L’interesse per l’adattamento (ed il ri-adattamento) sociale è nato sostanzialmente negli anni Sessanta, quando la psichiatria ha potuto disporre di strumenti terapeutici efficaci al punto da consentire la dimissione dei pazienti dagli ospedali psichiatrici e/o da impedire che vi fossero ricoverati. Con il progressivo passaggio dalla psichiatria "manicomiale" alla psichiatria "di comunità" si incominciò a prendere coscienza dell’importanza dei fattori sociali nei diversi momenti della malattia mentale, delle difficoltà che i pazienti deistituzionalizzati affetti da disturbi cronici incontravano nella comunità e del fatto che non sempre alla guarigione clinica corrisponde un pieno recupero del ruolo sociale. Da qui, dunque, è emersa chiaramente la necessità di non limitare la valutazione del paziente alla pura e semplice psicopatologia, ma di completarla con una più attenta e completa valutazione del funzionamento sociale dell’individuo e delle sue capacità di reinserimento sociale quando, a causa della malattia mentale, ha interrotto o alterato le sue interazioni sociali.
La patologia psichiatrica, in quanto patologia del comportamento, non può non interagire con l’adattamento sociale, con la capacità di svolgere con successo il proprio ruolo sociale:
di solito la psicopatologia compromette in varia misura lo svolgimento dei ruoli sociali, meno frequentemente la presenza di una sintomatologia rilevante si accompagna ad una buona performance sociale, mentre non eccezionalmente si osservano soggetti che, guariti clinicamente da un disturbo psichiatrico ed esenti da sintomi psicopatologici, non presentano un parallelo recupero delle loro capacità sociali. Adattamento sociale e psicopatologia devono, perciò, essere presi in considerazione separatamente, senza confondere i due piani come spesso, invece, avveniva quando si incominciò a studiare questi problemi.
La società richiede all’individuo l’assunzione di determinati comportamenti e ruoli sociali e, per converso, l’individuo è accettato dalla società in funzione della sua capacità di adottare comportamenti e svolgere ruoli conformi alle aspettative ed alle norme del gruppo.
Così, ad esempio, ad un adulto sano si richiede un comportamento adeguato nell’ambito dei ruoli coniugale e genitoriale, nell’ambito economico-lavorativo, nei rapporti con i parenti e con gli amici e, più generalmente, con la comunità. Inizialmente i ricercatori partirono dall’assunto che le regole che sottendono i diversi ruoli fossero fisse ed assolute e che perciò fosse possibile valutare se il comportamento sociale di un soggetto era più o meno adeguato o inadeguato in base alla maggiore o minore rispondenza ai requisiti dei diversi ruoli. In realtà ci si è poi resi conto che le norme che sottendono i comportamenti ed i ruoli sociali sono tutt’altro che fisse ed inamovibili, ma variano in funzione dell’età, del sesso, del livello culturale e di numerose altre variabili. In questa ottica, possiamo definire l’adattamento sociale come la capacità dell’individuo di interagire, integrandovisi positivamente, con l’ambiente nel quale vive. La definizione si riferisce all’aspetto obiettivo dell’adattamento sociale cioè all’adeguamento alle norme generali dello specifico ambito socioculturale; si deve tener conto, ad ogni modo, anche dell’aspetto soggettivo, che è rappresentato dal grado di soddisfazione che il soggetto ricava dalla propria vita sociale. In realtà, soprattutto nelle prime ricerche, l’adattamento sociale è stato considerato spesso come la corrispondenza tra un certo comportamento ed una concezione idealizzata di adattamento o di normalità che poteva anche non corrispondere alle norme ed alle aspettative del soggetto (Platt et al., 1980).
Se vogliamo che quello di adattamento sociale sia un concetto veramente utile e pienamente utilizzabile, è necessario tener conto della variabilità delle norme che sottendono i diversi ruoli sociali e della necessità di tener separata la descrizione delle prestazioni sociali dalla loro valutazione.
L’adattamento sociale è, dunque, un fenomeno complesso, ricco di sfaccettature, nel quale i limiti della normalità sono abbastanza sfumati in quanto dipendenti da stereotipi e pregiudizi culturali, per cui può apparire eccessivamente riduzionistico ricondurlo ai semplici numeri di una scala di valutazione o di un questionario. L’esperienza pratica ha dimostrato tuttavia che l’impiego di scale di valutazione dell’adattamento sociale ha un valore nettamente superiore rispetto a quello prevedibile in base alle considerazioni teoriche: la valutazione delle variazioni delle condizioni psichiche dei pazienti risulta infatti più sensibile, precisa e comprensibile quando si associano scale di valutazione dell’adattamento sociale alle tradizionali RS psicopatologiche (Conti et al., 1999).
Dobbiamo ricordare, ad ogni modo, che la definizione di adattamento sociale ottimale è molto più aleatoria rispetto a quella di normalità psichica poiché i parametri di riferimento per la definizione dell’adattamento sociale sono molto più soggettivi essendo più importanti interazioni ed attività specifiche e significative per l’individuo piuttosto di un generico elevato livello di attività e di interazione sociale. È probabilmente legata alla difficoltà di standardizzazione dei parametri di riferimento la limitata espansione di questo settore nonostante che ormai da quasi vent’anni il sistema diagnostico multiassiale dell’American Psychiatric Association (APA), il DSM, abbia riservato il quinto asse alla valutazione dell’adattamento sociale sottolineando così, se ancora ce ne fosse stato bisogno, l’importanza della dimensione sociale nella normalità e, per conseguenza, nella patologia degli individui.
