di Silvia Baldassari, Bruno Pacciardi, Mauro Mauri
Abbiamo detto che il DSM-III, introducendo l’approccio categoriale, ha segnato il punto di rottura rispetto alla nosografia classica, descrittiva. In questa nuova prospettiva, anche la diagnosi dei DP ha acquistato una nuova dimensione ed ha consentito la messa a punto di interviste diagnostiche più o meno strutturate e di RS in grado di aiutare il clinico a formulare diagnosi categoriali e dimensionali di questi disturbi più affidabili e confrontabili.
Il DSM-III (così come le edizioni successive, III-R e IV) opera una preliminare distinzione fra "tratti" e "disturbi" di personalità: "I tratti di personalità sono modi costanti di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell’ambiente e di se stessi, che si manifestano in un ampio spettro di contesti sociali e personali importanti. Solo quando i tratti di personalità sono rigidi e non adattivi, e causano quindi una significativa compromissione del funzionamento sociale o lavorativo, oppure una sofferenza soggettiva, essi costituiscono Disturbi di Personalità."
Secondo il DSM, la caratteristica essenziale di un DP è un modello costante di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo, e si manifesta nell’ambito della cognitività, dell’affettività, del funzionamento interpersonale o del controllo degli impulsi. Questo modello è inflessibile e pervasivo, interessa un ampio spettro di contesti personali e sociali, e determina un disagio clinicamente significativo o la compromissione del funzionamento sociale, lavorativo, o di altre aree importanti della vita dell’individuo. Si tratta di un quadro stabile e di lunga durata il cui esordio si può far risalire all’adolescenza o alla prima età adulta.
La diagnosi di DP può non essere facile poiché richiede una valutazione del modello di funzionamento a lungo termine dell’individuo e le particolari caratteristiche di personalità devono essere evidenti fin dalla prima età adulta. I tratti di personalità che definiscono questi disturbi devono anche essere tenuti distinti da caratteristiche che emergono in risposta ad eventi stressanti situazionali specifici o a stati mentali transitori. Il concetto di sofferenza soggettiva può mancare in questa patologia poiché le caratteristiche che definiscono un DP possono non essere considerate problematiche da parte dell’individuo (tratti egosintonici).
Prima della pubblicazione del DSM-III (1980), l’affidabilità delle diagnosi dei singoli DP risultava estremamente bassa: in uno studio di Spitzer e Fleiss del 1974, l’inter-rater reliability (kappa) per le diagnosi cliniche di DP risultava pari a 0.32. L’introduzione di più precisi criteri diagnostici ha fornito elementi più precisi, stabili ed affidabili per la messa a punto di strumenti capaci di migliorare la concordanza diagnostica, anche se si devono registrare ancora dei limiti, almeno in parte dovuti al fatto che molti strumenti focalizzano la loro attenzione sulla valutazione di specifici "tratti", senza tenere in alcuna considerazione la componente di disagio o di malfunzionamento che essi procurano al soggetto. Uno dei limiti degli attuali test diagnostici è, infatti, quello di "tagliare" tutta la patologia che non raggiunge la soglia di disturbo, con conseguenti limiti per il trattamento corretto e mirato della sintomatologia presentata dal paziente, per cui non è fuori luogo sottolineare che uno strumento diagnostico adeguato deve tenere in considerazione, nella formulazione di una diagnosi di DP, non solo il concetto di "tratto", ma anche quello di "disagio" (Schotte et al., 1998).
I primi strumenti diagnostici standardizzati che sono stati sviluppati in seguito alla pubblicazione del DSM-III hanno privilegiato la diagnosi categoriale di DP, al fine di rendere questa diagnosi maggiormente attendibile e riproducibile. Solo in un secondo tempo l’interesse si è focalizzato sugli aspetti dimensionali della personalità, e pertanto anche sulle componenti della personalità normale e sulle loro modificazioni in senso patologico. Quest’ultima prospettiva è stata quella che ha permesso un incremento della conoscenza in senso neurofisiologico dei DP, e che ne ha consentito un più preciso approccio in termini psicofarmacologici.
La valutazione standardizzata dei DP, per quanto abbia avuto un significativo sviluppo positivo, presenta ancora alcuni problemi in diversi settori.
In primo luogo, appare ancora limitata la riproducibilità della diagnosi: su questo limite gioca probabilmente un ruolo importante l’influenza che il disturbo di stato esercita sulla valutazione della personalità, visto che la maggior parte degli studi effettuati con strumenti standardizzati di valutazione sono stati condotti su popolazioni di pazienti psichiatrici affetti, generalmente, da altri disturbi di Asse I, e numerosi studi dimostrano che la patologia di Asse I interferisce notevolmente con molte dimensioni della personalità (anche se non con tutte). Un’influenza notevole sulla riproducibilità di queste diagnosi è esercitata anche dal maggiore spazio che le interviste semistrutturate per i DP lasciano, rispetto a quelle per i disturbi di Asse I, alla soggettività dell’intervistatore e dalla più frequente necessità, per questi disturbi, di ricorrere ad informazioni fornite da familiari e conoscenti. Non dobbiamo dimenticare, comunque, che almeno una parte delle diagnosi di DP, per quanto clinicamente ragionevoli, non sono state ancora adeguatamente validate da specifiche ricerche e che, soprattutto per i disturbi del Cluster C, non sono ancora pienamente chiariti i rapporti tra i disturbi di Asse I ed Asse II.
Un altro elemento critico è l’affidabilità al test-retest che appare fortemente condizionato dalla lunghezza dell’intervallo tra una valutazione e l’altra. In uno studio di O’Boyle e Self, il valore di kappa variava mediamente di .20 passando da un intervallo di tempo più lungo ad uno più breve fra le valutazioni: una scarsa concordanza (k<.40) era quattro volte più frequente negli studi di lungo intervallo (O’Boyle e Self 1990). Non era precisato se la peggiore affidabiltà fosse in rapporto con cambiamenti della condizione psichica. Certamente alcuni strumenti di valutazione della personalità sono più stato-dipendenti di altri, sono cioè più sensibili alla presenza di patologia di Asse I: è il caso, ad esempio, del Millon Clinical Multiaxial Inventory – MCMI del quale ben 10 delle 11 scale da cui è composto cambiano in presenza di depressione. D’altra parte, i pochi studi volti ad indagare direttamente i rapporti tra cambiamento di stato e personalità sembrano indicare un miglioramento dei DP alla rivalutazione del paziente dopo il miglioramento dei sintomi di stato. C’è da dire, comunque, che questi cambiamenti sono stati osservati nei pazienti con disturbi d’ansia e dell’umore e che i tratti di personalità sensibili al cambiamento del disturbo di Asse I riguardano la forza emotiva, la dipendenza interpersonale e l’estroversione, ma non la rigidità, il livello di attività e la dominanza.
La diagnosi di DP pone anche altri problemi metodologici: è stato osservato che i pazienti per i quali la diagnosi di DP viene fatta retrospettivamente sono, generalmente, esempi prototipici di DP. Inoltre, quando la diagnosi di DP viene formulata clinicamente, è alta la probabilità che venga confermata dalle valutazioni effettuate in ambito di ricerca, mentre non è altrettanto vero il contrario. Questo induce a pensare che i pazienti per i quali la diagnosi è stata formulata clinicamente rappresentino la punta emergente dell’iceberg relativo a questa patologia e che, pertanto, la maggior parte degli studi condotti su questi soggetti riguarderebbero solo (o prevalentemente) soggetti gravemente disturbati. L’affidabilità diagnostica dei DP sarebbe pertanto correlata con la prototipicità dei pazienti: quanto più un paziente soddisfa, su base clinica, i criteri diagnostici, tanto più i suoi punteggi saranno al di sopra della soglia diagnostica alle valutazioni standardizzare. Se gli studi di affidabilità al test-retest vengono effettuati su pazienti con DP più marcati, la stabilità diagnostica sarà molto maggiore rispetto a quella che si può rilevare su pazienti ammessi in ospedale generale o visitati occasionalmente a livello ambulatoriale, poiché i soggetti con DP più gravi tendono ad essere casi prototipici.
Molti Autori, inoltre, ritengono che pazienti in fase acuta di malattia sovrariferiscano la loro patologia e suggeriscono, perciò, il ricorso ad informatori poiché il bias dovuto al disturbo psichiatrico invaliderebbe il resoconto del paziente.
Nonostante gli innegabili progressi compiuti nel campo della valutazione standardizzata dei DP, siamo ancora ben lontani dall’avere raggiunto un generale consenso tanto sui metodi di valutazione quanto, soprattutto, sul tipo e sul numero delle dimensioni necessarie a descrivere i DP.
