Prof. Mauro Ceruti
I temi affrontati nei gruppi e presentati dai reporter sono molto articolati. Mi limiterò a fare tre sottolineature di tre fuochi problematici che tengono conto di questo contesto; mi riferisco al gruppo della Commissione e al gruppo allargato coordinati dal Dott. D’Alema. Questi tre fuochi di interessi vogliono sottolineare la pertinenza per questo contesto, per come mi pare di comprenderli per me interessanti. Il primo: tutte e quattro le relazioni sui gruppi sono tornate, anche se con sfumature diverse, sul tema della costruzione dell’identità, il tema del disagio, della confusione anche definitoria, dell’emergenza di nuove problematiche legate a questa tematica dell’identità che in qualche modo può chiarire bene anche il tema del disagio e della personalità; il tema dell’identità è interessante proprio perché mette in evidenza che sullo sfondo delle nostre, delle vostre preoccupazioni sta una rapida, accelerata mutazione antropologica che si produce all’interno di due assi cartesiani in questi ultimi due decenni e cioè quello della globalizzazione dal punto di vista antropologico e cioè della sempre più stretta interdipendenza tra identità, culture in antitesi come dato di fatto e della rapidissima evoluzione della tecnologia. Non dobbiamo sottovalutare la caratteristica speciale della tecnologia dei nostri giorni anche nell’evoluzione dell’identità, della personalità, dello sviluppo in particolare delle nuove generazioni che però corrisponde ad un problema antropologicamente molto più ampio. Il Novecento è stato il secolo nominato "delle rivoluzioni scientifiche" cioè sono accadute scoperte e ricerche che hanno messo non soltanto in rapida accelerazione la quantità di conoscenze e di informazioni di cui disponiamo circa la natura a tutti i suoi livelli di organizzazione, ma ha rimesso in gioco alla radice i principi organizzatori delle nostre conoscenze, quelli che gli storici della scienza hanno chiamato i paradigmi, cioè è cambiato non soltanto ciò che sappiamo sul mondo, ma anche il modo in cui lo sappiamo, a partire dalla rivoluzione quantistica all’inizio del Novecento sino poi ad arrivare alle rivoluzioni biologiche.
Le biologie di base, hanno davvero introdotto un cambiamento non solo quantitativo, di per sé già dirompente, ma anche qualitativo sul modo in cui noi rappresentiamo noi stessi, il nostro posto nel mondo e nella natura. Non a caso il Novecento è stato chiamato il secolo "delle rivoluzioni scientifiche" senza trascurare il fatto che di lì a poco, dopo ogni rivoluzione scientifica – dalla fisica alla biologia, alla cibernetica – ci sono state delle ricadute tecnologiche che hanno potentemente trasformato i nostri modi di vita. Però le ricadute delle rivoluzioni tecnologiche sono sempre state, anche se di poco, successive a delle rivoluzioni scientifiche che hanno riguardato i nostri quadri concettuali. In misura estremamente importante negli ultimi venti-venticinque anni, soprattutto nel campo delle tecnologie della produzione, ad esempio l’informatica, e nel campo delle biotecnologie, tecnologie per la vita, assistiamo ad un fenomeno che è anche difficile da concettualizzare e da dire e cioè il fenomeno secondo il quale abbiamo degli sviluppi rapidissimi di tecnologie che non sono preceduti e neanche talvolta succeduti da evoluzioni e teorizzazioni, da scoperte concettuali in grado di interpretarli. Assistiamo ad un fenomeno di evoluzione autonoma della tecnologia in mancanza di quadri teorici della scienza in grado di governare, interpretare e di prevedere gli sviluppi rapidissimi di cui dicevo prima. All’interno di questo processo che coinvolge tutti i livelli di organizzazione dell’esistenza umana, ma soprattutto il mondo giovanile, si stanno producendo dei fenomeni identitari, dei processi di apprendimento e di sviluppo cognitivo molto particolari, rispetto ai quali varrebbe la pena di fare delle riflessioni, delle ricerche interdisciplinari che possono essere utili per porre quel problema di costruzione del disagio dell’identità a cui si riferiva il Professor Levi.
