Nella valutazione dei DCA è necessario tener conto, in primo luogo, che l’acquisizione della coscienza di malattia è, nei pazienti che ne sono colpiti, generalmente tardiva ed incompleta e che i comportamenti alimentari, di eliminazione, restrittivi, di controllo del peso, eccetera, sono generalmente attuati di nascosto, dissimulati, al punto di arrivare anche a negare l’evidenza. Se a questo si aggiunge la complessità intrinseca di questi disturbi (complessità etiopatogenetica, espressiva, di decorso, eccetera) è facile rendersi conto di quanto difficile (sempre) ed aleatoria (spesso) sia la valutazione di questi pazienti. È necessario che fin dal primo approccio il clinico cerchi di costruire un rapporto basato sulla fiducia, sul reciproco rispetto, in modo da creare delle basi solide su cui sviluppare un valido e fruttuoso rapporto terapeutico. In questo contesto la valutazione standardizzata è di enorme importanza sia per indagare i molteplici e multiformi aspetti della sintomatologia, sia per avere una giudizio obiettivo basale di gravità su cui misurare gli sviluppi futuri. È però necessario che queste valutazioni vengano fatte con le dovuta gradualità, iniziando magari con un’intervista semistrutturata che dia al paziente la sensazione che abbiamo una buona familiarità con i suoi disturbi, con le sue angosce, con i suoi meccanismi di difesa e che può, di conseguenza, affidarsi fiducioso alle nostre cure.