Per concludere, non si può sottacere uno dei problemi di maggiore impatto nella pratica clinica, che è quello relativo alla lunghezza degli strumenti di valutazione (ed alla conseguente quantità di tempo necessaria per la loro applicazione), peraltro necessaria in quanto lo studio della personalità e dei DP interessa un’area che comprende molteplici caratteristiche ("tratti") relative alla cognitività, agli aspetti relazionali, affettivi, eccetera, spesso sfumate, talora ai limiti fra la normalità e la patologia, non di rado modi di essere, comportamenti, assetti cognitivi, che fanno parte integrante della personalità dell’individuo e dei quali, perciò, il soggetto è riluttante a riconoscerne e/o ad ammetterne eventuali caratteristiche patologiche.
Oltre all’impiego di strumenti di valutazione adeguati, una più corretta valutazione dei DP richiederebbe di indagare preliminarmente l’eventuale presenza di patologia di Asse I, sia in funzione della possibile interferenza del disturbo di stato sui tratti di personalità, sia per un inquadramento clinico più completo. Alcuni Autori suggeriscono anche l’opportunità di avvalersi di notizie raccolte da altre fonti (familiari, amici, eccetera) e per alcuni strumenti di valutazione (ad esempio, lo SCID-II) questo è esplicitamente previsto.
GLI STRUMENTI DI VALUTAZIONE DEI DISTURBI DI PERSONALITÀ
Possiamo distinguere gli strumenti di valutazione dei DP in due categorie, quelli diagnostici e quelli settoriali. I primi consentono di giungere ad una diagnosi (generalmente categoriale) di DP, i secondi esplorano specifici DP (e quasi tutti riguardano il Disturbo Borderline di Personalità).
Strumenti di valutazione diagnostica dei DP
La pubblicazione del DSM-III, nel 1980, ha stimolato ampiamente la produzione di strumenti per la valutazione diagnostica dei disturbi di Asse II (Tab. 22.IV), che, come abbiamo già accennato, era stata indirizzata, in precedenza verso indagini che esploravano più costrutti psicoanalitico/psicodinamici che specifiche ed affidabili categorie diagnostiche. Molti di questi strumenti hanno subìto nel tempo adattamenti sia per recepire i cambiamenti apportati alla classificazione diagnostica dalle due successive edizioni del DSM (-III-R e -IV), sia per migliorare la qualità dello strumento in base ai risultati dell’esperienza sul campo.
La Personality Assessment Schedule – PAS (Tyrer e Alexander, 1979) può essere considerata come il prototipo delle scale di valutazione dei DP. È un’intervista semistrutturata che esplora, mediante una scala a 9 punti, 24 aree e consente la formulazione di diagnosi di personalità che sono praticamente sovrapponibili ai cluster del DSM-III. Gli Autori suggeriscono di intervistare anche un "informant", una persona, cioè, che conosce bene il soggetto, per evitare il rischio che sintomi di stato mascherino la sintomatologia. Le categorie diagnostiche isolate dal PAS sono mutuamente escludentisi. Uno dei punti di forza di questo strumento è l’elevata affidabilità delle diagnosi.
Nel 1980 Costa e McCrae svilupparono il NEO Inventory, uno strumento di autovalutazione per lo studio di tre fattori ortogonali di personalità, Neuroticism (N), Extraversion (E) e Openness to experience (O) (nevroticismo, estroversione ed apertura all’esperienza), ognuno articolato su sei aspetti. Nel 1985 furono aggiunte due scale per la valutazione di Agreableness (A) e Conscientiousness (C) (disponibilità e coscienziosità) ed il nuovo strumento prese il nome di NEO Personality Inventory – NEO-PI. Mediante l’analisi fattoriale dei dati raccolti con il NEO-PI sono stati isolati 5 fattori ed è stata creata una scala ridotta, la NEO FiveFactor Inventory – NEO-FFI (Costa e McCrae, 1989), utilizzando i primi 12 item che saturavano (positivamente o negativamente) quei 5 fattori. Nel 1992, infine, gli Autori hanno messo a punto la Revised NEO Personality Inventory – NEO-PI-R che comprende un certo numero di item studiati appositamente per valutare la validità delle risposte.
La base scientifica su cui poggia lo strumento (a partire dal NEO-PI) è il "Five-Factor Model of personality" (Digman, 1990) che si è dimostrato un modello universale e di notevole rilevanza pratica. Gli Autori hanno individuato 30 "caratteristiche" che, sulla base della loro esperienza, meglio si prestavano a definire i cinque fattori della personalità. È stato dimostrato che tutti i DP descritti dal DSM-III sono correlati a uno o più dei cinque fattori, e che questi fattori possono dare giustificazione di alcuni importanti aspetti dei DP, anche se non riescono a spiegarne completamente le loro caratteristiche (Yeung et al., 1993).
Lo Standardized Assessment of Personality Disorder – SAP (Mann et al., 1981) è una breve intervista clinica standardizzata sviluppata per classificare in termini clinici la personalità premorbosa dei pazienti in riferimento all’ICD-9. L’intervista, che richiede circa dieci minuti e può essere effettuata anche per telefono, è condotta con un informatore (un familiare o un amico) che ha con il soggetto una consuetudine ed una conoscenza tali da poter fornire una descrizione della sua personalità accurata ed affidabile.
TAB. 22.IV – PRINCIPALI STRUMENTI DIAGNOSTICI PER I DISTURBI DI PERSONALITÀ
Strumento | Autore/i | Criteri Diag. | nº item | Valutazione | Scoring |
Personality Assessment Schedule – PAS | Tyrer e Alexander, 1979 | cluster | 24 | etero | 0 – 9 |
NEO Inventory | Costa e McCrae, 1980 | 3 fattori | 144 | auto | scala a 5 punti |
NEO Personality Inventory Revised – NEO-PI-R | Costa e McCrae, 1992 | 5 fattori | 240 | auto | scala a – 5 punti |
Standardized Assessment of Personality Disorder – SAP | Mann et al., 1981 | ICD-9 | 3 sezioni | etero | vario |
Personality Diagnostic Questionnaire – PDQ | Hyler et al., 1982 | DSM-III | 152 | auto | vero/falso |
Personality Diagnostic Questionnaire-Revised – PDQ-R | Hyler et al., 1988 | DSM-III-R | 163 | auto | vero/falso |
Personality Diagnostic Questionnaire-4 – PDQ-4 | Hyler, 1994 | DSM-IV | 85 | auto | vero/falso |
Structured Interview for DSM Personality Disorders – SIDP | Pfohl et al., 1982 | DSM-III | 160 | etero | 0 – 1 – 2 |
Structured Interview for DSM-IV Personality Disorders – SIDP-IV | Pfohl et al., 1995 | DSM-IV | 160 | etero | 0 – 1 – 2 |
Millon Clinical Multiaxial Inventory – MCMI | Millon, 1982 | DSM-III | 175 | auto | vero/falso |
Millon Clinical Multiaxial Inventory-II – MCMI-II | Millon, 1987 | DSM-III-R | 175 | auto | 1 – 3 |
Diagnostic Interview for Personality Disorders – DIPD | Zanarini et al., 1987 | DSM-III | 252 | etero | 0 – 1 – 2 |
Structured Clin. Interv. for DSM-III Personality Disorders – SCID-II | Spitzer et al., 1985 | DSM-III | 120 | etero | ? – 1 – 2 – 3 |
Structured Clin. Interv. for DSM-IV Axis Two Personality Dis. – SCID-II | First et al., 1997 | DSM-IV | 120 | etero | ? – 1 – 2 – 3 |
Personality Disorder Examination – PDE | Loranger et al., 1987 | DSM-III | 280+79 | etero | 0 – 1 – 2 – ? |
International Personality Disorder Examination – IPDE | Loranger et al., 1994 | DSM-III-R ICD-10 | 157 | etero | 0 – 1 – 2 |
Tridimensional Personality Questionnaire – TPQ | Cloninger, 1987 | 3 dimensioni | 100 | auto | vero/falso |
Temperament and Character Inventory – TCI | Cloninger et al., 1994 | 7 dimensioni | 240 | auto | vero/falso |
Wisconsin Personality Disorders Inventory-IV – WISPI-IV | Klein et al. 1993 | DSM-IV | 214 | auto | 1 – 10 |
Assessment of DSM-IV Personality Disorders – ADP-IV | Schotte e De Doncker, 1994 | DSM-IV | 94 | auto | 1 – 7 |
DSM-IV and ICD-10 Personality Questionnaire – DIP-Q | Ottosson et al., 1995 | DSM-IV ICD-10 | 140 | auto | vero/falso |
Shedler-Westen Assessment Procedure – SWAP-200 | Westen e Sheder, 1998 | DSM-IV | 200 | etero | 0 – 8 |
Gli Autori ritengono, infatti, che la descrizione fornita da un informatore sia più oggettiva, più stabile nel tempo e non stato-dipendente: meglio se l’informatore è di sesso femminile, poiché sembra che le donne forniscano informazioni più affidabili e più stabili.