Poiché l’interesse per l’adattamento sociale è nato con l’uscita dei pazienti psicotici dall’ospedale psichiatrico, è stata logica conseguenza che, per lungo tempo, quello della schizofrenia e delle psicosi in genere sia stato il campo di elezione dell’indagine psicosociale e che minore attenzione sia stata rivolta alla restante patologia psichiatrica anche se, e ormai lo sappiamo bene, anche altre patologie (fra cui i disturbi dell’umore ed i disturbi d’ansia) provocano una compromissione dell’adattamento sociale che spesso, peraltro, non si risolve con la guarigione clinica protraendosi ben oltre quel limite. Questo interesse pressoché esclusivo (o prevalente) per la patologia psicotica (o comunque per soggetti con particolari bisogni come, ad esempio, gli anziani), ha fatto sì che le scale per la valutazione dell’adattamento sociale male si prestino alla generalizzazione poiché prendono in considerazione alcuni aspetti della vita sociale e non altri e/o fanno riferimento ad una "normalità"
non generale, ma relativa ad una problematica specifica di un determinato ambito psichiatrico.
In effetti, nel settore della valutazione dell’adattamento sociale, ancor più che in quello della psicopatologia, gli strumenti disponibili sono assai lontani dall’essere soddisfacenti, e non solo per le loro caratteristiche intrinseche ma anche per le problematiche culturali che sottendono questo settore e che sono ancora ben lontane dall’essere risolte.
Fra le varie scale proposte per la valutazione dell’adattamento sociale, alcune non hanno più alcun impiego pratico, ma soltanto un valore storico; molte, essendo un’evoluzione (più o meno esplicita) di scale precedenti, hanno con queste aree estese di sovrapposizione: è comunque ipotizzabile che quelle più recenti rappresentino un miglioramento rispetto alle precedenti; altre sono indicate per impieghi specifici, settoriali; altre ancora mescolano la valutazione psicosociale con quella di altre aree (anamnesi, psicopatologia…); altre, infine, sono strettamente legate alla cultura nel cui ambito sono state formulate e trovano perciò scarso impiego al di fuori di essa. Si deve tener conto, inoltre, del diverso rilievo che le varie scale danno alle aree fondamentali del funzionamento sociale, per cui il profilo dell’adattamento dello stesso soggetto può risultare diverso in funzione dello strumento di valutazione impiegato, con possibili ripercussioni sul tipo e sull’efficacia degli interventi.
Gli strumenti di valutazione del funzionamento sociale sono comunque molto eterogenei per lunghezza e complessità; alcuni sono brevi e/o di facile somministrazione e/o applicabili senza la necessità di sottoporsi ad un training specifico, altri sono lunghi e complessi e non possono essere applicati senza una specifica preparazione. Per la compilazione di alcuni è sufficiente un colloquio libero, per altri è necessaria un’intervista strutturata o semistrutturata; alcuni sono di autovalutazione, mentre per la maggior parte è richiesta la valutazione da parte dello psichiatra o di altre figure professionali. In questa sede faremo menzione degli strumenti più noti a livello internazionale e di quelli che, o perché originali italiani o perché tradotti e già utilizzati in Italia, possono avere un interesse pratico più immediato (Tab. 19.III).
Le prime scale di valutazione dell’adattamento sociale furono messe a punto negli anni Cinquanta e Sessanta, negli USA, ed erano destinate alla valutazione o dell’impatto con la realtà esterna dei pazienti psicotici in trattamento con neurolettici che venivano dimessi dagli ospedali psichiatrici o dell’efficacia della psicoterapia su selezionati gruppi di pazienti ambulatoriali. Negli anni Settanta l’interesse per il funzionamento sociale crebbe notevolmente e parallelamente furono messe a punto numerose scale di valutazione, tanto che, nel 1981 se ne contavano, negli USA, almeno 27 (Weissman et al., 1981).
Quello che forse può essere considerato il capostipite degli strumenti di valutazione dell’adattamento sociale è la Normative Social Adjustment Scale – NAS (Barrabee et al., 1955); messo a punto per valutare i risultati della psicoterapia, prende in considerazione l’attività lavorativa, il livello economico, la vita familiare e quella nella comunità.
