensione della cosiddetta "zona di sicurezza". Tutti e tre gli strumenti hanno mostrato ottime caratteristiche psicometriche. Pancheri (1995) ha presentato una sua Agoraphobia Rating Scale – ARS articolata in due sezioni, entrambe di 6 item, che esplorano, la prima, i "modi di spostamento" (dalla passeggiata all’aereo) e, la seconda, le "aree di spostamento" (dal semplice uscire da casa al viaggio con pernottamento). Per ogni item viene valutata sia la gravità della paura/ansia, sia la frequenza dell’evitamento e, in entrambi i casi, quando il paziente è da solo o in compagnia. Gli studi di validazione della scala sono ancora in corso. La maggior parte dei pazienti con Disturbo da Panico ha anche, come abbiamo appena detto, fobie (soprattutto agorafobia) ed ansia anticipatoria. Per questo, in passato, la valutazione del disturbo veniva effettuata, di solito, utilizzando congiuntamente scale per l’ansia generalizzata e per le fobie, magari modificate. Sheehan (1984) ha messo a punto la Panic Attack and Anticipatory Anxiety Scale – PAAAS, uno strumento che consente di determinare il numero di attacchi di panico maggiori e minori, situazionali e inattesi, occorsi nel periodo di tempo specificato, la durata e l’intensità delle crisi e la percentuale di tempo trascorso con ansia anticipatoria. Le informazioni vengono raccolte mediante una breve intervista semistrutturata. La scala è ampiamente usata negli studi sul disturbo di panico. Può essere tuttavia utile valutare separatamente gli attacchi di panico mediante la compilazione di un diario nel quale vengono annotate la frequenza, la durata e la gravità degli attacchi e, quando presenti, gli eventi o le situazioni precipitanti, in modo da avere una misura attendibile dei miglioramenti sotto trattamento. Clum e collaboratori (1990) hanno proposto due strumenti, entrambi di autovalutazione, per il disturbo di panico, il Panic Attack Symptoms Questionnaire – PASQ ed il Panic Attack Cognitions Questionnaire – PACQ. Il PASQ misura la durata (ed indirettamente anche la gravità) dei sintomi che si presentano durante un attacco di panico. Gli item, 33, sono tratti dalla descrizione DSM-III del disturbo di panico, dalla letteratura sull’argomento e da interviste con i pazienti. La valutazione viene fatta su una scala a 6 punti, dall’assenza del sintomo (=0) ad una sua durata protratta (un giorno o due = 5), indicando, i punteggi più elevati, una maggior durata dei sintomi. Il PACQ, progettato in parallelo con la PASQ, misura l’atteggiamento cognitivo associato all’attacco di panico: il paziente è chiamato a dire quali sensazioni angoscianti, catastrofiche, accompagnano o seguono l’esperienza panica e che intensità raggiungono su di una scala a 4 punti (da 1 = Per niente a 4 = Dominano totalmente i miei pensieri). Le due scale hanno dimostrato ottime proprietà psicometriche e sono in grado di discriminare i soggetti con attacchi di panico da quelli con altri disturbi d’ansia ma senza attacchi di panico.
Dato il decorso generalmente protratto di questo disturbo e la necessità di un trattamento prolungato, Keller e collaboratori (1987) hanno sviluppato, nel contesto della SADS (Schedule for Affective Disorders and Schizophrenia) (Endicott e Spitzer, 1978), un sistema di rilevazione longitudinale, il Longitudinal Interval Follow-up Evaluation – LIFE, che è stato adottato anche per la valutazione a lungo termine di molti altri disturbi. Lo strumento, che prende in considerazione le ultime 16 settimane, prevede la valutazione del disturbo (o dei disturbi, in caso di comorbidità), del trattamento psicofarmacologico o somatico e di eventuali comportamenti suicidari settimana per settimana, di eventuali psicoterapie, dell’adattamento sociale e di quello sessuale mese per mese.