L’intervistatore, una volta stabilito che l’informatore corrisponde ai requisiti necessari, chiede di descrivere com’è il soggetto di solito, e se la descrizione fornita non copre adeguatamente le aree di interesse, sono predisposte sette domande standard da porre; se nel corso dell’intervista sono state dette delle parole chiave indicate in un’apposita lista (ad esempio, facilmente indisposto dagli altri, mai rilassato, eccentrico, sempre senza energia, pieno di energia, impaziente, molto coscienzioso, iperdipendente, eccetera), queste vengono segnate e quindi ulteriormente approfondite con l’informatore in modo da stabilire se queste caratterizzano (ed in che misura) la vita del soggetto. La diagnosi di DP viene posta se sono soddisfatti i criteri previsti e se ad essi è correlato un significativo disagio. La SAP può essere utilizzata per effettuare indagini di screening su ampie popolazioni di soggetti, al fine di individuare probabili caratteristiche patologiche della personalità, da indagare successivamente con strumenti più specifici.
Il Personality Diagnostic Questionnaire – PDQ (Hyler et al., 1982) è uno strumento di autovalutazione composto da 152 item (raggruppati in 14 scale) a risposta dicotoma (vero/falso). Lo strumento consente di valutare la presenza/assenza dei Disturbi di Personalità così come classificati dal DSM-III, con un’attendibilità buona per i DP Compulsivo, Antisociale, Borderline, Evitante, Paranoide e Schizotipico (valori di kappa compresi fra .75 e .56), ma non per gli altri e con una marcata tendenza alla sovradiagnosi che ne consiglia l’impiego solo come strumento di screening (Hyler et al., 1988). Gli stessi Autori hanno messo successivamente a punto una versione rivista secondo i criteri del DSM-III-R, il Personality Diagnostic Questionnaire-Revised – PDQ-R (Hyler et al., 1990). Il PDQ-R è composto da 163 item a risposta vero/falso che individuano, oltre agli 11 DP descritti dal DSM-III-R , il DP Masochistico e Sadico. Dei 163 item, 151 si riferiscono alle 13 subscale dei DP, le altre si riferiscono ad una scala composita che misura il livello globale della sintomatologia di Asse II, la scala di "compromissione/sofferenza" e due scale di validità (TG = too good ed SQ = suspected questionnaire). La diagnosi di DP viene formulata soltanto quando il soggetto, oltre a soddisfare i criteri diagnostici specifici per il DP, raggiunge un adeguato punteggio nella scala di "compromissione/sofferenza". Il PDQ-R ha dimostrato un’elevata sensibilità ma una modesta specificità, confermandosi molto utile, così come la versione precedente, come strumento di screening (tanto nella popolazione generale che nei pazienti psichiatrici), soprattutto per la valutazione globale del significato clinico di specifici DP, piuttosto che come strumento di valutazione della presenza/assenza dei singoli DP.
Con l’adattamento al DSM-IV sono stati introdotti nel PDQ altri cambiamenti: il numero degli item è stato ridotto ad 85, distribuiti nello strumento in maniera casuale e non più organizzati secondo i disturbi di personalità; sono state introdotte due scale di validità per identificare i soggetti che tendono a porsi in buona luce e quelli che mentono ed infine, quando viene identificato un disturbo di personalità, ne viene verificata la significatività clinica mediante la Clinical Significance Scale, una breve intervista effettuata dal clinico.
Questo strumento è disponibile in due versioni, la PDQ-4, che esplora i 10 DP indicati dal DSM-IV, e la PDQ-4+ che esplora anche il disturbo Passivo-Aggressivo (Negativistico) e il disturbo Depressivo. È disponibile, inoltre, una versione che valuta il cambiamento e che indaga le ultime settimane (o gli ultimi mesi) invece che gli anni precedenti.
La Structured Interview for DSM Personality Disorders – SIDP (Pfohl et al., 1982) è la prima intervista strutturata messa a punto per la diagnosi di tutti i DP previsti dal DSM-III e che successivamente gli Autori hanno aggiornato al DSM-III-R (SIDP-R, Pfohl et al., 1989) e quindi al DSM-IV (SIDP-IV, Pfohl et al., 1995).
La prima versione era composta da 160 item, raggruppati in 16 sezioni correlate a specifici tratti psicologici o ad aspetti comportamentali (ad esempio, "autostima", "dipendenza", "livello di interazione sociale", eccetera). Al termine di ogni sezione erano riportati i criteri per i DP del DSM-III più attinenti a quella sezione (ad esempio, per la sezione relativa alla bassa autostima, i DP da prendere in considerazione erano l’Istrionico, il Dipendente e l’Evitante) e ogni criterio doveva essere valutato in base a tre livelli di gravità. La SIDP prevede anche domande da porre, previo consenso del paziente, ad un informatore; in caso di discrepanza tra la risposta del soggetto e quella dell’informatore, il valutatore sceglieva quella che, a suo giudizio, era la più attendibile. È stato documentato che con questa procedura migliora l’attendibilità della diagnosi degli specifici DP. Con questo strumento, l’affidabilità dei DP è risultata buona, con l’eccezione del Disturbo Evitante, e l’inter-rater reliability è risultata molto elevata per i disturbi Schizotipico, Passivo-Aggressivo, Istrionico, Borderline e Dipendente.
La versione relativa al DSM-III-R, la SIDP-R, non presenta sostanziali cambiamenti strutturali rispetto alla versione precedente, mentre alcune modifiche sono state apportate alla SIDP-IV, la versione rivista in base ai criteri del DSM-IV: gli item sono stati ridotti a 101 e raggruppati in 10 sezioni; un sistema computerizzato fornisce automaticamente i risultati ed i punteggi dimensionali delle varie diagnosi.
Per quanto prevalga, in psichiatria, l’approccio categoriale, i modelli dimensionali sono generalmente considerati come più aderenti alla realtà e più affidabili. Il punto nodale è che l’approccio categoriale ha fornito, anche nel campo dei DP, dei punti di riferimento precisi per la diagnosi, mentre quelli dimensionali non sono riusciti a farlo ed anzi le teorie alle quali fanno riferimento sono eterogenee ed in ampio disaccordo tra loro anche sul numero e sul contenuto delle dimensioni necessarie per descrivere la personalità e la sua patologia. In mancanza di accordo, gli strumenti proposti per la valutazione della personalità sono eterogenei e scarsamente confrontabili tra loro. Così, abbiamo visto che Costa e McCrae hanno fondato lo sviluppo del loro NEO-PI-R sul "Five-Factor Model" della personalità (dove i fattori sono Neuroticism, Extraversion, Openness to experience, Agreableness e Conscientiousness), e adesso vediamo che Millon, la cui teoria della personalità rappresenta un tentativo di conciliare l’approccio dimensionale a quello categoriale, propone come fondamento del suo Millon Clinical Multiaxial Inventory – MCMI (Millon, 1982) tre dimensioni della personalità: attività/passività, orientamento su sé/sugli altri e motivazione piacere/
dolore. Utilizzando queste dimensioni, ha derivato dei pattern di comportamento della personalità che si avvicinano molto ai DP proposti dal DSM-III (anche se l’Autore ammette che, quando iniziò a sviluppare l’MCMI, non pensava affatto a fare uno strumento atto a misurare il DSM-III, e che solo più tardi si convinse dell’opportunità di renderlo il più consono possibile, nella struttura e nel linguaggio, a quel sistema di classificazione).
L’MCMI è uno strumento di autovalutazione di 175 item a risposta dicotoma (vero/falso). Sulla base della visione di Millon dei DP, lo strumento fornisce otto "pattern di base della personalità" (Schizoide, Evitante, Dipendente, Istrionico, Narcisistico, Antisociale, Compulsivo e Passivo-Aggressivo) e tre strutture patologiche di personalità (Schizotipica, Borderline e Paranoide) che, nella sua ottica, hanno una prognosi peggiore; genera inoltre nove sindromi cliniche correlate all’Asse I (Ansia, Somatoforme, Ipomania, Distimia, Abuso di alcol, Abuso di sostanze, Ideazione psicotica, Depressione psicotica e Deliri psicotici).