TAB. 19.III – PRINCIPALI SCALE PER LA VALUTAZIONE DELL’ADATTAMENTO SOCIALE
Rating Scale | Autori | Aree indagate | Metodo |
Normative Social Adjustment Scale – NAS | Barrabee et al., 1955 | Lavoro, Economia, Famiglia, Comunità | intervista libera |
Mandel Social Adjustment Scale – MAS | Mandel, 1959 | Lavoro, Economia, Famiglia, Comunità, Salute, ecc. | intervista libera |
Katz Adjustment Scale – KAS | Katz e Lyery, 1963 | Sintomatologia, Attività familiari/ sociali, Tempo libero | autovalut. |
Social Dysfunction Rating Scale – SDRS | Linn et al., 1969 | Val. di sé, Rapporti interpers. Capacità prestazionali | intervista semistrutt. |
Level of Functioning Scale – LFS | Strauss e Carpenter, 1972 | Lavoro, Relazioni sociali | Intervista semistrutt |
Structured and Scaled Interview to Assess Maladjustment – SSIAM | Gurland et al., 1972 | to Lavoro, Famiglia Comunità | intervista strutturata |
Social Adjustment Scale – SAS | Weissman e Paykel, 1974 | Lavoro, Economia, Famiglia, Comunità | intervista semistrutt. |
Self-Assessment Guide – SAG | Willer e Biggin, 1974 | Lavoro, Famiglia, Salute, ecc. | autovalut. |
Questionario Socio-Ambientale – QSA | Cassano et al 1974 | Lavoro, Famiglia Comunità | autovalut./ interv. libera |
Denver Community Mental Health Questionnaire – DCMHQ | Ciarlo e Davis, 1975 | Sintomi, Lavoro, Economia, Famiglia e Amici, ecc. | intervista semistrutt. |
Social Adjustment Scale Self-Report – SAS-SR | Weissman e Bothwell, 1976 | Lavoro, Economia, Famiglia, Comunità | autovalut |
Personal Resources Inventory – PRI | Clayton e Hirshfeld, 1977 | Lavoro, Economia, Famiglia, Comunità, ecc | intervista . strutturata |
Standardized Interview Schedule – SIS | Clare e Cairns, 1978 | Lavoro, Economia, Famiglia, Comunità | intervista semistrutt. |
Social Assessment Scale-II – SAS-II | Schooler et al, 1979 | Lavoro, Economia, Famiglia Comunità | intervista semistrutt. |
Social Behaviour Assessment Schedule – SBAS | Platt et al., 1980 | Lavoro, Economia, Famiglia Comunità | intervista semistrutt. |
Social Role Performance Schedule SRP | Hurry e Sturt, 1981 | Lavoro, Economia, Casa, Emergenze | intervista semistrutt. |
Disability Assessment Schedule – DAS | WHO, 1985 | Lavoro, Economia, Famiglia Comunità | intervista semistrutt. |
Social Behaviour Schedule – SBS | Wykes e Sturt, 1986 | Lavoro, Economia, Famiglia Comunità | intervista a informat. |
Needs For Care Assessment Schedule – NFCAS | Brewin et al., 1988 | Bisogni del paziente | intervista libera |
Groningen Social Disability Schedule – GSDS | Wiersma et al., 1988 | Lavoro, Economia, Famiglia Comunità | intervista semistrutt. |
Life Skills Profile – LSP | Parker et al., 1991 | Cura di sé, Socializzazione, Comunicazione, ecc. | Osservaz. |
Social and Occupational Functioning Assessment Scale – SOFAS | Goldman et al., 1992 | Generale | intervista libera |
Global Assessment of Relational Functioning- GARF | DSM-IV, 1994 | Generale | Intervista libera |
Gli Autori definiscono l’adattamento sociale come il grado di adeguamento del soggetto alle aspettative sociali connesse al suo ruolo e la valutazione fa riferimento alle norme ed agli standard socialmente accettati. Oltre ad una valutazione oggettiva, è prevista anche una valutazione soggettiva che esprime il grado di soddisfazione del paziente in rapporto al suo funzionamento sociale.
Solo valore storico ha ormai anche la Mandel Social Adjustment Scale – MAS (Mandel, 1959) che deriva dalla NAS ma che, rispetto a quella, è più estesa e meglio sviluppata. La MAS valuta l’adattamento in 7 attività:
- attività lavorativa, tenendo conto del fatto che il soggetto sia in età lavorativa o meno;
- vita familiare, che comprende i rapporti con il coniuge, i figli e la famiglia allargata;
- salute, intesa come atteggiamento verso la salute, anche in rapporto alla sua influenza sul ruolo sociale;
- condizioni economiche, ed in particolare l’indipendenza economica, la capacità di gestire i propri fondi e la capacità di risolvere i problemi finanziari;
- religione, intesa sia come atteggiamento verso la religione sia come partecipazione alle attività religiose;
- condizioni abitative, cioè stabilità e adeguatezza del luogo di residenza;
- rapporti con la comunità, che comprendono la partecipazione alle attività della comunità, le amicizie, il grado di socializzazione, il tempo libero ed i rapporti eterosessuali.
Un rilievo particolare è dato alle prime due aree ed alla valutazione del livello di soddisfazione soggettiva. Nel complesso può essere considerata una buona scala, anche se, proprio per la sua struttura, può penalizzare alcune categorie di soggetti che hanno, in realtà, un buon adattamento: è il caso, ad esempio, delle persone anziane che vivono sole e che, pur in presenza di un buon adattamento, risultano penalizzate nell’area della vita familiare.
Una scala largamente usata, almeno in passato, è la Katz Adjustment Scale – KAS (Katz e Lyerly, 1963). Si tratta uno strumento complesso, composto da una serie di sub-scale, una parte delle quali devono essere compilate da familiari stretti del paziente (le scale R, da "relative") ed una parte dal paziente stesso (le scale S, da "self assessment"):
- Form R1 – Relative’s Ratings of Patient Symptoms and Social Behavior: è una scala di 127
- item che raccoglie informazioni tanto sulla sintomatologia quanto sul comportamento sociale, prima del ricovero (ed in questo caso la valutazione è dicotoma, presente/assente) e nel follow-up (ed allora la valutazione è fatta su di una scala a 4 punti, da "sempre" a "mai");
- Form R2 – Level of Performance of Socially-expected Activities: è un elenco di 16 attività (responsabilità familiari e sociali, cura di sé, attività sociali, eccetera) per ciascuna delle quali il familiare deve dire se sono svolte e con quanta regolarità;
- Form R3 – Level of Expectations: si tratta degli stessi item della Form R2 per i quali i familiari devono dire se si aspettavano o meno che il paziente le svolgesse entro un tempo ragionevole dopo la dimissione;
- Form RS4 – Level of Free-time Activities: è un elenco di hobby e di attività del tempo libero per le quali i familiari devono dire se il paziente le svolge più o meno regolarmente;
- Form R5 – Level of Satisfaction with Free-time Activities: sono gli stessi item della Form RS4 per ciascuno dei quali i familiari devono dire se sono soddisfatti per ciò che il paziente fa in quest’area;
- Form S1 – Symptom Discomfort: è una scala di autovalutazione composta da 55 item valutati su 4 punti (da mai a sempre) che esplorano sintomi somatici, umore ed ansia;
- Form S2 (Level of Performance of Socially-expected Activities),
- Form S3 (Level of Expectations), Form S4 (Level of Free-time Activities), Form S5 (Level of Satisfaction with Free-time Activities): sono l’esatto equivalente delle form R2, R3, RS4 ed R5 in versione di autovalutazione.