Elencherò solo brevemente gli altri due punti. Dalle tematiche rilevate dai reporter si evidenzia l’utilità, in questo contesto, dei gruppi di lavoro per lo più istituzionalmente connessi alle funzioni di governo, perché si evidenzia che le problematiche tipiche pensate e governate per professione si intrecciano — ed è emerso bene da tutti i gruppi — con le tematiche della bioetica. Il tema ad esempio del diritto alla cura che è emerso in particolare nel primo gruppo, ma in qualche modo presente anche negli altri gruppi, è un tema che non può a mio modo di vedere essere interpretato secondo le categorie tradizionali del diritto e della democratizzazione della cura, ma ha a che fare con problematiche tipicamente bioetiche e cioè con il problema dei limiti anche dell’erogabilità della presa in carico innanzitutto in una società caratterizzata da limiti di risorse, non solo economiche, ma anche umane e di competenze, e in seconda battuta è un problema bioetico perché guarda molto probabilmente non soltanto a patologie diagnosticate, ma — e questo è il secondo tema — la presa in carico della cura della costruzione dell’identità che, non a caso, ha consentito a tutti i gruppi di mettere in evidenza il nodo dell’intreccio tra i vostri ambiti e l’ambito della scuola. Non soltanto mi pare di capire per il problema della diagnosi precoce, ma per la prevenzione, più ancora per la costruzione di modalità creative, evolutive dello sviluppo dell’identità infantile e adolescenziale.
Terzo ed ultimo fuoco di interesse è il problema della formazione, non nel senso della scuola e quindi del bambino e dell’adolescente come soggetto della presa in carico della cura, ma della formazione dei professionisti dedicati, in vari modi, alla cura. Il tema della multidisciplinarità è diventato il tema che ha fatto da filo conduttore nelle vostre riflessioni. La formazione del professionista oggi va a raggiungere un tema di multi-transdisciplinarità che è il picco del lavoro di ricerca di frontiera degli scienziati e cioè senz’altro anche nel campo delle professioni è sempre più accelerata la produzione di competenze nuove e tipi di problemi nuovi. E questo è un primo problema. Il secondo problema è quello della complessità, nel senso semplice del termine, degli "oggetti" di cura e di ricerca, nel senso che i soggetti di cura e di ricerca sono sempre degli esempi dell’intreccio inestricabile di dimensioni diverse che rimandano a competenze, discipline, punti di vista differenti che non coltivati da tutti i professionisti, ma la cui connessione è largamente trascurata nella logica dipartimentale che separa i problemi e le competenze ancora nella formazione universitaria. Questo è un problema che nelle Facoltà di Medicina e non solo potrebbe, dovrebbe essere affrontato; non soltanto la capacità di intrecciare tecniche, ma anche la costruzione di una cultura, di un’epistemologia in grado di andare a cercare aiuti interdisciplinari senza essere portatori specificamente di quella competenza.
Infine, la non linearità dei problemi di cui parlate, la non prevedibilità e dunque la non linearità degli effetti delle azioni messe in gioco con ogni buona intenzione, nel tentativo di farsi carico…e qui è un problema davvero estremamente importante e specifico per la particolare complessità sia dei sapere che degli oggetti di questi saperi che caratterizzano tutte quante le nostre professioni. Quindi un’altra interfaccia importante degli esiti di questo lavoro dovrebbe essere da una parte il mondo della scuola, della bioetica e dell’Università mettendo a fuoco alcuni nodi cruciali che possono stimolare chi sta riformulando questi problemi e attivando processi di promozione della salute.
Dott. Franco Nardocci
Riprendendo l’ultimo discorso di Levi sul ruolo e le funzioni del Ministero posso dire che avendo partecipato all’organizzazione di questa iniziativa posso dire che è stata piuttosto faticosa perché erano e sono ancora due mondi che devono fare ancora molto per comunicare, per comprendersi e per avere i punti più precisi, che Levi ha citato, per avere una visione di sanità pubblica. Utilizzerò alcune cose che ho sentito per segnalare come indirettamente alcuni fenomeni segnalano le difficoltà dei servizi perché direttamente non sono i servizi in difficoltà. Se riprendiamo i tre grandi assi a livello internazionale del diritto alla sanità, alla salute e sono il contrasto della disuguaglianza, la prevenzione e l’integrazione. Il fatto che in una regione italiana soltanto due anni fa sia stato assunto uno specialista in neuropsichiatria infantile è un movimento indiretto che segnala una situazione perché io credo che in questo senso stiano meglio gli psicologi, gli assistenti sociali e i terapisti temo però che stiano troppo poco bene i bambini in quella regione e in quella regione c’è un dato che segnala con una violenza inaudita che cosa significa