L’MCMI, che si fonda, come abbiamo detto, su tre dimensioni di personalità, rispecchia anche il concetto di fondo di Millon secondo cui le malattie psicologiche sono il risultato di deficit della capacità delle persone di far fronte a particolari sfide psicosociali. In definitiva, risponde ad un modello politetico della personalità, che prevede la possibilità di condivisione di un numero considerevole di item fra i diversi disturbi; teoricamente questo modello risulta coerente con il principio secondo cui i diversi DP condividono caratteristiche comuni.
A seguito della pubblicazione del DSM-III-R, Millon (1987) ha rielaborato il questionario (MCMI-II) in modo da renderlo capace di identificare le sindromi cliniche e di misurare i pattern di personalità dell’Asse II in maniera dimensionale (la valutazione è fatta su una scala a 3 punteggi ponderati). Per come è stato costruito, l’MCMI è in grado di misurare solo la personalità abnorme e le sindromi cliniche, ma non i tratti di personalità normali.
Gli studi condotti su questo strumento ne hanno evidenziato un’elevata validità ed una buona attendibilità al test-retest; anche la sensibilità è alta, ma la specificità nella diagnosi dei DP secondo il DSM risulta modesta. Ne deriva, quindi, che l’MCMI è un ottimo strumento di screening, ma che, in caso di positività, richiede un approfondimento ulteriore.
Sviluppata a partire dal 1982, la Diagnostic Interview for Personality Disorders – DIPD (Zanarini et al., 1987) è un’intervista semistrutturata che valuta la presenza/assenza di ciascuno degli undici DP del DSM-III ed è perciò suddivisa in 11 sezioni, una per ogni disturbo.
Ognuno dei 90 criteri previsti dal DSM-III per i DP è esplorato mediante una serie di domande per cui la DIPD è composta da 252 domande. Ciascun item è valutato 2 se presente e significativo sul piano clinico, 1 se presente e probabilmente clinicamente significativo e 0 se assente o senza significato clinico. Gli item relativi agli specifici disturbi sono articolati in un algoritmo che indica quali sono i criteri richiesti dal DSM-III per fare quella diagnosi. Per ogni disturbo, infine, si deve indicare se tutti i criteri sono soddisfatti (= 2), se ne sono soddisfatti più della metà (= 1) o se non sono soddisfatti (= 0). Lo strumento deve essere utilizzato da personale esperto e adeguatamente addestrato all’uso; l’intervista richiede da 60 a 90 minuti per la somministrazione. Gli studi di validazione hanno fornito risultati di buon livello. La DIPD è stata recentemente rivista in funzione delle modifiche apportate dal DSM-IV al capitolo dei DP (Diagnostic Interview for DSM-IV Personality Disorders – DIPD-IV).
Come abbiamo visto al Capitolo 7 a proposito degli strumenti di valutazione diagnostica, il gruppo della Columbia University di New York, in relazione alla pubblicazione del DSM-III, ha messo a punto una Structured Clinical Interview for DSM – SCID, aggiornata in funzione delle modifiche via via apportate alla classificazione diagnostica dal DSM-IIIR e dal DSM-IV. La SCID si articola in una serie di strumenti:
- la SCID-P (Patient version), per i pazienti ricoverati o per quei casi in cui la diagnosi differenziale richiede un’attenta valutazione della sintomatologia psicotica;
- la SCID-OP (Out-Patient version), per i pazienti ambulatoriali, meno gravi, o per situazioni in cui non è necessario un approfondito screening per la sintomatologia psicotica;
- la SCID-NP (Non-Patient version), per la valutazione di soggetti che si suppone esenti da patologia psichiatrica (campioni di controllo, indagini nella popolazione generale, eccetera).
Oltre a questi strumenti, che indagano i disturbi di Asse I, è stata messa a punto specificamente per la valutazione diagnostica dei disturbi di Asse II la SCID-II la cui versione attuale fa riferimento al DSM-IV (First et al., 1997).
La SCID-II è composta da 120 item valutati su di una scala a 4 livelli (da ? = informazioni insufficienti, a 3 = clinicamente rilevante o vero) ed articolati in undici sezioni, una per ogni DP (oltre al disturbo di personalità NAS). Ogni DP è indagato separatamente dagli altri in modo da rendere più immediata per l’intervistatore la valutazione della presenza/assenza di quello specifico DP (per la cui diagnosi devono essere soddisfatti un certo numero di criteri secondo quanto previsto dal DSM-IV). Trattandosi di un’intervista semistrutturata, l’intervistatore può (e deve) formulare domande, in aggiunta a quelle previste dallo strumento, laddove le risposte risultino ambigue o di difficile interpretazione. Nella SCID-II è compresa anche la SCID-Personality Questionnaire – SCID-PQ ("Questionario della Personalità"), una sezione facoltativa che può essere utilizzata come screening iniziale prima dell’intervista, a cui far seguire le domande della SCID-II se la risposta alla SCID-PQ risulta positiva.
In pratica, quindi, l’intervista dovrebbe iniziare con la versione della SCID più adatta alle circostanze (-P, -OP o -NP) per i disturbi di Asse I, la quale dovrebbe fornire informazioni sufficienti per ipotizzare l’eventuale presenza di un DP; in questo caso la somministrazione dalla SCID-PQ dovrebbe consentire all’intervistatore di non indagare tutti gli item che il soggetto non ha riconosciuto come rappresentativi del suo comportamento e del suo modo di sentire nel corso della maggior parte degli ultimi anni. La SCID-II finisce per avere, quindi, come obiettivo l’approfondimento di quegli item a cui il soggetto ha risposto affermativamente alla SCID-PQ, la quale è strutturata in maniera tale da consentire all’intervistatore di focalizzare l’attenzione sulle domande alle quali il soggetto ha risposto positivamente e sui corrispondenti item della SCID-II. È necessario, comunque, che vengano approfonditi anche alcuni degli item segnati come negativi se l’intervistatore ha ragione di credere che si tratti di "falsi negativi", oppure se gli item positivi al questionario (ed al successivo approfondimento) non raggiungono il numero di criteri richiesti per quella diagnosi per una unità (se, ad esempio, per una diagnosi sono richiesti 4 criteri e ne sono presenti solo 3).
Le proprietà psicometriche dello strumento sono molto buone e ne sottolineano l’affidabilità e la validità (First et al., 1995).
A partire dal 1983 Loranger ed i suoi collaboratori hanno lavorato alla realizzazione di un’intervista semistrutturata per la diagnosi dei DP secondo i criteri del DSM-III (Loranger et al., 1983), il Personality Disorder Examination – PDE. L’intervista è composta da 359 item, di cui 280 sono domande rivolte al soggetto e 79 valutano il comportamento tenuto dal paziente durante l’intervista. Le domande sono organizzate in sei sezioni in rapporto ad altrettante aree di funzionamento dell’individuo: lavoro, sé, relazioni interpersonali, affettività, esame di realtà, controllo degli impulsi. Ogni sezione comprende una domanda introduttiva generica che offre al soggetto la possibilità di parlare con maggiore libertà di quell’argomento: le risposte a queste domande non ricevono un punteggio, ma vengono annotate.
Ogni sezione è composta, a sua volta, da una serie di domande specifiche, a risposta libera; ogni domanda viene valutata su una scala a tre punti: assente o normale (0); eccessivo o esagerato (1); patologico o decisamente positivo (2). In caso di necessità l’intervistatore può chiedere chiarimenti e fare altre domande. Un certo numero di item riguarda il comportamento del soggetto durante l’intervista. I criteri per i vari DP possono essere valutati in due modi: il primo utilizza una soglia predeterminata basata sulla natura degli item e la frequenza dei dati, mentre il secondo fa riferimento al giudizio clinico. Il metodo statistico rende i dati più confrontabili tra i diversi valutatori, ma ha lo svantaggio di imporre una soglia arbitraria, predeterminata. Ciascun DP è valutato in base ad un insieme di item: i punteggi degli item che compongono uno specifico disturbo vengono sommati a determinare un punteggio dimensionale di quel disturbo. Ogni soggetto riceve un punteggio in ciascun disturbo, indipendentemente dal fatto che i criteri diagnostici siano raggiunti: i punteggi possono essere riportati su di un grafico a tracciare un profilo di personalità dei singoli soggetti (Fig. 22.1).