In questa maniera la scala consente il confronto tra il livello di adattamento sociale attuale e quello ottimale e tra l’opinione del soggetto e quella dei familiari. La KAS, inoltre, non valuta le prestazioni in ruoli specifici, anche se è largamente orientata in senso prestazionale ed è perciò più adatta alla valutazione dei soggetti adulti ancora inseriti in attività lavorative.
Uno strumento originale è la Social Dysfunction Rating Scale – SDRS (Linn et al., 1969) che, senza essere vincolata alle capacità prestazionali, valuta la capacità del soggetto di far fronte ai problemi, di risolverli e di raggiungere i propri fini. I 21 item della scala si articolano in tre sottogruppi (o "sistemi"), la valutazione di sé, i rapporti interpersonali e le capacità prestazionali (Tab. 19.IV). Per ogni item il valutatore deve tener conto non solo della propria opinione, ma anche di quella del soggetto, essendo la soddisfazione personale e la realizzazione di sé elementi importanti dell’adattamento sociale. In questo modo — ed è questa la caratteristica più importante della SDRS — non vengono penalizzate le situazioni estreme e viene data adeguata importanza alla soddisfazione soggettiva; così, ad esempio, l’individuo che vive da solo ed è felice è meno penalizzato di colui che vive con la famiglia ma si sente solo ed irrealizzato. L’analisi fattoriale consente di isolare cinque fattori: Distacco/Apatia, Insoddisfazione, Ostilità, Preoccupazioni per le condizioni di salute/economiche e Dipendenza manipolativa. La scala si è mostrata sensibile al cambiamento e quindi è utilizzabile, oltre che come una misura indipendente del disadattamento sociale, anche per la valutazione dell’efficacia dei trattamenti.
La Level of Functioning Scale – LFS (Strauss e Carpenter, 1972), essendo composta soltanto da 4 item, è senz’altro la scala più breve in questo settore ed è anche una delle poche messa a punto per la valutazione dei pazienti psichiatrici ricoverati. La scala, è stata impiegata nel WHO International Pilot Study onSchizophrenia (Strauss e Carpenter, 1974)
per la valutazione del livello di funzionamento prima del ricovero e per tutta la sua durata ed in un follow-up di due anni. La LFS esplora il livello delle relazioni sociali, dell’attività lavorativa, della durata dei ricoveri (nell’anno precedente) e della durata dei sintomi (nell’ultimo mese). La valutazione viene fatta da un valutatore esperto attraverso un’intervista semistrutturata che può richiedere dai 15 ai 30 minuti.
La Structured and Scaled Interview to Assess Maladjustment – SSIAM (Gurland et al., 1972) è stata concepita partendo dalla premessa che il "disadattamento sociale" deve essere inteso tanto in senso oggettivo, cioè come inadeguatezza prestazionale, quanto in senso soggettivo, come mancanza cioè di gratificazioni, in funzione dei ruoli e dei compiti che sono propri del soggetto in un determinato contesto sociale. Gli Autori hanno preso in con siderazione quegli aspetti del disadattamento — rappresentati dal malessere del soggetto, dal comportamento deviante e dagli attriti con gli altri — che sono di interesse per lo psichiatra, il quale ha come obiettivo del suo operare quello di ridurre il malessere del paziente e di riportarlo ad un comportamento normale e ad un adeguato rapporto interpersonale.
TAB. 19.IV – ITEM DELLA SOCIAL DYSFUNCTION RATING SCALE (Linn et al., 1969)
SOCIAL DYSFUNCTION RATING SCALE — SDRS
Istruzioni: Valutare ciascuno degli item come segue: 1. Assente 3. Lieve 5. Grave 2. Molto lieve 4. Moderato 6. Molto grave
VALUTAZIONE DI SÉ
1. |__| Bassa autostima (sentimenti d’inadeguatezza, sentirsi lontano dall’ideale di sé)
2. |__| Mancanza di scopi (mancanza di motivazioni interiori e di prospettive per il futuro)
3. |__| Mancanza di una soddisfacente filosofia o di un ideale di vita (un quadro concettuale in cui integrare le esperienze passate ed attuali)
4. |__| Preoccupazioni per la propria salute (preoccupazioni per la salute fisica, preoccupazioni somatiche)
RELAZIONI INTERPERSONALI
5. |__| Distacco emotivo (grado di incapacità a mettersi in rapporto con gli altri)
6. |__| Ostilità (grado di aggressività nei confronti degli altri)
7. |__| Manipolazione (utilizzo degli altri ai propri fini, dominio sugli altri)
8. |__| Iperdipendenza (grado di dipendenza parassitaria agli altri)
9. |__| Ansia (livello dei sentimenti di disagio, di pericolo imminente)
10. |__| Sospettosità (grado di diffidenza o di ideazione paranoide)
CAPACITÀ PRESTAZIONALI
11. |__| Mancanza di rapporti soddisfacenti con persone significative (coniuge, figli, consanguinei, persone significative che hanno un ruolo familiare)
12. |__| Mancanza di amici, di contatti sociali
13. |__| Necessità manifestata di un numero maggiore di amici, di contatti sociali
14. |__| Mancanza di lavoro (remunerativo o non remunerativo, attività lavorative produttive che generalmente danno la sensazione di essere utili, di avere un ruolo, di fiducia)
15. |__| Mancanza di soddisfazione nell’attività lavorativa
16. |__| Mancanza di attività del tempo libero
17. |__| Necessità manifestata di tempo libero, di attività arricchenti e gratificanti
18. |__| Mancanza di partecipazione alle attività della comunità
19. |__| Mancanza di interesse verso i problemi e le attività della comunità
20. |__| Insicurezza economica
21. |__| Rigidità adattiva
Nel SSIAM le reazioni emotive ed il comportamento vengono presi in considerazione in rapporto alle 5 aree principali della vita sociale (lavoro, ambiente sociale, famiglia, matrimonio e vita sessuale) che normalmente vengono prese in considerazione nella pratica clinica.