il contrasto delle disuguaglianze in Italia. In quella regione i bambini che nascono prematuri o dismaturi hanno una possibilità di sopravvivenza o di non essere colpiti da deficit successivi molto bassa rispetto ai bambini della Lombardia e allora un fenomeno che deve essere attenzionato è il contrasto delle disuguaglianze e anche il fenomeno delle accessibilità. Ma ciò che indubbiamente ha rappresentato, e il significato della politica del Ministro Turco era la cultura dell’infanzia e di come ha portato all’interno di un programma della salute mentale questo obiettivo che non è stato raggiunto e che deve riferirsi a una legge quadro, anche se io non so bene se in una nuova organizzazione di questo stato tra competenze delle regioni e competenze del Ministero questa cosa come possa essere affrontata, certo è che l’obiettivo della cultura dell’infanzia è un obiettivo in molte realtà che deve ancora muoversi anche perché la neuropsichiatria infantile, come diceva il Prof. Levi, non è solo un problema di neuropsichiatria infantile ma è effettivamente un problema che entra in un discorso più ampio della salute mentale insieme alle famiglie, alle scuole, ai servizi sociali, al tribunale dei minori al consultorio. Mi è tornato in mente che quell’un percento dei bimbi di Bari che sono affidati ai servizi dal tribunale sono al consultorio perché in quella realtà sono i consultori che hanno affrontato quel tipo di problema e quindi la complessità è ancora ulteriore e credo anche che ci sia l’esigenza di valutare la specificità dei percorsi delle professioni e dell’organizzazione dei servizi all’interno di ottiche che comunque ci permettono intanto un ritrovare obiettivi comuni, anche un parlare in modo diverso e con settori diversi ma con un obiettivo comune, non è facile integrarsi. Parliamo dell’integrazione dei servizi ma scusate gli Assessorati si integrano? Una mia esperienza di questi giorni in cui i servizi che afferivano al materno-infantile hanno avuto più difficoltà di venire a conoscenza di questa operazione che delle regioni in cui i servizi infantili afferivano ai servizi di salute mentale perché non si parlano tra di loro per cui l’integrazione è un obiettivo anche di tipo tra virgolette politico-istituzionale perchè la salute mentale non può cominciare a diciotto anni, però i finanziamenti cominciano a diciotto anni e non comincia nemmeno a quattordici anni tra l’altro i finanziamenti non ci sono. Quindi il problema dei finanziamenti è reale, è concreto è un problema d’identità perché le molte cose che sono state fatte in alcune regioni e le poche cose che sono state non fatte in altre regioni sono state fatte comunque su scelte di bilanci delle regioni per cui dobbiamo andare a discutere con le regioni e con il coordinamento delle regioni affinché il dibattito che è avvenuto qui debba avvenire nelle regioni e nelle regioni in cui i problemi sono eterogenei individuino le modalità di approccio ai vari obiettivi, Credo che, infine, questa iniziativa del Ministero è poi, oltre ad essere stata faticosa, la prima che attiva, allarga e in qualche modo permette degli approfondimenti e credo che questo sistema debba proseguire e questo nesso infanzia-adolescenza-adulti e anziani debba essere mantenuto a livelli differenti perché ci sono contesti di rappresentatività diversi; so bene che c’è un riferimento delle varie regioni nelle organizzazioni però in che modo questa presenza può garantire una continuità di approfondimento e di indirizzo nelle varie regioni su questo tema? E poi concludo sulla questione integrazione che è un obiettivo, e credo anch’io che molte volte è un problema di accordi di programmi cioè di mettersi attorno ad un tavolo e fare programmi comuni, però non sempre è un problema di accorsi, di programmi comuni perché alle volte è anche un problema di competenze e il problema che segnalava Levi sulle disabilità e se la scomponiamo riconduce ad un discorso sul ritardo mentale e sull’autismo che vede una profonda differenza di presenze di competenze a livello nazionale e che se nell’area infanzia-adolescenza le competenze sull’autismo per aree abbastanza rappresentative in quasi tutte le regioni faticosamente raggiunte posso dire che la neuropsichiatria infantile è l’unica che ha fatto uscire una linea guida sull’autismo che è stata anche inviata a tutti i Dipartimenti di salute mentale e non abbiamo ancora nessuna cosa in nessuna area della psicologia, non abbiamo ancora nessuna rappresentatività di questa cosa nella scuola cioè nel mondo educativo per cui credo che il mondo della psichiatria adulti credo che sia in grande difficoltà sulle competenze che riguardano l’autismo quindi fondamentalmente il poter parlare e il collegare tra di noi significa anche che questa questione dell’integrazione tra aree possa anche consolidarsi non solo su percorsi organizzativi ma anche di competenze.