La versione successiva, adattata ai criteri del DSM-III-R (Loranger, 1988) presenta alcune differenze rispetto alla precedente: comprende una sezione in più per la valutazione del comportamento precedente ai 15 anni di età. Alcuni criteri (molto pochi: ad esempio alcuni criteri che si riferiscono ad individui che hanno figli o che svolgono comunque funzioni di sorveglianza di bambini) possono non essere applicabili ad alcuni soggetti ed in questo caso l’item viene codificato come "non applicabile" (NA). Alla fine dell’intervista sono riportati sei criteri per la valutazione del comportamento osservato durante la somministrazione del test. Il tempo di somministrazione del PDE è variabile, ma comunque compreso fra una e due ore.
Le caratteristiche psicometriche del PDE sono risultate di buon livello: sono stati riscontrati elevati valori di attendibilità per tutti i DP (valori di kappa compresi fra .70 e .96) ed in particolare per i disturbi Borderline, Compulsivo, Schizotipico, Istrionico e Antisociale; l’inter-rater reliability per i punteggi dimensionali di ciascun disturbo è risultata molto elevata e l’affidabilità al test-retest a breve termine è risultata moderatamente buona.
Partendo dal PDE, modificato per renderlo compatibile con l’ICD-10 e per un impiego a livello internazionale, è stato messo a punto l’International Personality Disorder Examination – IPDE (Loranger et al., 1994), lo strumento più ampio che sia stato sviluppato per la diagnosi categoriale di DP. Esso esplora, insieme al soggetto intervistato, i comportamenti e le esperienze di vita, attraverso la valutazione degli oltre 150 criteri previsti dai sistemi diagnostici, che vengono utilizzati per porre una diagnosi di DP.
Nonostante che l’IPDE preveda un adeguato numero di domande, l’esaminatore deve attuare un attento esame clinico del soggetto, utilizzando, se necessario, esempi, aneddoti e dettagli di chiarimento e di conferma. Un comportamento o un tratto deve essere presente per più di 5 anni per poter essere considerato una manifestazione di DP; inoltre, qualsiasi criterio diagnostico, deve essersi presentato prima dei 25 anni perché il relativo disturbo possa essere considerato presente. I 157 item dello strumento sono valutati su una scala a tre livelli: 0 = assente, 1 = presente in misura moderata, 2 = presente a livello patologico/soddisfa i criteri. L’elaborazione dell’IPDE fornisce diverse informazioni:
• presenza/assenza di ciascun criterio; • se i criteri di valutazione sono derivati esclusivamente dall’intervista del soggetto o anche da informatori; • il numero dei criteri soddisfatti per ogni disturbo; • il grado di validità della diagnosi di ogni disturbo (assente, probabile, sicuramente presente); • il punteggio ottenuto dal soggetto in ogni disturbo, indipendentemente dal fatto che raggiunga o meno i criteri diagnostici.
L’IPDE ha mostrato una elevata inter-rater reliability (k = 0.8) utilizzando sia i criteri diagnostici del DSM-III-R sia quelli dell’ICD-10. Il principale limite di utilizzo di questo strumento risiede nella sua lunghezza e complessità, che ne rendono impraticabile un uso a largo spettro in setting clinici o di ricerca (Mann et al., 1999).
Nel 1987 Cloninger, ha proposto un metodo sistematico per la descrizione clinica e la classificazione delle diverse caratteristiche, normali ed abnormi, di personalità, basato su di una teoria biosociale generale della personalità (Cloninger, 1987a). Gli approcci al problema a quel momento più accettati avevano, a suo giudizio, molteplici limiti concettuali e pratici, come, ad esempio:
- il fatto che un soggetto potesse avere tratti caratteristici di più di un DP nonostante che le categorie diagnostiche del DSM-III fossero specifiche e separate tra di loro;
- la difficoltà e l’arbitrarietà della distinzione clinica fra tratti maladattivi di personalità e DP;
- la dipendenza da variabili situazionali e temperamentali dell’adattamento per cui lo stesso temperamento può portare al successo in un ambiente ed al disadattamento fino al DP in un altro;
- i criteri e le categorie usate per valutare la personalità variano più in rapporto alle idee prevalenti del momento che non a dati di fatto;
- i diversi DP possono essere definiti più come prototipi o esempi che non come entità patofisiologiche distinte con naturali confini diagnostici, eccetera.
La sua teoria si fonda sui dati derivati da una serie di studi che vanno da quelli familiari a quelli sullo sviluppo longitudinale degli individui, da quelli psicometrici sulla struttura della personalità a quelli neurofarmacologici e neuroanatomici, eccetera, ed ipotizzano l’esistenza di tre dimensioni geneticamente indipendenti che presentano prevedibili pattern di interazione nelle loro risposte adattive a specifici stimoli ambientali. Queste tre dimensioni sono state definite come:
- Novelty Seeking – NS (o ricerca della novità), una tendenza verso l’allegria o l’eccitamento marcati in risposta a stimoli nuovi o a prospettive di gratificazioni o di evitamento delle punizioni, tendenza all’attività esploratoria, alla ricerca di potenziali gratificazioni così come all’evitamento attivo della monotonia e della potenziale punizione, all’impulsività decisionale, alla scarsa resistenza alle frustrazioni;
- Harm Avoidance – HA (o evitamento del danno), la tendenza a rispondere intensamente a segnali di stimoli adversivi, così come ad imparare ad inibire il comportamento per evitare la punizione, le novità (paura dell’ignoto) e la frustrante mancanza di gratificazione, scarsa resistenza agli stress fisici, tendenza all’anticipazione pessimistica;
- Reward Dependence – RD (o dipendenza dalla ricompensa), una tendenza ereditaria a rispondere intensamente a segnali di gratificazione (come segnali verbali di approvazione sociale, affettiva, di aiuto), a mantenere (o ad evitare l’estinzione) comportamenti che sono stati associati a gratificazioni o all’evitamento della punizione, tendenza al sentimentalismo, ai comportamenti abitudinari; eccessivo attaccamento sociale, dipendenza dall’approvazione.
Ognuna di queste dimensioni riflette l’attività di tre sistemi cerebrali che regolano, rispettivamente, il comportamento di attivazione, di evitamento e di mantenimento e che sono espressione, rispettivamente, di attività dopaminergica, serotoninergica e noradrenergica (Tab. 22.V) Le tre dimensioni di personalità possono avere punteggi positivi (alti) e negativi (bassi) e possono definire, nelle loro correlazioni reciproche, tre piani cartesiani (NS/HA, NS/RD e HA/RD) nei quali si distribuiscono i diversi comportamenti in base ai punteggi nelle dimensioni che li definiscono. I punteggi alti e bassi nelle tre dimensioni danno luogo ad 8 possibili combinazioni che corrispondono ad 8 DP tradizionali.
Per valutare le caratteristiche (normali ed abnormi) di personalità secondo il suo modello, Cloninger ha messo a punto il Tridimensional Personality Questionnaire – TPQ (Cloninger 1987b), uno strumento di autovalutazione composto da 100 item dicotomi (vero/falso) di cui, però, ne vengono presi in considerazione 98 perché due – il 61º ed il 71º – sono stati eliminati dalla computazione dei punteggi anche se sono stati mantenuti nello strumento per non alterare la sequenza degli item per le elaborazioni e l’archiviazione con il computer. Ognuna delle tre dimensioni indagate è composta da quattro dimensioni bipolari di secondo ordine:
- Novelty Seeking: NS1 – eccitabilità esploratoria/rigidità stoica, NS2 – impulsività/riflessione, NS3 – stravaganza/riservatezza, NS4 – disordine/irreggimentazione.
- Harm Avoidance: HA1 – ansia anticipatoria/ottimismo disinibito, HA2 – paura dell’incertezza/
- sicurezza, HA3 – diffidenza verso gli estranei/socievolezza, HA4 – affaticabilità e astenia/energia.
- Reward Dependence: RD1 – sentimentalismo/insensibilità, RD2 – ostinazione/indecisione, RD3 – attaccamento/distacco, RD4 – dipendenza/indipendenza.
Gli studi normativi, oltre a confermare la struttura del temperamento proposta da Cloninger, sembravano indicare la presenza di una quarta dimensione distinta, indicata come Persistence (Persistenza). Questa dimensione, ritenuta inizialmente una componente della RD e valutata in termini di "perseveranza nonostante la fatica e la frustrazione", successivamente non è risultata correlata con gli altri aspetti della RD ed un ampio studio condotto su gemelli, ha confermato che ciascuno di questi quattro fattori temperamentali avevano un’ereditabilità compresa fra il 50 ed il 65% ed erano geneticamente omogenei ed indipendenti tra loro (Cloninger et al., 1991).
Studi etologici hanno suggerito, inoltre, che l’apprendimento concettuale basato sull’insight evolve sulla base di un apprendimento pre-concettuale correlato al temperamento.