Gli Autori, inoltre, pensando che i clinici hanno maggiore familiarità con la malattia che con la salute, propongono la valutazione del disadattamento piuttosto che quella dell’adattamento (anche se, in realtà, il SSIAM contiene anche dei parametri di valutazione della salute mentale). I vari aspetti del disadattamento sono valutati indipendentemente l’uno dagli altri poiché il soggetto può avere dei problemi in alcuni, ma non in tutti i settori, o può, per effetto del trattamento, migliorare in alcuni e non in altri ed in altri ancora peggiorare addirittura. Nella SSIAM i singoli item devono essere valutati ognuno indipendentemente dagli altri perché il comportamento e l’adattamento in una determinata condizione può avere significato diverso per i singoli soggetti e la rilevazione di un dato oggettivo deve essere perciò separata dagli attributi che la qualificano; così, ad esempio, la tendenza all’isolamento è misurata dalla scarsezza di amici, ma uno può riempire la solitudine con i suoi hobby ed un altro può sentirsi solo, oppure, un individuo può essere eccessivamente dipendente dal coniuge, ma questa condizione può essere, in alcuni casi, motivo di conflitto e di attrito, in altri, di rinforzo per il legame coniugale. La scala è composta da 60 item: i primi 45 esplorano aspetti specifici del disadattamento, gli altri 15 prendono in considerazione l’opinione del clinico sugli stress ambientali, su alcuni elementi significativi ai fini della prognosi e su alcuni aspetti della salute mentale.
Un discorso a parte merita la Social Adjustment Scale – SAS. Weissman e Paykel (1974)
ne misero a punto una prima versione, la SAS, per la valutazione dell’adattamento sociale dei soggetti depressi, derivandola dalla SSIAM; nel 1976, per ovviare al problema di fondo della SSIAM e della SAS di richiedere, per la loro somministrazione, intervistatori adeguatamente preparati, Weissman e Bothwell misero a punto la Social Adjustment Scale – Selfreport – SAS-SR. Nel 1976 Schooler e collaboratori, avendo come obiettivo specifico lo studio della schizofrenia, misero a punto la Social Adjustment Scale-II – SAS-II, derivandola dalle due scale precedenti. La SAS-II è una scala di etero-somministrazione che si basa su di un’intervista strutturata e che esplora, mediante 52 item, il lavoro, la famiglia, la famiglia esterna (i parenti non conviventi), la socializzazione, il tempo libero ed il benessere personale.
Al termine dell’intervista il valutatore deve dare un giudizio soggettivo sul grado di adattamento in generale e nelle 5 aree esplorate. L’analisi fattoriale, condotta su di un’adeguata casistica, ha isolato 10 fattori (Malessere personale, Relazioni intime, Ruolo di genitore, Rapporti con il membro principale della famiglia, Relazioni sociali, Interesse per il lavoro, Attività sessuale, Capacità di svolgere il proprio ruolo, Cura di sé ed Indipendenza economica) che possono costituire i parametri in base ai quali costruire un profilo psicosociale.
La Self-Assessment Guide – SAG (Willer e Biggin, 1974) è una scala di autovalutazione composta da 55 item che esplorano sette aree: la salute fisica, l’umore in generale, i rapporti interpersonali, le relazioni personali, l’uso del tempo libero, il controllo dell’aggressività e l’attività lavorativa. La scala si presta alle somministrazioni ripetute ed alla valutazione, quindi, dell’effetto dei trattamenti; per agevolare il follow-up, ne è stata messa a punto anche una versione breve, di 13 item.
Uno strumento originale italiano è il Questionario Socio-Ambientale – QSA, messo a punto da Cassano e collaboratori (1974) e formulato in due versioni, di auto e di eterosomministrazione. Il questionario prende in esame gli aspetti sociali (ambiente, cultura, condizioni economiche) che possono avere rilevanza in rapporto alla patogenesi ed al mantenimento della patologia psichica, che possono favorire il disadattamento, ostacolare il reinserimento, precipitare o aggravare la psicopatologia. Il QSA può essere impiegato anche al di fuori dell’ambito psichiatrico per studiare le caratteristiche dello status socioambientale del soggetto e le modalità con cui vive la sua situazione esistenziale. Il profilo socio-ambientale che si ottiene offre un’immagine relativamente obiettiva della biografia e dello status del soggetto; tuttavia, esplorando il QSA tanto il settore storico-biografico che quello relativo allo status attuale, il profilo che se ne ricava risulta piuttosto statico, più adatto a studi trasversali che ad indagini longitudinali.
Il Denver Community Mental Health Questionnaire – DCMHQ (Ciarlo e Davis, 1975) è un’intervista semistrutturata per la valutazione dell’adattamento sociale e personale di pazienti adulti; è costituito da 79 domande semplici e concrete e può essere usato, perciò, in tutti i pazienti indipendentemente dalla diagnosi o dal background culturale. Vengono valutate le seguenti dimensioni: la sofferenza psicologica, l’isolamento dalla famiglia e dagli amici, l’efficienza in casa e nel lavoro, la dipendenza dall’assistenza pubblica, le conseguenze dell’abuso di alcol e di sostanze, la soddisfazione per i servizi, l’aggressività, le difficoltà legali e la frequenza dell’uso di droghe leggere e pesanti. La scala può essere somministrata anche da personale non professionale, purché si sia sottoposto ad un training adeguato.
