Saggio diario in cui Giancarlo De Cataldo racconta la sua esperienza di giudice di sorveglianza nelle prigioni del Lazio dal 1985 al 1990 e, raccogliendo una vecchia ed inascoltata idea, suggerisce ai giudici una più diretta conoscenza della vita carceraria, un "faccia a faccia con quelle persone che scontano quella galera da loro inflitta con un semplice tratto di penna". Nucleo fondamentale del libro è la riflessione sulle storie di "quegli uomini da niente, e senza niente, emblema vivente, impressionante icona del capolinea di un viaggio attraverso il fallimento di un’esistenza". La maggior parte dei detenuti proviene da situazioni di emarginazione, da realtà ambientali e sociali in cui la devianza è imposta dalle necessità di sopravvivenza, rispetto alle quali il carcere rappresenta talvolta "l’ultima chance di un disperato aggancio al mondo dei liberi". In tal clima si inserisce una delle principali funzioni deputate alla pena detentiva, quella della rieducazione, senza la quale il carcere diventerebbe un luogo di spaventosa violenza e di ripugnante morte civile a termine, e che impone la rottura dell’isolamento del carcere e la sua apertura alla società civile. Non sempre quest’ultima risulta in grado di raccogliere tale opera di risocializzazione ed è proprio su questo terreno che incontrano le maggiori difficoltà le riforme del 1975 e del 1986, imperniate sul riscatto ed il reinserimento sociale del condannato. Responsabile di tali resistenze è d'altronde anche la neghittosità dell’istituzione, la quale — come mette in evidenza l’autore — è spesso ancorata ad un gretto burocratismo ed assai carente, invece, in quanto a solidarietà umana. La funzione "rieducatrice" del carcere viene ancora ribadita dalla Corte di Cassazione nel luglio del 1990, come unica finalizzazione legittima della pena; è, però, difficile conciliare gli strumenti di tipo rieducativo con il principio garantista di stretta legalità e giurisdizionalità della pena stessa. Gli aspetti premiali della riforma, vale a dire la libertà in cambio di buona condotta, rimangono comunque incentrati sulla "evoluzione interiore dell’uomo detenuto", cosa che comporta un grave limite data l’impossibilità di oggettivare dei parametri di riferimento relativi ad essa. E’ per far luce su tale percorso individuale che De Cataldo arriva direttamente al cuore della storia personale — ciascuna di per sé unica – dei detenuti, occupandosi di criminali comuni e terroristi, recidivi e pentiti, nonché stranieri e soggetti con una psicopatologia di base, quali tossicodipendenti e malati di mente.
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