L’apprendimento concettuale implica l’apprendimento di nuove risposte adattive come risultato della riorganizzazione concettuale dell’esperienza e della riorganizzazione del concetto di sé, poiché, nell’apprendimento basato sull’insight, le nostre risposte inconsce, automatiche, volte ad iniziare, mantenere o sospendere un comportamento, inizialmente determinate dai fattori temperamentali genetici, possono essere successivamente modificate e condizionate dai cambiamenti che la continua riorganizzazione del concetto della nostra identità provoca sul significato e sulla rilevanza degli stimoli. Lo sviluppo della personalità è, in questa ottica, un processo nel quale i fattori temperamentali ereditari motivano inizialmente l’apprendimento cosciente del concetto di sé il quale, a sua volta, modula il significato e l’importanza degli stimoli ai quali l’individuo risponde. Temperamento e sviluppo del carattere si influenzano reciprocamente e motivano il comportamento. Tre sono gli aspetti principali dello sviluppo del concetto di sé che corrispondono a tre dimensioni del carattere:
la Self-directedness (Autodirettività) in rapporto all’identificazione di se stesso come individuo autonomo, la Cooperativeness (Cooperatività) in rapporto all’identificazione di se stesso come parte integrante dell’umanità o della società e la Self-transcendence (Trascendenza) in rapporto all’identificazione di se stesso come parte integrante dell’insieme di tutte le cose (ad esempio, l’universo) (Cloninger et al., 1993).
Partendo da questi presupposti, e facendo riferimento anche alle teorie circa lo sviluppo della personalità secondo la psicologia umanistica e transpersonale, Cloninger ha rielaborato il suo modello biosociale della personalità portando a sette le dimensioni per l’aggiunta alle tre originali di:
- Persistence (P), definita come perseveranza nonostante la fatica e la frustrazione.
- Self-Directedness (SD), che ha come concetto di base la forza di volontà, la capacità del soggetto di controllare, regolare e adattare il comportamento nella maniera ottimale per l’individuo, e per il raggiungimento degli obiettivi. È considerata la determinante principale della presenza o assenza di DP.
- Cooperativeness (C), esprime tolleranza sociale, empatia, disponibilità all’aiuto, alla compassione.
- Una bassa C è presente in tutte le categorie di DP.
- Self-Trascendence (ST), si riferisce all’identificazione con un insieme generale, una "coscienza unitaria" nella quale ogni cosa è parte di una totalità; questa prospettiva può essere descritta come accettazione, identificazione o unione spirituale con la natura e con la sua origine. È più bassa nei pazienti psichiatrici (indipendentemente dalla presenza o meno di DP) rispetto alla popolazione generale.
Per la valutazione di questo nuovo modello è stato messo a punto il Temperament and Character Inventory – TCI (Cloninger et al., 1994), un questionario di autovalutazione che, nella sua versione più completa (versione 9), è composto da 240 item a risposta dicotoma (vero-falso). Di questi, 116 (di cui 89 ripresi direttamente dal TPQ e 27 aggiunti ex novo per migliorare l’affidabilità delle scale) esplorano i 4 tratti temperamentali (NS, HA, RD e P), 119 valutano i 3 tratti del carattere (SD, C ed ST) e 5 sono indicatori della presenza di DP.
La somma degli item segnati come "vero" fornisce il punteggio grezzo delle sette scale; i punteggi grezzi vengono trasformati in punteggi standardizzati T che, riportati su di un grafico, forniscono un profilo di personalità del soggetto. Del TCI esiste anche una versione ridotta, di 125 item, che viene utilizzata come strumento di screening per i DP.
Il Wisconsin Personality Disorders Inventory-IV – WISPI-IV (Klein et al., 1993) è un’altra scala per la valutazione dei criteri per i DP previsti dal DSM-IV. Si basa su un approccio di tipo interpersonale e fa riferimento, dal punto di vista concettuale, al modello di Benjamin del comportamento sociale dell’individuo. È una scala di autovalutazione composta da 214
item valutati su una scala a 10 punti (da 1 = no, mai, a 10 = sì, sempre) che fornisce i punteggi qualitativi (categoriali) e quantitativi (dimensionali) su 11 scale di personalità, che corrispondono ai 10 DP del DSM-IV ed al Disturbo Passivo-Aggressivo; ciò che, fra l’altro, la caratterizza è la possibilità per i pazienti di utilizzare direttamente il computer per effettuare l’autovalutazione. Gli studi che ne hanno valutato le proprietà psicometriche ne hanno sottolineato la buona consistenza interna e sono risultate molto elevate sia la validità che la riproducibilità; sono state evidenziate, inoltre, correlazioni medio-alte, sia con gli altri strumenti di valutazione dei DP autosomministrati, sia con interviste clinico-diagnostiche.
Del tutto particolare è l’Assessment of DSM-IV Personality Disorders – ADP-IV (Schotte e De Donker, 1994) che, di ogni tratto di personalità, valuta, sia la presenza, sia, se presente, il grado di sofferenza che determina. La scala, di autovalutazione, è costituita da 94 item, di cui 80 esplorano i criteri che definiscono i 10 DP classificati nel DSM-IV, e 14 i criteri di ricerca dei DP Depressivo e Passivo Aggressivo. La risposta agli item è focalizzata sulla concettualizzazione della patologia di personalità del DSM-IV e, come abbiamo accennato, di ogni item viene valutata, in primo luogo, la concordanza con i criteri del DSM-IV su di una scala "di tratto" a sette punti (da 1 = in totale disaccordo, a 7 = completamente d’accordo); per gli item che hanno avuto un punteggio da 5 a 7 viene valutato il grado di sofferenza ("Questa caratteristica ha mai causato a lei o agli altri sofferenze o problemi?") su di una scala di "interferenza" a tre punti. In questo modo è possibile formulare una diagnosi dimensionale utilizzando i punteggi della scala di "tratto" ed una categoriale utilizzando un algoritmo che combina i punteggi al di sopra del cutoff (5-7) della scala di "tratto" ed i punteggi della scala di "interferenza". Gli studi di confronto con altri strumenti validati per l’Asse II, hanno confermato la validità e la buona consistenza interna dello strumento. La validità è stata studiata in confronto con il WISPI (Klein et al., 1993): tutti i coefficienti di correlazione tra le scale di tratto dell’ADP-IV e le scale corrispondenti della WISPI, sono risultati significativi e la correlazione media fra le subscale corrispondenti del DP è buona (Schotte et al., 1998).
Di origine europea è anche il DSM-IV and ICD-10 Personality Questionnaire – DIP-Q (Ottosson et al., 1995), un questionario di autovalutazione composto da 140 item, per la valutazione dei 10 DP classificati dal DSM-IV e degli 8 proposti dall’ICD-10. Gli item del DIP-Q sono costituiti da brevi frasi che illustrano l’aspetto principale del criterio corrispondente, a cui il soggetto deve assegnare una riposta di tipo vero/falso. Gli stessi aspetti dei criteri generali per il DP, sono valutati anche mediante una scala a cinque punti, che misura l’interferenza e lo stress (Impairment-Distress-DI) ed attraverso una versione autosomministrata del Global Assessment of Functioning-GAF. Per formulare la diagnosi categoriale di DP è richiesto che il numero di criteri per la diagnosi dello specifico DP raggiunga la soglia prevista dal DSM-IV, che venga raggiunto un punteggio superiore a 2 alla scala ID oppure che il punteggio della GAF autosomministrata sia minore di 60. Il punteggio dimensionale deriva dalla proporzione dei criteri soddisfatti per ciascuna diagnosi di DP e non è influenzato dai punteggi della ID o della GAF. Il DIP-Q è stato validato confrontando i risultati con quelli ottenuti da una intervista clinica strutturata: il livello di accordo sui cluster del DSM-IV è accettabile, la sensibilità complessiva e la specificità sono risultate elevate. Una volta calcolati i punteggi dimensionali di ciascun cluster, la correlazione fra i risultati ottenuti con il DIP-Q e l’intervista clinica strutturata è risultata elevata (Bodlund et al., 1998).
Uno strumento originale per la valutazione dei DP è lo Shedler-Westen Assessment Procedure – SWAP-200 (Westen e Shedler, 1999) che si basa sul metodo Q-sort, uno dei metodi di studio della personalità normale di maggiore diffusione e successo. Il metodo Q-sort, applicato ai DP, consiste di una serie di affermazioni (stampate ciascuna su schede diverse) relative a vari aspetti della personalità e del funzionamento psicologico. Ogni affermazione può descrivere bene, parzialmente o per niente un determinato paziente. Un clinico che conosce bene il paziente suddivide le schede in diverse categorie, sulla base della misura in cui le affermazioni che esse contengono descrivono il paziente, da quelle inapplicabili o non descrittive a quelle altamente descrittive. Il Q-sort si basa perciò sul giudizio di un clinico e non sull’autovalutazione del paziente.