Peculiare è il Personal Resources Inventory – PRI di Clayton e Hirshfeld (1977) che valuta le risorse o i supporti sociali disponibili per il soggetto durante il suo periodo di massimo funzionamento in un ben definito periodo di un anno. Il PRI viene somministrato mediante un’intervista semistrutturata, ed un manuale fornisce le linee guida per individuare i 12 mesi da esplorare e specifici punti di riferimento ai quali ancorare il punteggio.
Le potenziali fonti di supporto sociale prese in considerazione sono il matrimonio attuale, le relazioni affettive, la famiglia, gli amici, i vicini di casa, il lavoro, le risorse economiche, i contatti sociali ed altre situazioni quali la sicurezza, la salute, la religione, il tempo libero, eccetera. L’interesse per questo strumento risiede nel fatto che consente di vedere in una prospettiva diversa la situazione socio-ambientale dei soggetti e di poter verificare così eventuali differenze relative alle risorse disponibili nei vari tipi di pazienti e nei non-pazienti.
Ciò che principalmente caratterizza la Standardized Interview to Assess Social Maladjustment o Standardized Interview Schedule – SIS (Clare e Cairns, 1978) è il fatto di essere stata costruita con il preciso intento di standardizzare i criteri in base ai quali misurare il disadattamento sociale e di essere utilizzabile sia nei pazienti ricoverati che in quelli ambulatoriali. La SIS valuta tanto i rapporti sociali (coniugali, familiari, nel tempo libero, sul lavoro) che la gestione economica, ma la sua caratteristica principale è che, per ciascuna area esplorata, sono prese in considerazione separatamente le condizioni materiali (le circostanze sociali "obiettive" in cui vive il soggetto), la gestione sociale (cioè la capacità del soggetto di gestire la sua vita sociale) e la soddisfazione che il soggetto ricava dal suo modo di condurre la sua vita nelle singole aree. In assenza di precisi punti di riferimento circa i requisiti di base per una vita sociale adeguata, gli Autori propongono una modalità standar-
dizzata di valutare le condizioni materiali: questo approccio minimizza l’impatto della valutazione soggettiva mediante il confronto con i criteri oggettivi.
La Social Behaviour Assessment Schedule – SBAS (Platt et al.,1980) è stata messa a punto per valutare il comportamento sociale del paziente psichiatrico ed il suo impatto sui familiari o sulle persone a lui più strettamente legate (familiari, amici), che vengono definiti come "informatori". Secondo gli Autori, infatti, è importante ed utile, tanto sul piano pratico che su quello concettuale, valutare la sofferenza di queste persone in rapporto a ciascun problema o a ciascuna difficoltà legata alla malattia del paziente. Generalmente (e preferibilmente)
l’informatore è una persona che ha un rapporto molto stretto con il paziente (coniuge, figlio/a, genitore…), vive assieme a lui ed interagisce quotidianamente con lui e che, oltre ad essere in grado di fornire informazioni attendibili, è anche nella posizione di vivere il peso e la sofferenza conseguenti alla malattia ed al disadattamento sociale del soggetto.
La SBAS è composta da 6 sezioni:
- introduzione e informazioni di base: raccoglie le informazioni demografiche relative all’informatore, alla composizione della sua famiglia, alla storia del paziente ed alla frequenza dei contatti tra informatore e paziente;
- comportamento del paziente – valutazione del disturbo: raccoglie dall’informatore le notizie necessarie per la descrizione e la valutazione dei vari comportamenti del soggetto;
- comportamento sociale del paziente: è l’equivalente della sezione 2 per ciò che riguarda l’adattamento sociale;
- effetti negativi sugli altri: prende in considerazione le conseguenze emotive, oggettive, del comportamento del paziente sull’informatore e sugli altri all’interno ed all’esterno della famiglia;
- eventi concomitanti: raccoglie informazioni circa la presenza, nella vita dell’informatore, del paziente, della famiglia e degli amici, di importanti eventi capaci di influenzare la loro vita;
- supporti all’informatore/situazione abitativa dell’informatore: assieme alle sezioni 1 e 5 contribuisce a contestualizzare i disturbi del paziente ed a comprendere il suo significato per la famiglia.
Si tratta, in tutto di 239 item per la cui somministrazione sono necessari tra i 60 ed i 90minuti; l’intervista fa riferimento agli avvenimenti avvenuti nell’ultimo mese, salvo che per la quinta sezione che indaga gli ultimi tre mesi.
Come abbiamo detto all’inizio, la valutazione dell’adattamento sociale è nata quando le terapie psichiatriche hanno consentito il passaggio da quella che è stata definita "l’istituzione separata" (l’ospedale psichiatrico) alla "comunità sociale". Questo passaggio non è stato né immediato né generalizzato, neppure là dove, come nel nostro Paese, questo passaggio avrebbe dovuto avvenire per legge: ancora oggi, infatti, esiste il problema dei pazienti psicotici cronici istituzionalizzati accanto ai quali sta acquistando sempre più peso la nuova cronicità. Per la valutazione delle variazioni del comportamento e dell’inabilità sociale in questi soggetti portatori di quelle che vengono definite "long-term disabilities", ricoverati in strutture per lungodegenti (nei Paesi in cui queste esistono) o istituzionalizzati in qualche modo nella comunità, la maggior parte degli strumenti disponibili risulta di scarsa utilità essendo poco sensibile a modificazioni lente e modeste come quelle che si osservano generalmente in questi soggetti. E invece la documentazione di miglioramenti comportamentali anche modesti, oltre ad essere importante per la valutazione dell’efficacia di un servizio o di un protocollo terapeutico, ha un notevole significato psicologico per gli operatori che lavorano con questo tipo di pazienti poiché può rafforzarne la motivazione a continuare un lavoro generalmente avaro di gratificazioni.
