Per chi come me che ha vissuto le vicende della assistenza psichiatrica degli anni cinquanta agli anni ottanta collegando strettamente l'impegno sul piano clinico e assistenziale con la necessità e l'impegno a cambiare modalità e ambiente in cui questo impegno clinico terapeutico potesse pienamente esprimersi, il ricordare a distanza di venti anni la legge 180/78 comporta il ripensare al contesto in cui tale legge ha potuto essere varata e il riproporre , pur in estrema sintesi, i dati più salienti dipanatesi nell'arco di una trentennio e di cui , mi sembra, si stia perdendo la memoria storica ; memoria che vorrei qui un po' rinfocolare.
Dopo la seconda guerra mondiale pur nell'assillo della ricostruzione materiale già alla fine degli anni 40 tra c'erano state iniziative sia pur sporadiche , e comunque senza risultati pratici, tese a mettere in discussione il dettami della legge Giolitti (1905) sui manicomi soprattutto per come fu interpretata alla luce del codice Rocco del 1933, dove la trascrizione nel casellario giudiziale dell'eventuale ricovero in Ospedale Psichiatrico era stata introdotta come possibile strumento di denigrazione di avversari politici, ma che, in realtà, diventano un forte strumento di squalificazione per qualsiasi ricoverato negli O.P. ( la cui gestione era affidata alle amministrazioni provinciali) individuati come strumenti di esclusione sociale dove operava un personale di "custodia e cura" scarsamente qualificato a livello infermieristico e, non di rado, anche medico.
Per i medici giocano negativamente oltre al basso rapporto numerico rispetto alla popolazione dei ricoverati anche il fatto che, a parte il medico direttore (che solo era a autorizzato fare diagnosi e a decidere dopo 15 giorni dal ricovero la dimissione o la ammissione definitiva dei pazienti) ad essi non era richiesta alcuna specializzazione e, talora, neanche l'iscrizione all'ordine dei medici, considerati come erano alla pari, per funzioni, responsabilità e remunerazione, degli impiegati amministrativi della Amministrazione provinciale.
Quanto agli infermieri era richiesto loro solo l'attestato del completamento degli studi elementari e l'acquisizione di un "patentino psichiatrico" di incerto, ed in genere scadente, valore.
E per i medici che sceglievano l'Ospedale Psichiatrico non come rifugio ( dato che questo era l'unica struttura ospedaliera il cui posto di ruolo assicurava loro, a tutti i livelli, la stabilità fino all'età di 65 anni con relativa pensione, mentre negli altri ospedali ciò valeva solo per i medici primari ) ma per interesse professionale, le possibilità di specializzazione offerte dalle Università erano legate alle Cliniche delle Malattie Nervose e Mentali in cui prevaleva nettamente l'indirizzo neurologico ed organicista.
E' da tenere presente come durante il ventennio fascista fosse stata bloccata ogni iniziativa universitaria o parauniversitaria relativa agli studi psicologico-psicoanalitici il che operò , come è noto, un forte condizionamento negativo sul piano della culturale cosicché anche da questo punto di vista mancò un aiuto al disancoramento degli studi psichiatrici dalla succitata preponderante matrice neurologia universitaria; anche se qualche Ospedale Psichiatrico in tempi più o meno recenti si era proposto come sede di specifica formazione psichiatrica .