La SWAP-200 è uno strumento di valutazione basato sul metodo Q-sort; è composto da 200 affermazioni che descrivono la personalità, che il clinico deve suddividere in otto categorie in rapporto al grado di applicabilità al soggetto, dalla prima, con punteggio zero, che contiene affermazioni che il clinico considera irrilevanti o inapplicabili per quel paziente, all’ottava, con punteggio 7, che contiene affermazioni altamente descrittive del paziente. La SWAP-200, pertanto, attribuisce un valore numerico da 0 a 7 ad ognuno dei 200 item e le affermazioni rappresentano un vocabolario "standard" con il quale il clinico può esprimere le proprie osservazioni ed inferenze e fornire la descrizione psicologica del paziente in una forma che può essere quantificata, confrontata con la descrizione fornita da altri clinici ed analizzata statisticamente. Gli item della SWAP-200 differiscono dai criteri di Asse II del DSM-IV soprattutto per due aspetti: da un lato perché tentano di assimilare a dati numerici costrutti psicologici (come, ad esempio, i meccanismi di difesa) esclusi dalla valutazione dell’Asse II per il timore che tali processi non fossero misurabili in maniera affidabile, * Per un’approfondita disanima del problema rimandiamo all’esaustivo lavoro di Carlo Maggini ed Antonello Pintus "Disturbo Bordeline di Personalità – Strumenti diagnostici", ETS editrice, Pisa, 1991.
dall’altro, cercano di cogliere, attraverso l’espansione dei criteri previsti dal DSM, aspetti del funzionamento della personalità di potenziale importanza clinica che l’Asse II non prende in considerazione (ad esempio, conflitti motivazionali, strategie di controllo dell’affettività, aspetti della patologia della personalità non sufficientemente gravi da giustificare una diagnosi di Asse II, eccetera).
Poiché il Q-sort richiede che il clinico assegni ad ogni categoria un numero definito di affermazioni, anche la SWAP-200 prevede che il clinico collochi nella categoria 7 (quella più descrittiva) 8 affermazioni, 10 nella categoria 6 e così via, per cui i 200 item della scala hanno una distribuzione predefinita.
Le 200 definizioni della SWAP-200 sono il risultato di una vasta indagine condotta contattando 3.000 psichiatri e 4.000 psicologi con almeno 3 anni di esperienza ed operanti in reparti di psichiatria, psicologia e psicoterapia, ai quali è stato chiesto di descrivere un paziente (reale o ipotetico) con uno specifico DP (o di un soggetto sano e ben integrato). I clinici che hanno effettivamente collaborato sono stati circa un terzo di quelli contattati (ed erano per un terzo psichiatri e per due terzi psicologi). Gli studi preliminari sembrano documentare delle buone caratteristiche psicometriche dello strumento.
Strumenti di valutazione di specifici DP
Fra tutti gli specifici DP, il Disturbo Borderline di Personalità (DBP) è quello per il quale gli Autori hanno messo a punto la maggior parte di strumenti di valutazione standardizzati.
Non è questa la sede per addentrarci nelle complesse problematiche che hanno da sempre caratterizzato questa entità clinica* che, collocandosi al limite tra nevrosi e psicosi, finiva per essere di difficile… collocazione. Intorno ad essa sono fioriti studi sia di parte psicoanalitica che di parte psichiatrica, senza giungere a conclusioni soddisfacenti. Il punto di svolta nella nosografia dei disturbi borderline (come, del resto, dei disturbi mentali in generale) si può collocare nel 1980 con la pubblicazione del DSM-III: Spitzer e la sua Task Force fecero uno sforzo notevole per dare ai clinici una diagnosi di borderline che fosse attendibile, valida ed utilizzabile dagli operatori di qualsiasi tendenza. Collocarono il disturbo tra quelli di Asse II e, sulla base di ricerche sul campo che utilizzavano sia le caratteristiche "schizotipiche" sia i più specifici criteri di Kernberg (1975) e di Gunderson (Gunderson e Singer, 1975), isolarono due diverse diagnosi, quella schizotipica e quella borderline in senso stretto. Gli otto criteri diagnostici individuati per il DBP, sostanzialmente derivati dai modelli di Kernberg e di Gunderson (Tab. 22.VIII), sono rimasti invariati nel DSM-III-R, mentre nel DSM-IV è stato aggiunto un nono criterio indicante la presenza di ideazione paranoide o di sintomi dissociativi transitori legati allo stress.
Nonostante i punti fermi posti dalla classificazione diagnostica del DSM-III/DSM-IV, il DBP rimane un quadro clinico di "ingannevole vaghezza" (Frances et al., 1984) ed è forse per questo che gli Autori hanno cercato di ovviare a questa vaghezza attraverso la sua valutazione standardizzata.
Uno dei primi, fra i non pochi (Tab. 22.IX), contributi in questo senso è il Borderline Syndrome Index – BSI (Conte et al., 1980), un questionario di autovalutazione per la diagnosi del DBP. Partendo da 72 item tratti dalla letteratura più significativa sull’argomento, Conte e collaboratori hanno sviluppato questo strumento, costituito da 52 item a risposta sì/no, per misurare il DBP sulla base di una tavola normativa che riporta, per ogni punteggio del BSI, lo score relativo alla percentuale cumulativa dei soggetti normali e di quelli con DBP.
Lo strumento ha una discreta validità discriminante, un’elevata consistenza interna, un’elevata sensibilità ed una bassa specificità quando confrontato con altri validati strumenti di valutazione. Scarsa è risultata la capacità discriminante dello strumento in relazione al Disturbo Schizoide ed a quello Schizotipico: è probabile che questo sia da mettere in relazione al fatto che il concetto di DBP espresso dal BSI è molto più ampio di quello previsto dai criteri diagnostici del DSM-III.
TAB. 22.VIII – CRITERI DIAGNOSTICI PER IL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ SECONDO IL DSM-III
1. RAPPORTI INTERPERSONALI INSTABILI E INTENSI (Gunderson)
2. IMPULSIVITÀ (Kernberg e Gunderson)
3. INSTABILITÀ DELL’UMORE (Gunderson)
4. RABBIA INTENSA E INAPPROPRIATA (Gunderson)
5. COMPORTAMENTI FISICAMENTE AUTOLESIVI (Gunderson)
6. DISTURBO DI IDENTITÀ (Kernberg)
7. CRONICI SENTIMENTI DI VUOTO E DI NOIA (Kernberg)
8. DIFFICOLTÀ A TOLLERARE LA SOLITUDINE (Gunderson)
TAB. 22.IX – PRINCIPALI STRUMENTI DI VALUTAZIONE DI SPECIFICI DISTURBI DI PERSONALITÀ
Strumento | Autore/i | DP valutato | nº item | Valutazione |
Borderline Syndrome Index – BSI | Conte et al.,1980 | D. Borderline | 52 | auto |
Schedule for Interviewing Borderlines – SIB | Baron, 1980 | D. Borderline (SBR) D. Schizotipico (SSP) | 70 | etero |
Bell Object Relations Self-Report Scale | Bell, 1981 | D. Borderline | 45 | auto |
Bell Diagnostic Interview for Borderline patients – DIB | Gunderson et al. 1981 | D. Borderline | 165 | etero |
Revised Diagnostic Interview for Borderline patients- DIB-R | Zanarini et al., 1989 | D. Borderline | 186 | etero |
Social Fear Scale – SFS | Raulin e Wee, 1984 | D. Schizotipico | 36 | auto |
Borderline Personality Disorder Scale – BPD | Perry, 1983 | D. Borderline | 36 | etero |
Schizotypal Personality Questionnaire – SPQ | Raine, 1995 | D. Schizotipico | auto | |
Borderline Personality Inventory – BPI | Leichsenring, 1999 | D. Borderline | 53 | auto |
La Schedule for Interviewing Borderlines – SIB (Baron, 1980) prende in considerazione, oltre che il DBP, anche il disturbo Schizotipico: la scala, infatti, si articola in 2 subscale, la Schedule for Borderline Personalities – SBP e la Schedule for Schizotypal Personalities SSP. Si tratta di un’intervista semistrutturata composta da 70 item che vanno a costituire 21 scale, 11 relative alla SBP e 10 alla SSP. Gli item sono valutati su una scala a 5 punti (da 0 a 4); la somma dei punteggi dei singoli item fornisce un punteggio della scala, dal quale è possibile ricavare un punteggio di gravità. Le caratteristiche psicometriche dello strumento, soprattutto per la parte relativa ai borderline, sono state scarsamente studiate.