Per questa particolare popolazione di pazienti, il Servizio di Psichiatria Sociale dell’Istituto di Psichiatria di Londra, basandosi sulla propria esperienza di lavoro con pazienti psichiatrici cronici istituzionalizzati, ha messo a punto una serie di strumenti di valutazione, tre dei quali sono particolarmente interessanti, la Social Role Performance Schedule – SRP (Hurry e Sturt, 1981), la Social Behaviour Scale – SBS (Wykes e Sturt, 1986) e la Needs For Care Assessment Schedule – NFCAS (Brewin et al, 1988).
La Social Role Performance Schedule – SRP valuta le funzioni o i ruoli sociali che un adulto, nella nostra cultura, dovrebbe svolgere; la scala prende in considerazione 8 aree (gestione della famiglia, attività lavorativa, gestione economica, cura dei figli, rapporti affettivi, altri rapporti sociali, immagine sociale e gestione delle situazioni impreviste) indagando, se sono presenti difficoltà, sull’esordio e sul decorso delle difficoltà stesse, sulle loro possibili cause e sulle reazioni emotive che possono aver suscitato nel soggetto.
Anche la Needs For Care Assessment Schedule – NFCAS ha come obiettivo la valutazione del ruolo sociale, ma da un altro punto di vista: preso atto dell’esistenza di deficit nel funzionamento sociale, la scala si pone l’obiettivo di individuare e classificare i "bisogni"
del paziente in modo da determinare il tipo di aiuto di cui egli ha bisogno. Gli Autori sono partiti dall’ipotesi che un deficit nel funzionamento sociale sia espressione del potenziale bisogno di aiuto in una determinata area, e da qui la necessità di intervento da parte del Servizio; un’indagine di questo tipo consente la valutazione del "bisogno di servizi" e delle forme di aiuto individuale che potrebbero essere utili ai pazienti fornendone al Servizio stesso una "mappa programmatica".
Di più specifico interesse per noi è comunque la Social Behaviour Scale – SBS, una scala che ha una lunga storia e diverse versioni alle spalle e che qui presentiamo nella sua versione standard. La SBS è un’intervista semistrutturata da effettuarsi con un informatore (infermiere, parente, operatore, eccetera) che valuta, mediante 21 item, aspetti elementari del comportamento, come la capacità di iniziare spontaneamente una conversazione e di mantenere contatti sociali, la presenza di aggressività o di idee/comportamenti suicidari, la cura di sé, eccetera). Altri 9 item esplorano aree quali l’attività lavorativa, il tempo libero, la presenza o meno di handicap fisici, eccetera, come completamento dell’informazione, ma senza incidere sul punteggio della scala. Ciò che rende particolarmente interessante questo strumento è il fatto che, prendendo in considerazione il comportamento, non è influenzato da fattori culturali come lo sono, invece, gli approcci che fanno riferimento al funzionamento nel ruolo sociale.
La Disability Assessment Schedule – DAS è stata sviluppata sotto l’egida del WHO (1985)
con lo scopo di disporre di uno strumento semplice, applicabile in contesti culturali diversi, per la valutazione dell’adattamento sociale e dei fattori che possono influenzarlo; nel 1988
ne è stata messa a punto una versione aggiornata, il DAS-II. Le radici di questa scala si ritrovano nella SBS e nella SPR (di cui abbiamo appena detto) e si basa sul concetto che il disadattamento e la compromissione sociale sono distinti e relativamente indipendenti dai sintomi della malattia mentale. L’impiego di questa scala richiede un training adeguato e per la valutazione si ricorre ad un’intervista semistrutturata al paziente e/o ad un informatore; si può fare riferimento anche alla documentazione scritta disponibile. La scala, che è diffusamente utilizzata, è composta da 97 item che esplorano 4 aree:
- il comportamento generale, che comprende la cura di sé, la ridotta attività, il rallentamento, l’isolamento sociale;
- i ruoli sociali presenti in tutte le culture, come la partecipazione alle attività familiari, i ruoli coniugale, parentale, occupazionale e sessuale, i contatti sociali, gli interessi e l’informazione, il comportamento in situazioni di emergenza o di crisi;
- il comportamento in ospedale (solo se c’è stato un ricovero nell’ultimo mese), che comprende rallentamento, iperattività, conversazione, isolamento sociale, interessi di svago, irrilevanza del discorso, posture e manierismi, comportamento violento, tendenza a stare a letto, aspetto della persona, comportamento alimentare, opinione del personale di assistenza, occupazioni del paziente e contatti con il mondo esterno;
- i possibili "fattori modificanti" le condizioni di vita del paziente, come specifiche attività o responsabilità, atmosfera familiare o supporti esterni.
La valutazione fa riferimento al mese precedente; per molti item, il comportamento del paziente deve essere valutato comparativamente al presunto comportamento "normale" o "medio" di una persona dello stesso sesso ed età e di analogo background socioculturale.
La DAS è stata tradotta in numerose lingue, compreso l’italiano: anzi, le versioni italiane sono 3, la prima, curata dal Servizio di Psicologia Medica dell’Università di Verona, rigidamente fedele al testo originale, la seconda e la terza, curate rispettivamente dal SIMAP della USL di Ferrara e dall’Istituto Superiore di Sanità, sono modificate in parecchi item.
