Il gruppo, condotto dal dottor Raffaele Barone, era costituito da 13 partecipanti.
I temi trattati sono stati molti e sono stati affrontati da diverse prospettive.
Procedendo sinteticamente si è provato a capire cosa si intenda con l’etichetta formazione distinguendo innanzitutto un processo personale da uno professionale; si diceva che la formazione è un concetto che richiede tempo e questa è stata una prima discriminante per poter distinguere il processo formativo dalla partecipazione a dei corsi di aggiornamento, cosa ben diversa dal partecipare ad un processo di formazione vero e proprio sia personalmente che istituzionalmente.
Nei servizi di salute mentale sono state individuate delle competenze di base per poter lavorare in rete nei servizi, che sono: essere consapevoli di far parte di un gruppo di lavoro, saper lavorare in gruppo, saper gestire i conflitti e le relazioni in senso lato, le relazioni con l’utente, la famiglia e i contesti allargati.
È emerso, in merito alla formazione, come prima di essere un gruppo che partecipa ad processo formativo forse bisognerebbe fare una formazione per il proprio gruppo; nel senso che, emergeva dalla discussione dei partecipanti, è difficile, pur dicendo le stesse cose, riuscire a capirsi completamente; ci si è detti che per riuscire a capirsi è necessario rendersi disponibile e mettersi in ascolto dell’altro e qualcuno sottovoce ha ricordato che forse il mettersi in ascolto dell’altro richiede umiltà.
Anche nel nostro gruppo è stato sottolineato, come diceva il Dott. Maurano, lo scollamento continuo tra la formazione universitaria e quello che viene richiesto agli operatori dei servizi; si diceva che la via possibile per risolvere questa frattura è quella di conoscersi e riconoscere le specificità degli universitari per entrare in una logica di complementarietà. In questo senso i tirocini e una certa attenzione ai processi di tutoraggio potrebbero costituire l’occasione per introdurre gradualmente gli operatori del futuro nei servizi; facendo dei tirocini in tutte le fasi del percorso universitario soprattutto durante la fase di specializzazione all’interno dei servizi, cioè mettere gli operatori del futuro in relazione con la realtà istituzionale con la quale dovranno confrontarsi.
Un altro tema importante del gruppo è stato quello di rendere trasmissibile la competenza acquisita negli anni, attraverso la pratica di lavoro quotidiana. Bisognerebbe lavorare anche per riuscire a tradurre in principi operativi quelle che sono le competenze derivanti dalla prassi quotidiana. In seguito si è discusso della supervisione intesa più come co-visione e come possibilità di condividere un vissuto, un’esperienza e questo è anche legato al ruolo dei servizi. Forse bisognerebbe uscire da questa visione dicotomica che vede contrapposti tra loro l’università e i servizi e costruire una nuova modalità con cui pensare alla formazione che non sia né solo istituzionale e connessa ai servizi di salute mentale, né solo universitaria. Il gruppo portava come indicazioni pragmatiche-operative quelle di un legame tra servizi di salute mentale e ricerca universitaria perché insieme trovino una sinergia, un accordo strategico e promuovano presso le Regioni la ricerca di un’assunzione di responsabilità volta a mettere in relazione le Università e le Regioni, nonché i servizi territoriali.
Infine, il gruppo, facendo un lavoro riassuntivo, ha voluto sottolineare due aspetti e cioè che la formazione deve essere legata ad una programmazione seria e reale, che abbia quindi delle ricadute praticabili; infine forse è necessario parlare di formazione e ricerca, e non più solo di formazione, proprio per superare questo scollamento tra Università e territori.