Sempre fra i primi strumenti si può collocare anche la Bell Object Relations Self Report Scale – Bell (Bell, 1981), una scala di autovalutazione composta da 45 item valutati su una scala dicotoma (vero/falso), che si articola su quattro scale: Alienazione, Attaccamento insicuro, Egocentrismo e Competenza sociale. Di questo strumento è stato detto che è in grado di identificare con estrema accuratezza i soggetti borderline come definiti dal DSM-III. I dati psicometrici sono molto buoni sia per quanto riguarda la sensibilità e la specificità.
Abbiamo già accennato all’importanza del lavoro di Gunderson per la definizione dei criteri diagnostici del DBP; questo Autore, assieme ai suoi collaboratori, ha messo a punto anche una scala di valutazione per la diagnosi di questo disturbo, la Diagnostic Interview for Borderline patients – DIB (Gunderson et al., 1981). La DIP è senza dubbio uno degli strumenti maggiormente utilizzati negli studi effettuati in questo settore. Si tratta di un’intervista semistrutturata che consente di fare diagnosi di DBP attraverso l’esplorazione di cinque aree (Adattamento Sociale, Modalità Comportamentali, Affettività, Psicosi e Relazioni Interpersonali) che sono state individuate come maggiormente significative e discriminative per i pazienti Borderline:
- L’area dell’adattamento sociale (4 affermazioni, 16 item) esplora la storia scolastica e lavorativa del soggetto e l’impegno nelle situazioni sociali e ricreative; viene indagata per prima perché i temi trattati sono abbastanza neutri e consentono di instaurare un’atmosfera rilassata per il prosieguo dell’intervista.
- L’area delle modalità comportamentali (5 affermazioni, 12 item) indaga una serie di attività impulsive auto o eterodistruttive, il comportamento nei confronti di alcol e di altre sostanze d’abuso, il comportamento antisociale e quello sessuale.
- L’area dell’affettività (5 affermazioni, 37 item) è particolarmente attenta alla rabbia ed ai suoi derivati (sarcasmo, impazienza…) ed alla depressione; vengono prese in considerazione anche ansia, anedonia, euforia ed atimia; le domande relative ai sentimenti contribuiscono a stabilire un rapporto positivo col paziente e lo stimolano a discutere apertamente dei suoi problemi, in vista anche delle tematiche che vengono affrontate nell’area successiva.
- L’area della psicosi (8 affermazioni, 24 item) è soprattutto indirizzata verso gli stati dissociativi dell’Io ed indaga una serie di specifici deliri ed allucinazioni; un punteggio elevato in quest’area giuoca contro la diagnosi di borderline.
- L’area delle relazioni interpersonali (7 affermazioni, 34 item) cerca di individuare il pattern abituale dei rapporti interpersonali più importanti. Particolare attenzione è rivolta ai rapporti con la madre, ma vengono esplorati pattern comportamentali quali la dipendenza, il masochismo, il sadismo, la manipolazione, l’idealizzazione, eccetera; viene anche indagata la reazione alla perdita di legami significativi.
Ogni area è composta da una serie di affermazioni (da 4 a 8 per area per un totale di 29) che il clinico deve valutare e ad ogni affermazione fa capo un certo numero di item cui dare una risposta attraverso domande strutturate o osservazione del comportamento; ad ogni item viene assegnato un punteggio la cui somma fornisce il punteggio di area (o di sezione); questo, convertito su di una scala da 0 a 2 per attribuire ad ogni area pari peso (punteggio di sezione in scala), va a determinare il punteggio diagnostico totale che può oscillare da 0 a 10: un punteggio di 7 è considerato il punteggio-soglia per la diagnosi di DBP.
Poiché questi pazienti manifestano specifici aspetti caratteriali che sono durevoli nel tempo, l’attenzione dell’intervistatore deve essere rivolta alle caratteristiche durevoli dei tratti. A questo scopo vengono previsti dei tempi precisi nell’indagine clinica che sono:
• per le aree "Affettività" e "Psicosi", gli ultimi tre mesi; • per le aree "Modalità Comportamentali" e "Adattamento Sociale", gli ultimi due anni; • per l’area "Relazioni Interpersonali", gli ultimi tre anni.
La DIB ha mostrato elevate attendibilità e specificità, una buona sensibilità ed un’elevata capacità di discriminare i borderline dai pazienti schizofrenici ed affettivi; più discordanti sono risultati, invece, i soggetti borderline da quelli con altri DP.
Successivamente è stata proposta una Revised Diagnostic Interview for Borderline patients – DIB-R (Zanarini et al., 1989) nella quale gli item sono stati portati a 186 e le aree sono state ridotte a 4 essendo stata eliminata quella relativa all’Adattamento Sociale poiché scarsamente discriminante. Maggior rilievo è stato dato, invece, alle Modalità Comportamentali ed alle Relazioni Interpersonali, che hanno un elevato potere discriminante, ed è stata ampliata l’area della Psicosi (che è stata anche ridenominata "Sezione Cognitiva") per comprendere anche i disturbi del pensiero non psicotici. Le asserzioni da valutare sono state ridotte a 22 ed il cutoff è stato elevato a 8, con il quale lo strumento ha dimostrato una maggiore sensibilità e specificità.
A conclusione di un complesso iter di ricerca, Perry ha messo a punto la Borderline Personality Disorder scale – BPD (Perry, 1983) come diretta derivazione della Borderline Personality Scale – BPS nella versione a 81 item (BPS-I) ed in quella successiva a 52 item (BPS-II). La BPD è un’intervista semistrutturata costituita da 36 item valutati su una scala a 7 punti e suddivisi in 9 subscale che forniscono, ognuna, un punteggio "lordo" ed uno "netto"; dalla somma dei punteggi "netti" deriva il totale della scala che consente di porre diagnosi di "disturbo borderline certo" (con un cut off di 28) o di "tratti borderline" (cutoff di 23). Rispetto al DSM-III, con il quale esistono comunque notevoli concordanze, il concetto di borderline espresso dalla BPD risulta meno esteso e più specifico e individua pazienti più gravi.
Del tutto recente è il Borderline Personality Inventory – BPI (Leichsenring, 1999), uno strumento di autovalutazione costituito da 53 item a risposta dicotoma (vero/falso), che è stato sviluppato a partire dal concetto di "Organizzazione Borderline" di Kernberg, sebbene i criteri diagnostici rimandino sia al DSM-IV, sia al concetto di Disturbo di Personalità di Gunderson. Il BPI è costituito da scale che valutano la "Diffusione dell’Identità" , i "Meccanismi di Difesa Primitivi", e l’"Esame di Realtà", oltre ad una quarta scala che valuta la "Paura della Vicinanza". Tanto la costruzione delle scale che la soglia per la diagnosi di DBP sono basate sui risultati di analisi fattoriali. Nonostante che combini modelli categoriali e dimensionali, il BPI ha dimostrato buona consistenza interna e ha dato risultati soddisfacenti al test-retest; di buon livello sono anche la sensibilità e la specificità. Il BPI si è dimostrato particolarmente utile come strumento di screening per valutare sia l’organizzazione borderline, sia il DBP, sia, infine, per individuare dimensioni borderline nei disturbi di Asse I e di Asse II.
Abbiamo lasciato per ultimi la Social Fear Scale – SFS di Raulin e Wee (1984) e lo Schizotypal Personality Questionnaire – SPQ (Raine, 1995) che, a differenza degli altri, prendono in considerazione il Disturbo di Personalità Schizotipico secondo i criteri del DSM-III-R. La SFS è una scala di autovalutazione composta da 36 item dicotomi mirata allo studio dell’evitamento sociale, dell’inadeguatezza sociale, dei problemi di rapporto interpersonale, di quei comportamenti e di quegli atteggiamenti che sono considerati caratteristici dei soggetti con disturbo schizotipico di personalità, soggetti, cioè, che hanno, verosimilmente, una predisposizione alla schizofrenia. Nel caso dell’SPQ si tratta di uno strumento di autovalutazione articolato in subscale che esplorano i nove criteri diagnostici previsti per il disturbo schizotipico. Le caratteristiche psicometriche dello strumento (consistenza interna, affidabilità al test-retest, validità convergente, validità discriminante e validità per criterio) sono risultate di buon livello. L’SPQ si è dimostrato utile sia per lo screening della personalità schizotipica nella popolazione generale, sia nella ricerca di correlazioni con i tratti schizotipici presenti singolarmente, con una buona applicabilità anche per gli studi familiari e genetici sui pazienti schizofrenici.