Recentemente è stata messa a punto da un gruppo di ricercatori olandesi la Groningen Social Disability Schedule – GSDS (Wiersma et al., 1988), che è stata parzialmente inclusa nel sistema classificatorio della disabilità del WHO. La GSDS prende in considerazione 8 ruoli (cura di sé, ruolo familiare, rapporti con la famiglia d’origine, ruolo coniugale, genitoriale, lavorativo e di cittadino, contatti sociali) e li esplora mediante un’intervista semistrutturata.
L’attribuzione del punteggio prende principalmente in considerazione la deviazione rispetto alle aspettative ed alle regole del gruppo di riferimento e la libertà d’azione dell’individuo.
Uno strumento che ha avuto una notevole diffusione è il Life Skills Profile – LSP (Parker et al., 1991), una scala di eterovalutazione del funzionamento globale e delle disabilità dei pazienti schizofrenici. Il termine "life skill" comprende i concetti di "abilità e comportamenti di base che consentono ad un individuo di svolgere adeguatamente le attività della vita quotidiana e di ricoprire un determinato ruolo nella società" (Ruggeri, 1997) e com’è facile rendersi conto, non esiste un termine corrispondente italiano altrettanto sintetico e l’Autore della traduzione italiana, nel tentativo di semplificare, ha utilizzato il termine "funzionamento", inteso come funzionamento generale, "un concetto astratto, che include un’ampia varietà di abilità differenti, non sempre e non necessariamente in relazione fra di loro, come ad esempio l’essere capace di interagire con altre persone e l’essere in grado di procu-
rarsi da mangiare" (Zizolfi, 1997). L’LSP è stata esplicitamente messa a punto per poter essere compilata da parte di chiunque abbia una conoscenza diretta del comportamento dei pazienti in esame, nei vari ambiti della vita quotidiana e non richiede, perciò, nessun tipo particolare di competenza specifica, poiché il contenuto degli item richiede soltanto di esaminare il paziente in rapporto a tutta una serie di comportamenti di immediata osservazione e di facile valutazione da parte di chiunque (familiari, conoscenti, amici, operatori sanitari e sociali di qualsiasi livello e formazione) abbia dimestichezza con il paziente stesso. Il valutatore deve prendere in considerazione, per ogni item, il funzionamento generale abituale del soggetto nel corso degli ultimi tre mesi ed escludendo eventuali momenti di crisi. L’analisi fattoriale dei 39 item della scala ha consentito di isolare 5 subscale che rimandano ad altrettante dimensioni del funzionamento nella vita di tutti i giorni: Cura di sé, Non turbolenza, Contatto sociale, Comunicatività e Responsabilità. La semplicità e la facilità d’uso, assieme alle buone cartteristiche psicometriche, hanno certamente contribuito alla diffusione dell’impiego di questa scala.
Prima di chiudere, corre l’obbligo di ricordare che, a partire dal DSM-III, il sistema classificatorio dell’APA dedica l’Asse V alla valutazione globale del funzionamento mediante la Global Assessment of Functioning – GAF (di cui abbiamo parlato al Capitolo 8 a proposito della valutazione globale della psicopatologia) che valuta, appunto, oltre alla psicopatologia generale, l’adattamento sociale. Nel DSM-IV vengono proposte due scale specificamente sviluppate per la valutazione di due aspetti dell’adattamento sociale, il funzionamento relazionale e quello sociale e lavorativo.
La prima è la Global Assessment of Relational Functioning – GARF Scale (nella traduzione italiana: Scala di Valutazione Globale del Funzionamento Relazionale – VGFR), che viene proposta per la valutazione del funzionamento di una famiglia o di un’altra "entità relazionale" su di un continuum che va da un funzionamento relazionale valido ed ottimale ad uno non funzionale, disgregato. La GARF consente di valutare la risposta della famiglia (o comunque di una struttura relazionale stabile) rispetto ai bisogni dei suoi membri nella soluzione dei problemi (capacità di concordare obiettivi, regole ed attività routinarie; adattabilità allo stress; capacità di comunicazione e di risolvere i conflitti), nell’organizzazione (mantenimento dei ruoli interpersonali e dei reciproci confini; funzionamento gerarchico; distribuzione del potere, del controllo e delle responsabilità e coalizioni) e nell’atmosfera emozionale (tono e gamma dei sentimenti, qualità delle cure, dell’empatia, del coinvolgimento, dell’attaccamento/affidamento; condivisione dei valori; reattività, rispetto e riguardo affettivi reciproci; qualità della vita sessuale).
La seconda è la Social and Occupational Functioning Assessment Scale – SOFAS (in italiano: Scala di Valutazione del Funzionamento Sociale e Lavorativo – SVFSL) (Goldman et al., 1992) che, a differenza della GAF, non prende in considerazione l’impatto della psicopatologia, ma soltanto il livello di funzionamento sociale e lavorativo. La SOFAS viene generalmente utilizzata per valutare il funzionamento attuale rispetto ad un continuum ideale che va da un livello eccellente ad uno grossolanamente deficitario.
Vogliamo ricordare, infine, un altro contributo italiano mirato a coniugare la valutazione della disabilità del soggetto con quella del carico della famiglia. Si tratta dell’Accertamento Disabilità e Carico familiare – ADC (Morosini et al., 1988) nella quale si fondono la DAS, modificata e senza la sezione relativa al ricovero, la SBAS, nella parte relativa al carico familiare, e due sezioni originali mirate a cogliere i problemi di funzionamento sociale ed il carico delle famiglie nel contesto specifico della psichiatria territoriale italiana.